Alain Elkann, La Stampa 1/9/2013, 1 settembre 2013
“OGGI IL CINEMA È DOVE MENO TE LO ASPETTI”
Marco Brambilla, lei è italo canadese e da oltre 20 anni vive e lavora negli Stati Uniti. Si sente più italiano o americano?
«Mi sento europeo anche nel modo di esprimermi dal punto di vista artistico, anche se apprezzo il modo di lavorare e la distribuzione americana. Ho cominciato a 17 anni facendo opere sentimentali, film corti che riguardavano la perdita di intimità e di espressione. Leggevo i libri di Alvin Toffler sulla tecnologia che stava cambiando e sul modo di comunicare. Guardavo molti film italiani, in particolare quelli di Fellini, e il «Salò» di Pasolini mi ha fatto molto pensare».
Poi cosa è successo?
«Mi sono innamorato della tecnologia: Ridley Scott ha visto uno dei miei film e mi ha assunto come regista pubblicitario. Così ho fatto dei lavori in Italia. Lavoravo con grandi mezzi e con le tecnologie più moderne».
Perché a quel punto è andato a Los Angeles?
«Mi avevano offerto lo script di un film molto visuale. Mi sono dato molto di fare, ma i film non venivano mai girati. Finché non mi è arrivato il copione di “Demolition Man”, una produzione Warner Bros: un impegno importante, durato due anni, cominciato con un budget medio poi cresciuto sempre di più. Un’esperienza molto seducente, anche perché avevo soltanto 27 anni».
E i passi successivi?
«Mi sono spostato a New York dove ho pubblicato “Transit”, un libro di mie fotografie scattate nel giro di due anni in vari aeroporti. Allo stesso tempo ho cominciato a lavorare sulle installazioni video».
Quindi basta film pubblicitari...
«Più nulla per cinque anni, poi ne ho girati ancora un paio. In quel periodo ho fatto la mia prima mostra alla Exit Gallery, quindi ho esposto al Museo di Arte Moderna di San Francisco, al Kunsthalle di Berna e al New Museum a New York».
Chisonogliacquirentideisuoilavori?
«Coloro che collezionano videoarte».
Che differenza c’è tra questi suoi lavori e il cinema?
«Il contesto è diverso, è più legato alla fotografia e non c’è una narrativa. Alcuni oscillano tra i quattro e i venticinque minuti, altri vengono visti a ciclo continuo senza sosta».
E i suoi ultimi impegni?
«Mi piace ricordare un montaggio di momenti ironici del cinema: dal “Grande Dittatore” di Chaplin nella parodia di Mel Brooks che fa la parodia del grande dittatore a “The Sound Of Music” sino a “Superman”. Sì, mi sono ispirato alla pittura. Invece la mia serie precedente era basata sui videogiochi: ho girato un film in un luogo dove i ragazzi sudcoreani e vietnamiti si dilettavano per 18 ore al giorno a un gioco in cui si uccidevano. Peccato che poi nella vita reale si siano davvero uccisi ».
Chi sono secondo lei i grandi maestri del cinema di oggi?
«Gli unici veri autori per me sono Steven Spielberg e James Cameron».
E i registi indipendenti?
«Certo, ce ne sono, ma lavorano in modo molto diverso perché hanno budget molto bassi. Quando nel 1972 uscì “Arancia Meccanica”, le cose funzionavano in maniera profondamente differente, tanto che il film si poteva vedere dappertutto».
Si può dire che il cinema come espressione artistica popolare sia morto dopo gli Anni Settanta?
«Non lo so, io continuo a fare ciò che facevo a vent’anni. Oggi certe aziende come la Ferrari e la Hugo Boss lavorano con gli artisti. Ad esempio ho fatto per la Ferrari un film in 3D di sei minuti che esprime la sensazione di tecnologia e velocità, e questo lavoro è stato mostrato alla fiera Miami Art Basel».
Che rapporti ha con l’Italia di oggi?
«Per me è stata molto importante l’esperienza con la Ferrari, e tutte le volte che sono a Monza faccio un salto a Roma, città fonte di continue ispirazioni».
Quali sono i suoi progetti futuri?
«Sto facendo un lavoro per l’Art Production Fund, si tratta di una installazione specifica per il Columbus Circle di New York che si intitola “Anthropocene”».
Le piacerebbe lavorare in Italia?
«Sì, a Roma, dove si stanno spostando molti artisti e i musei diventano sempre più interessanti. Detto questo mi trovo bene a New York anche perché lì c’è un gruppo con cui sono molto affiatato».
È giusto definirla un uomo in transito?
«Sono nato a Milano e lì ho vissuto i primi 10 anni della mia vita, poi per altri 10 ho abitato in Canada. Quindi mi sono fermato per un decennio a Los Angeles e per più di 10 anni a New York. Senza dimenticare i due anni a Londra».
È vero che i prezzi della videoarte sono molto elevati?
«Direi che sono più che ragionevoli, anche perché il numero dei collezionisti è limitato. Ma per continuare il mio percorso artistico, ultimamente mi sto spostando sempre di più verso la cultura e le immagini tridimensionali».