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 2013  settembre 01 Domenica calendario

KERRY IL PACIFISTA HA RIMESSO L’ELMETTO

Il soldato Kerry è tornato in trincea. Pronto a combattere forse l’ultima delle sue molte guerre, prima di ritirarsi tra i «veterans» d’America. Il volto bellico degli Usa, soprattutto dopo gli sviluppi di ieri, non è quello di Barack Obama. La frenata del presidente rende ancora più esposto il suo segretario di Stato, l’uomo al quale in questi giorni è toccato il compito di pronunciare le parole più dure.

John Kerry a 69 anni ha completato una tormentata metamorfosi, segnata dal suo complesso rapporto con il ruolo militare degli Stati Uniti nel mondo. Eroe in divisa in Vietnam, poi portavoce a Washington dei pacifisti negli anni ’70. Favorevole all’intervento in Iraq nel 2003, poi oppositore della stessa campagna militare un anno dopo, da sfidante di George W.Bush per la Casa Bianca. Un politico di grande esperienza, ma dalle posizioni oscillanti. Facile bersaglio nel 2004 per Bush e il suo stratega Karl Rove, che affondarono le ambizioni presidenziali di Kerry accusandolo di essere un «flipflopper», un voltagabbana.

Ora però l’ex candidato democratico allo Studio Ovale sembra aver trovato il tono di voce presidenziale. «Noi sappiamo», è l’inizio di frase che il segretario di Stato venerdì ha ripetuto 24 volte, elencando pubblicamente i capi d’accusa contro Assad con il ritmo inquisitorio imparato negli anni in cui faceva il pm. Un’enfasi retorica e una durezza che hanno spinto gli opinionisti conservatori del «Wall Street Journal» a decretare: «Se Kerry avesse parlato così nel 2004, sarebbe diventato Presidente». È significativo che l’editoriale sia stato diffuso su Twitter come «lettura da non perdere» da John McCain, che con Kerry condivide le esperienze di aver combattuto da eroe in Vietnam e aver perso la Casa Bianca.

Se partirà l’attacco, sarà la guerra di Kerry. L’ex sfidante di Bush non deve più preoccuparsi per la carriera politica, non ha l’età per sperare in una seconda chance presidenziale. E in ogni caso è probabile che troverebbe a sbarrargli la strada Hillary Clinton, che ha occupato la sua poltrona al Dipartimento di Stato fino a sette mesi fa. Libero dai propri fantasmi, Kerry ha affrontato con un’energia inattesa il dossier Siria e sembra intenzionato a fare di tutto per convincere Obama a non lasciare impuniti i crimini del regime siriano.

Non è certo la prima volta che John Kerry esprime con forza le proprie convinzioni. L’inizio della sua carriera politica risale a una storica deposizione nel 1971 di fronte al Congresso. Appena tornato dal Vietnam, in divisa e pluridecorato per le azioni eroiche compiute al comando di una «swift boat» (un’imbarcazione da pattugliamento), Kerry lanciò un celebre attacco contro l’impegno americano nel sudest asiatico. «Come potete chiedere a un uomo di essere l’ultimo uomo a morire per un errore?», chiese al Congresso, con una frase che fece il giro di giornali e Tv. Fu il decollo di una vita pubblica che lo ha portato a un passo dalla Casa Bianca.

Adesso Kerry ha molti passaggi delicati da affrontare. Deve decidere fin dove spingere la retorica e che tipo di operazione militare raccomandare ad Obama. Tocca a lui convincere i membri del Congresso più riluttanti che in Siria le armi di distruzione di massa ci sono davvero, dopo aver accusato per anni Bush di aver ingannato l’America sull’esistenza delle stesse armi in Iraq. Tocca sempre a lui garantire a Obama un voto a Capitol Hill che non si trasformi in un’umiliazione stile-Cameron per la Casa Bianca. Ma una volta ottenuto il via libera, avrà anche la responsabilità di frenare chi vorrebbe spingere l’intervento militare ben oltre l’azione «limitata» promessa dal presidente.

Dopo aver pronunciato la requisitoria contro Assad, Kerry deve decidere se continuare a essere il falco dell’amministrazione. «Non ripeteremo l’errore dell’Iraq», ha promesso. Ma una volta lanciati i missili, le parole contano poco.