Andrea Tornielli, La Stampa 31/8/2013, 31 agosto 2013
DOPO BERTONE TOCCA A PAROLIN, DA CHAVEZ A FRANCESCO
Il cardinale Bertone esce di scena e al suo posto, come Segretario di Stato, Papa Francesco chiama un cinquantottenne prelato di origini venete, il nunzio apostolico in Venezuela Pietro Parolin. La nomina, decisiva per il pontificato di Francesco, salvo sorprese dell’ultima ora, sarà resa nota a mezzogiorno di oggi.
Bertone, divenuto «numero due» della Santa Sede nel 2006 per volere di Benedetto XVI, sta per compiere 79 anni.
La sua sostituzione era prevista da tempo e non ha subito accelerazioni negli ultimi giorni. Il Papa venuto «dalla fine del mondo» ha scelto come braccio destro un Segretario di Stato giovane (il più giovane dai tempi del cardinale Eugenio Pacelli, che divenne braccio destro di Pio XI a 53 anni), competente, solido, proveniente dal mondo della diplomazia vaticana ma che ha anche un forte profilo pastorale. Dal 2002 al 2009 aveva ricoperto il ruolo di sottosegretario ai rapporti con gli Stati, in pratica il «viceministro degli Esteri» vaticano, e ha dunque lavorato Oltretevere con i Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, con i Segretari di Stato Angelo Sodano e Bertone, con i «ministri degli Esteri» Giovanni Lajolo e Dominique Mamberti.
Nato a Schiavon, in provincia di Vicenza, nel gennaio del 1955, formatosi nella realtà ecclesiale del Veneto bianco, il nuovo Segretario di Stato porta il cognome della madre di san Pio X ma non ha rapporti di parentela con l’ultimo Pontefice canonizzato. Figlio di un venditore di macchine agricole e di una maestra elementare, rimane orfano di padre all’età di dieci anni a causa di un incidente stradale: da allora sarà la madre a crescere da sola i tre figli, uno dei quali di pochi mesi. Parolin entra quattordicenne in seminario e diventa prete nel 1980. Dopo due anni da viceparroco a Schio, va a Roma a studiare diritto canonico e finisce per essere chiamato a lavorare per Santa Sede entrando nell’Accademia che forma i diplomatici vaticani. Si laurea nel 1986 e parte a prestare servizio in Nigeria e quindi in Messico. Nel 1992 torna a Roma, nella seconda sezione della Segreteria di Stato, da poco guidata dal cardinale Sodano, seguendo i dossier dei Paesi africani e latinoamericani, ma anche di Spagna e Indonesia.
Mentre è a Roma, dal 1996 al 2000, su richiesta del cardinale Achille Silvestrini, don Pietro ha diretto Villa Nazareth, l’istituzione benefica fondata nel dopoguerra dal cardinale Domenico Tardini per sostenere la formazione di ragazzi meritevoli ma privi di mezzi. Dal 2000 inizia a occuparsi della sezione italiana e due anni dopo diventa «viceministro», ormai alla vigilia della seconda Guerra del Golfo. In questa veste segue direttamente le trattative con il governo del Vietnam, che grazie al suo contributo giungeranno all’allacciamento di piene relazioni diplomatiche, e le annose questioni giuridiche ancora aperte tra Santa Sede e Stato d’Israele. Nelle sue mani è anche il delicato dossier dei rapporti con la Cina, nel periodo delle aperture e delle speranze, culminate con la Lettera di Papa Ratzinger ai cattolici cinesi del giugno 2007.
Nell’estate del 2009, Parolin viene nominato da Benedetto XVI nunzio in Venezuela e da lui consacrato vescovo. Abbandonati i dossier su Vietnam e Cina deve affrontare gli eccessi di Hugo Chavez e i suoi rapporti non facili con le gerarchie cattoliche del Paese. Ora lascia l’America Latina per tornare a guidare la «cabina di regia» della Curia romana e la diplomazia d’Oltretevere: l’insediamento è previsto per ottobre.
Papa Bergoglio aveva avuto modo di conoscere personalmente Parolin in occasione di incontri con le autorità vaticane, quando era arcivescovo di Buenos Aires. Con questa scelta ai vertici della Segreteria di Stato torna a insediarsi un esponente di quella tradizione diplomatica vaticana caratterizzata da realismo e ricerca delle soluzioni possibili. Una presenza che sulla scena internazionale, a detta di molti osservatori, è venuta meno negli ultimi anni. Il nuovo Segretario di Stato dovrà contribuire a realizzare, anche con gli strumenti della diplomazia, quella «conversione pastorale» indicata da Papa Francesco con la parola e prima ancora con il suo esempio.