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 2013  settembre 01 Domenica calendario

COSA C’È DIETRO LA FACCIA TOSTA DI ENRICO LETTA

Ci vuole una bella fac­cia tosta per dire a un largo pubblico, es­sendo stato nomina­to presidente del Consiglio dei ministri e avendo messo insie­me una maggioranza per governare l’Italia, che «non è questo il governo che volevo» e «la prossima volta mi batterò per un governo diverso». Quella faccia Enrico Letta ce l’ha. Per dirla con tutti i sepolcri imbian­cati che rivendicano da Berlu­sconi comportamenti da paese normale, in un paese normale non succede che il capo del­l’esecutivo sputi in faccia alla maggioranza che lo sostiene per strappare un applauso demagogico alla Festa del suo par­tito. Due sono le cose: o Letta non crede in quello che fa con Alfano e Brunetta e con il soste­gno di Berlusconi, e allora deve andare subito a casa per ragio­ni fin troppo evidenti, oppure ci crede ma mente spudorata­mente per la gola, cioè per il consenso di partito insidiatogli da Matteo Renzi, e allora deve andare a casa e occuparsi del Congresso del Pd. Non è lui che distingue tra policies e politics, tra cose da fare e potere fondato sul con­senso da gestire? Stare lì con il mugugno, con l’idea che sa­rebbe meglio essere altrove, è un peccato di gusto imperdo­nabile, oltre che una bizzarria politica incomprensibile. La Merkel fu in coalizione nazio­nale con i socialdemocratici, dopo una campagna elettora­le fortemente polarizzata che non condusse a risultati di maggioranza seri e solidi, ma non si sogna­rono mai, né la Cancellie­ra né il suo vi­ce della Spd, di deprezza­re come un tri­ste ripiego il loro governo. Nella campa­gna elettora­le successiva al governo di Grosse Koalition si limitarono a spiegare per­ché l’avevano fatto e le ragioni con cui l’avevano sostenuto e caratterizzato, per poi passare ad altro. Paesi normali.
A proposito di paesi norma­li. Sarebbe un «ricatto», grida­no alla Repubblica, la frase di Berlusconi che stabilisce un collegamento diretto tra la sor­te del governo Letta e il voto del Pd per sbatterlo fuori dal Senato, sottomettendosi definitivamente all’oltranzismo dei magistrati senza nemmeno concedere il pieno eserci­zio del diritto alla difesa sugge­rito da Luciano Violante. Che stravaganza pensare che il ca­ne sia cattivo, quando - attac­cato - si difende. Non è cosa da paese normale pretendere dal leader di una componente de­ci­siva della maggioranza il pie­no e leale sostegno al capo del governo, vicesegretario del Pd in origine, mentre il suo parti­to e tuo alleato ti nega la possibilità anche solo di mettere in discussione la tua decadenza da parlamentare (opinabile se­condo parecchi osservatori non di parte), e straparla di «at­to dovuto». Vogliono la botte piena e la moglie ubriaca, im­presa proverbialmente diffici­le da condurre al successo. E vogliono tutto questo pazzia­re, stralunati come sono, in no­me di un paese normale.
Vada a casa. Lo dice anche il Renzi, perché - di nuovo - in un paese normale se uno sia condannato, ecco che dovrebbe automaticamente lasciare la politica. Nei paesi normali e civili i magistrati e i giudici, an­che di Cassazione, non danno interviste, non manifestano in modo scollacciato la loro parti­gianeria ideologica, non tenta­no di processare i testi a difesa degli imputati, non parlano di furbizia orientale delle non­vittime di non-reati, non scrivono romanzi origliatori da pubblicazione in appendice, non lasciano che sia violato il segreto investigativo e sempre in una sola e medesima di­rezione, non individuano in un uomo o nel movimento da lui fondato il fomite della criminalità politica, dall’evasione fi­scale alla prostituzione e alle stragi, in un contesto in cui l’accusa penale diventa la piat­taforma di una campagna di stampa che dura vent’anni, e tutti i mezzi, anche quelli chia­ramente abusivi, vengono im­pegnati per dare ai togati la preminenza politica e morale su ogni altro soggetto istituzio­nale, fino alla presentazione si­stematica di liste di partito in toga, che peraltro hanno un perfetto insuccesso di pubbli­co, fino all’attacco al Quirina­le. O Napolitano deve fare se­natore a vita anche Ingroia?
Però la parabola del paese normale vale anche per Berlusconi, a pensarci bene. In un paese normale dovrebbe an­darsene dal governo e chiede­re immediate elezioni politi­che, e lasciare tutti nei pastic­ci, senza tentennamenti. Il che è dunque perfettamente legittimo.
Ma nel paese anormale in cui viviamo resta da appurare se sia meglio passare per car­nefice della stabilità o per vit­tima dell’irresponsabilità al­trui, mantenendo un orgoglio­so cipiglio e rilanciando la bat­taglia della giustizia giusta senza farsi incastrare nel ruo­lo del personalistico scassa­tutto.