VARIE 2/9/2013, 2 settembre 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - LA GUERRA IN SIRIA FA AUMENTARE IL PREZZO DELLA BENZINA
REPUBBLICA.IT
MILANO - L’effetto-Siria provoca nuovi rialzi per diesel e benzina al distributore, conditi da un’accesa polemica tra consumatori e produttori durante il fine settimana. Nonostante il calo dei prezzi sui mercati internazionali, come sottolineano Quotidiano Energia e Staffetta Quotidiana, la verde supera gli 1,88 euro al litro e il diesel gli 1,77 euro nei distributori Eni, con aumenti anche per Ip, Q8 e TotalErg. Si tratta del quarto giro di aumenti per i prezzi dei carburanti all’indomani dell’avvio dell’"effetto Siria", ricorda QE, cioè il rialzo delle quotazioni dell’oro nero in seguito all’imminenza di un attacco (anche se negli ultimi giorni i prezzi si sono raffreddati sullo stallo degli interventisti).
In effetti, avviene di rado ma questa volta Eni si è mossa di domenica, ritoccando al rialzo i prezzi raccomandati di benzina e diesel di 0,8 centesimi di euro al litro. Nel week-end da registrare anche gli aumenti di Ip (sabato) e di Totalerg (oggi) dello stesso importo e sempre su entrambi i prodotti. Continua dunque l’"Effetto-Siria" sebbene, sempre nel fine settimana, le quotazioni abbiano confermato un trend in discesa con la benzina che ha perso 9,5 euro/mille litri e il diesel 4,5.
Adesso, molto dipenderà dall’ andamento dei mercati nelle prossime ore per vedere se anche sulla rete carburanti nazionale si registreranno segnali di inversione di rotta in uno scenario che, tuttavia, resta in divenire. Sul territorio intanto i prezzi praticati sono ancora in salita, a seguito dei rincari della scorsa settimana.
Le medie nazionali della benzina e del diesel adesso sono rispettivamente a 1,847 e 1,750 euro/litro (gpl a 0,814). Le "punte" in alcune aree sono invece per la "verde" fino a 1,892 euro/litro, il diesel a 1,779 e il gpl a 0,844. La situazione più nel dettaglio a livello Paese (sempre in modalità "servito"), secondo quanto risulta in un campione di stazioni di servizio che rappresenta la situazione nazionale per il servizio check-up prezzi QE, vede il prezzo medio praticato della benzina che va oggi dall’1,837 euro/litro di Eni all’1,847 di Tamoil (no-logo a 1,726). Per il diesel si passa dall’1,742 euro/litro di Esso e shell all’1,750 ancora di Tamoil (no-logo a 1,624). Il gpl infine è tra 0,803 euro/litro di Esso e 0,814 di Tamoil (no-logo a 0,751).
POLEMICA TRA PRODUTTORI E CONSUMATORI
MILANO - Botta e risposta all’arma bianca tra i consumatori e i produttori di benzina sul tema del rincaro dei prezzi dei carburanti alla pompa, proprio nell’ultimo giorno che vede gli italiani incolonnati sulle strade per i rientri dalle vacanze. Secondo la denuncia del Codacons, i benzinai speculano sul controesodo estivo e in alcuni distributori in autostrada il prezzo della benzina sfiora i 2 euro al litro. L’associazione arriva a lanciare un appello agli automobilisti: "Fotografate i listini con i prezzi record. Poi pubblicheremo tutto".
D’altra parte, però, l’Unione petrolifera non ci sta e ricorda di aver tenuto un atteggiamento "cauto e responsabile" consigliando ai gestori prezzi ben al di sotto. In ogni caso c’è da tener ben presente che "esistono tensioni internazionali che ’pompano’ il prezzo del greggio, come il possibile attacco Usa alla Siria. E che comunque in Italia più della metà di quanto un automobilista paga la benzina (il 60% per l’esattezza) viene ’mangiato’ dal Fisco. Con un rischio in più all’orizzonte: se a ottobre aumenta l’Iva ci saranno da pagare circa 2 centesimi in più al litro".
"Oramai la verde sfiora quota due euro al litro lungo le autostrade del nostro Paese - aveva spiegato il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, avviando la disputa - in numerosissimi distributori il prezzo alla pompa supera infatti abbondantemente quota 1,960 euro al litro. Il fenomeno dei rincari in occasione delle partenze degli italiani è oramai cosa nota, al punto che la magistratura su esposto Codacons sta indagando sulle speculazioni". In causa è stato chiamato in prima persona il capo del Governo: "Letta, invece di pensare ad ulteriori aumenti delle accise (con la clausola di salvaguardia dell’Imu, ndr), dovrebbe intervenire per punire con la massima severità i petrolieri, che con i loro comportamenti contribuiscono ad impoverire le famiglie".
