Vittorio Sabadin, La Stampa 1/9/2013, 1 settembre 2013
TESORO MI SI È RISTRETTA LA MANICA
«Se l’Onnipotente dovesse ricreare il mondo e mi chiedesse consigli – ha scritto Winston Churchill – gli direi di fare un English Channel intorno a ogni Paese. E di mettere nell’atmosfera qualcosa che incenerisca chiunque cerchi di volare». Bisogna capirlo. Per l’uomo che ha sconfitto Hitler, convincendo l’Inghilterra a resistere ai bombardamenti tedeschi, la vera pace era starsene a dipingere nella residenza di Chartwell, con la certezza che il Canale della Manica, e qualcosa messo nell’aria da Dio, lo avrebbero protetto da ogni molestia.
Nel corso dei secoli, gli inglesi hanno combattuto contro Spagna, Olanda, Francia e Germania per respingere un’invasione. Logico quindi che vi sia diffidenza verso l’Europa continentale e gratitudine verso il Creatore, che almeno intorno al loro Paese un canale l’ha messo. Così, ogni volta che qualcuno ha avuto l’idea di unire fisicamente l’Inghilterra al resto dell’Europa, il suo progetto è stato affossato dai sospetti. Spesso legittimi: nel 1802, ad esempio, l’ingegnere francese Albert Mathieu Favier propose di scavare un tunnel tra le due sponde nel quale potessero transitare le carrozze e fu appoggiato da Napoleone, che nella galleria avrebbe volentieri fatto marciare anche la sua Grande Armée.
Sono dovuti passare quasi due secoli prima che la diffidenza si attenuasse e l’idea di un tunnel si facesse strada nel 1984, grazie anche a due leader molto sicuri di sé: Margaret Thatcher e François Mitterrand. Si trattava di scavare una galleria sotto il canale lunga 50 chilometri, dei quali 39 sotto il mare: un’impresa ingegneristica mai tentata prima e il più costoso progetto che gli esseri umani avessero mai concepito. Poiché né Francia né Gran Bretagna avevano i soldi necessari a realizzarlo, la Thatcher, alfiere dell’iniziativa privata, convinse il socialista Mitterrand che era meglio lasciare a qualcun altro il problema di reperire i fondi.
Il bando che venne lanciato per un collegamento tra l’Inghilterra e il Continente poneva quattro condizioni: bisognava essere in grado di farlo, trovare i soldi per farlo, costruirlo in modo che durasse 120 anni e convincere la gente che non era pericoloso. Vinse il progetto della Balfour Beatty Construction Company, una società che aveva realizzato nel 1909 la prima linea di tram scozzese, costruito una diga sul Tigri, portato l’acqua e l’elettricità a Gerusalemme e progettato canali sotto il Tamigi.
Il progetto prevedeva lo scavo di tre gallerie: una dalla Francia all’Inghilterra, una in direzione contraria e una centrale, più piccola, destinata ai veicoli di servizio e a via di fuga in caso di incidente. In tutto, c’erano da scavare 150 chilometri di tunnel, dei quali 117 sotto il mare. Anche se la più lunga galleria sottomarina fino ad allora realizzata, quella giapponese di Seikan, era lunga solo 23 chilometri, l’impresa sembrava possibile, al costo inizialmente stimato di 3,6 miliardi di dollari.
Gli scavi cominciarono nel 1987 vicino a Folkestone, nel Kent, dalla parte inglese e vicino a Sangatte, nel Nord Pas de Calais, in Francia. Ovviamente, gli inglesi scommisero subito su chi sarebbe arrivato prima a metà del Canale e alla fine vinsero di poco. Per scavare vennero usate macchine incredibili, lunghe come due campi da calcio e pesanti 15 mila tonnellate. Le «boring machines» scavavano cinque metri di roccia l’ora, convogliavano i detriti all’esterno e realizzavano una volta di cemento che proteggeva la galleria da frane e infiltrazioni. Ne vennero usate undici, cinque francesi e sei inglesi, che portarono in superficie una quantità di roccia pari a tre volte la piramide di Cheope.
Poiché era già stato abbastanza complicato mettere d’accordo Francia e Inghilterra sull’idea del tunnel, nessuno cercò di imporre loro una soluzione comune su che cosa fare dei detriti. I francesi li portarono fuori per mezzo di tubature e li trasformarono in una collina. Gli inglesi li scaricarono sotto la Shakespeare Cliff, dove aggiunsero 35 ettari di terra ai confini del loro Paese. Anche per quanto riguarda il destino delle macchine scavatrici le soluzioni furono differenti. Quelle francesi vennero smontate nelle gallerie. Gli inglesi, che hanno una vera passione per garantire funerali solenni a chi ha realizzato qualcosa di importante, le obbligarono a scavarsi una tomba laterale, dentro la quale furono seppellite.
Il 1° dicembre 1990 due operai estratti a sorte, l’inglese Graham Fagg e il francese Philippe Cozette, si sono stretti la mano dopo avere fatto cadere l’ultima barriera che separava i due scavi. Le misurazioni degli ingegneri erano state così precise che la congiunzione delle gallerie difettava di soli 58 millimetri in verticale e di 358 millimetri in orizzontale. Restavano da sistemare binari e cavi elettrici, impianti di ventilazione e porte tagliafuoco, e da costruire i due terminal all’imbocco dei tunnel. Il primo, storico viaggio di prova fu effettuato il 10 dicembre 1993. Era da 10 mila anni, dall’era della Glaciazione devensiana, che l’Inghilterra non era unita all’Europa.
La Thatcher e Mitterrand avevano visto giusto nel non impegnare capitali pubblici nell’impresa. I soldi li misero 750 mila piccoli investitori privati, allettati dalla promessa di un rendimento del 18% annuo sul loro investimento. Ma quasi tutti se ne sono pentiti. Le azioni che valevano l’equivalente di 5 euro nel 1987 hanno raggiunto un picco di 20 euro due anni dopo e sono precipitate a 41 centesimi nel 2007. Colpa del disastro economico della società Eurotunnel, schiacciata dai costi lievitati da 3,6 a 21 miliardi di dollari, dagli interessi sul debito, dai lavori in ritardo, dalle valutazioni sbagliate sul traffico di merci e passeggeri e sulle tariffe da applicare. Ma il primo dividendo è arrivato nel 2008 e forse il peggio è passato.
Ora non c’è niente di più comodo che salire sul treno a St Pancras e arrivare dopo due ore a Parigi, passando per un tunnel che dal finestrino non offre alcuna emozione: mezz’ora di monotono buio, nel quale è persino impossibile distinguere la linea bianca che delimita, a metà del percorso, il confine. Sulla riva inglese, quattro secoli fa, William Shakespeare guardava «il mare d’argento» del Canale, «che funge da muraglia e da fossato (…) contro l’invidia di terre meno felici». Oggi sarebbe il primo a prendere il treno, verso terre che scoprirebbe non poi così tanto sfortunate come le immaginava.