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 2013  settembre 02 Lunedì calendario

LETTA, L’ASCESA DEL «NIPOTE» TUTTO ASTUZIA E POCO CORAGGIO

Presto forse dovrà fare fa­gotto, ma intanto Enrico Letta si è accreditato. Per decenni era stato il «nipote di Gianni», ora da capo del go­verno ha acquistato una fisio­nomia in Italia e all’estero. È persona perbene, un italiano che parla le lingue, un tipo che non perde la testa e tiene la lin­gua a posto. Aveva promesso al centrode­str­a di togliere l’Imu e ha mante­nuto, nonostante i mal di pan­cia del Pd, il suo partito. Alla fi­ne, a indispettirsi è stato solo l’ex premier, Mario Monti, che aveva introdotto il balzello e che ha reagito dando dello «smidollato» al successore. Ha scelto però il momento sbaglia­to per sfogarsi, dimostrando una gran faccia tosta. Nello stes­so Consiglio dei ministri che ha abolito l’Imu, il governo ha in­fatti dovuto mettere una pezza all’enorme pasticcio degli eso­dati, capolavoro del medesimo Monti e della sua ineffabile pro­tetta, Elsa Fornero. Quindi, per ragioni di decenza, avrebbe fat­to meglio a tacere, sennonché il Professore, sotto sotto, pare nutrire una irresistibile antipa­tia per Letta junior. Il perché non è chiaro, salvo la com­prensibile in­vidia per i 47 anni del giova­notto che so­no un quarto di secolo me­no dei suoi. Sta di fatto che non è la prima volta che lo strattona, nonostante la deferenza che Enrico gli dimo­stra.
Ricorderete ciò che accadde nell’Aula di Montecitorio mentre si discuteva la fiducia al go­verno Monti nel novembre 2011. Pensando restasse una cosa tra loro, Letta - al tempo vicesegretario del Pd bersaniano - scrisse al premier un biglietti­no recapitato a mano da un commesso. «Mario, quando vuoi dirmi forma e modi con cui posso esserti utile all’ester­no. Sia ufficialmente, sia riservatamente. Per ora, mi sembra tutto un miracolo! Allora i mira­coli esistono» (sottinteso: che ci sia tu al posto del Cav). Una missiva, come si vede, sull’untuosetto che in modo subdolo cercava di blandire il neo pre­mier per ricavarne vantaggi al suo partito e anche per sé, qua­lora gli fosse riuscito diventare il fiduciario dell’uomo del momento. Era ancora il comportamento di un ragazzo di bottega che cercava un posto al sole, fa­se che oggi Enrico ha sicura­mente superato dopo le espe­rienze interne e internazionali degli ultimi quattro mesi.
Ma il punto è un altro. Nella stessa seduta, Monti anziché ringraziare Enrico Letta per la mano tesa, alzò gli occhi verso la tribuna e disse al microfono: «Sia ieri che oggi, una persona molto rispettata da tutti mi ha usato la cortesia di essere pre­sente in tribuna, mi riferisco al dottor Gianni Letta». Il famoso zio di Enrico e braccio destro del Berlusca era infatti lassù in perfetto silenzio, in contrasto con il nipote che, giù in au­la, faceva il maneggione con lettere e commessi. Non sto a dire la figura del ta­pino che toc­cò al giovane Letta per esse­re stato total­mente ignorato dal premier che invece si inchinava al con­giunto. Ecco perché sostengo che Monti, oggi tiepido alleato del governo con la sua Scelta Ci­vica, non straveda per Enrico.
Letta junior non sarà simpati­cissimo perché un po’ chiuso, ma è persona gradevole. Sorri­de spesso e, anche quando è se­rio, non perde cordialità. A trat­ti, è perfino zuzzurellone. Buffissimo è stato vederlo, subito dopo l’ultimo Consiglio dei mi­ni­stri sull’Imu, al Tg1. Accettan­do il suggerimento che deve avergli dato il giornalista o un cameraman, il premier anzi­ché fare una normale dichiara­zione di fronte alla telecamera, ha preso la cornetta e ha finto di parlare al telefono con un im­maginario interlocutore al qua­le spiegava contenuti e vantag­gi dei provvedimenti appena as­sunti. Un’autentica recita, mol­to talentuosa, comprensiva del­le pause di chi ascolta e poi re­plica alle obiezioni. Una cosa mai vista e un modo di rappre­sentare il potere in pigiama an­ziché in giacca e cravatta. Un’in­formalità alla papa Francesco che, evidentemente, il democri­stianissimo Enrico ha preso a modello.
Questo stile apparentemen­te semplice, l’equivalente politico dell’arte povera, è bene espresso nella frase che Letta ri­pete spesso: «Questo (il suo, ndr) non è il mio governo ideale e nemmeno il mio presiden­te del Consiglio ideale», oppu­re quando dice: «Io ce la metto tutta, di questo gli italiani pos­sono essere certi». Un atteggia­mento opposto al sussiego di Monti o alla spocchia di Matteo Renzi. Dettato, probabilmen­te, dall’astuzia prudente di un uomo non sicurissimo di sé, ma determinato a giocare le proprie carte fino in fondo. Ine­dito è anche il rapporto con i mi­nistri, compresi quelli del cen­trodestra. Hanno tra loro i modi amichevoli di coetanei che chiacchierano in spiaggia. Con Angelino Alfano sembrano ca­pirsi a occhiate e risatine. Vero che hanno una militanza giova­nile s­imile nelle correnti dc di si­nistra: Letta pupillo di Beniami­no Andreatta; Alfano del vivaio di Ciriaco De Mita. Ma pure con gli altri - Beatrice Lorenzin, Nunzia De Girolamo, Maurizio Lupi e con la sola eccezione di Gaetano Quagliariello - c’è l’an­nosa complicità dovuta alla co­mune appartenenza a VeDrò, la fondazione culturale che Let­ta ha creato per unire in una specie di Circolo degli scacchi una generazione di quaranten­ni aldilà delle divisioni politi­che.
Questa inclinazione lettiana al dialogo,unita all’innata prudenza dc, moltiplicata dal gene proprio dei Letta che produce una sostanza zuccherosa, il Let­tolin, simile alla melassa (Gian­ni Letta è soprannominato Zol­letta), costa tuttora a Enrico la diffidenza dei più sinistri e acca­niti del suo partito, il Ds-Pds-Pd, dove ebbe la dabbenaggine di approdare dopo il crollo del­la Dc. È questa la ragione per la quale, nonostante la venerazio­ne per Andreatta, Romani Pro­di, molto più partigiano e catti­vo di Letta junior, non ha mai voluto eleggerlo suo erede poli­tico.
Da quanto ho raccontato, si capisce che, politicamente e umanamente, Enrico è un personaggio piuttosto positivo, che, se non fosse già sposato due volte, qualsiasi mamma ve­drebbe con vasto favore al fian­co della propria figlia.
Dopo questo soffietto, i letto­ri si chiede­ranno come la mettiamo che Letta se ne strabatta dei destini del Cav cui deve sia il governo che presiede, sia le idee che lo nutrono. Perché Enri­co non riconosce pubblica­mente che i giudici hanno fatto il pacco a Berlusconi? Perché si trincera dietro il rispetto delle toghe, se è compito dei politici raddrizzarne le storture? Per­ché ripete che tutti sono eguali davanti alla legge, se è proprio la parità che è violata, poiché al­tri evasori, veri o presunti, da Valentino Rossi, a Carlo De Be­nedetti, ad Alessandro Profu­mo, non rischiano né la gatta­buia, né la privazione dei diritti politici? La risposta è una: chi non ha il coraggio, non se lo può dare. E Letta non ce l’ha.