La replica è arrivata pronta e l’Up ha ribadito "il comportamento assolutamente cauto e responsabile tenuto dalle compagnie petrolifere, che per tutto il mese di agosto hanno mantenuto fermi i prezzi dei carburanti a fronte di un aumento di oltre 6 centesimi registrato sui mercati internazionali. Solo in questi ultimi giorni si sono avuti leggeri aumenti, stimati in 1,5 centesimi euro/litro, legati soprattutto all’acuirsi delle tensioni in Siria". Quanto alla questione autostradale, si ricorda però "che il prezzo finale è stabilito autonomamente dal gestore e che può anche esserci qualche caso limite che però non rappresenta la situazione nazionale".
(01 settembre 2013)
I MERCATI
MILANO - La crescita oltre alle attese dell’economia cinese e il raffreddamento del fronte siriano, con gli Usa che aspettano il verdetto del Parlamento prima di intervenire, spingono i mercati azionari dopo i cali dello scorso venerdì. Anche dall’Italia, insieme al resto dell’Eurozona, arrivano segnali positivi che lasciano effettivamente presagire una ripresa economica. In una settimana che vivrà il suo picco d’attenzione il 6 settembre, quando gli Usa diffonderanno l’andamento del tasso di disoccupazione fornendo un indicatore fondamentale per le scelte di politica monetaria da parte della Fed, gli investitori partono dunque con ottimismo e i principali listini europei avviano gli scambi in rialzo.
Francoforte chiude così in rialzo dell’1,74%, Londra dell’1,45% e Parigi dell’1,84%. Anche Piazza Affari si è prodotta in uno scatto, con il Ftse Mib ha appaiato il Cac 40 e ha terminato gli scambi in crescita dell’1,84%. Gli investitori guardano ancora con interesse alla chiusura della trattativa tra Verizon e Vodafone, con gli inglesi pronti a incassare 130 miliardi di dollari per cedere il 45% della joint venture americana agli ormai ex soci. Inevitabile il riflesso sul comparto Tlc e quindi su Telecom Italia, che chiude a +4%. Bene anche Intesa Sanpaolo e Mediaset, mentre fatica Saipem. Sale il titolo Mps nel giorno dell’ufficializzazione di Antonella Mansi alla presidenza della Fondazione.
A livello macroeconomico si registra dunque la crescita dell’indice Pmi (legato alle aspettative dei direttori degli acquisti) per il settore manifatturiero italiano: è salito ad agosto ai massimi da 27 mesi a 51,3, rispetto al 50,4 di luglio (oltre la soglia di 50 si è in fase di espansione economica). Si tratta del terzo mese consecutivo di rialzo, ma il ritmo d’espansione ha continuato ad accelerare risultando il più rapido da aprile 2011. Anche l’indice composito dell’intera Eurozona - sempre relativo al settore manifatturiero - è salito ad agosto ai massimi da 26 mesi a questa parte, raggiungendo un livello di 51,4. Restano però le tensioni sul fronte occupazionale, tanto che in Italia
Sul fronte obbligazionario, lo spread tra Btp e Bund tedeschi ritraccia in area 245 punti base; il rendimento dei titoli italiani decennali scende al 4,36% sul mercato secondario. L’euro chiude stabile sotto quota 1,32 dollari. La moneta unica viene scambiata a 1,3190 dollari contro la chiusura di venerdì scorso a 1,3182. In aumento a 130 il cambio con lo yen. Sale a 99,31 anche il cambio tra dollaro e yen.
Quanto alle materie prime, il prezzo del petrolio è sceso sotto 107 dollari al barile. L’indice per la consegna a ottobre del greggio è in calo a 106,77 dollari al barile alla chiusura dei mercati europei. Venerdì il contratto Wti aveva già ripiegato di 1,15 dollari chiudendo a New York a 107,65 dollari. A Londra il petrolio Brent sta mostrando una flessione sotto quota 114 dollari al barile. Ciononostante si registrano nuovi rialzi della benzina in Italia, con la verde che secondo le rilevazioni di Qe supera gli 1,88 euro al litro. Segno meno anche per l’oro: il metallo con consegna immediata viene scambiato a 1.392 dollari l’oncia.
In Asia, la Borsa di Tokyo ha fatto registrare un rimbalzo grazie al deprezzamento dello yen sui mercati valutari, del quale hanno beneficiato i comparti maggiormente esposti sul versante dell’export. Bene inoltre i settori immobiliare ed edilizio, con gli investitori nipponici che scommettono sull’assegnazione alla capitale del Giappone dei Giochi Olimpici Estivi 2020, nonché quello finanziario grazie alla domanda di mutui data in aumento. In chiusura l’indice Nikkei dei 225 titoli-guida è salito così a quota 13.572,92: +1,37%. Come accennato, l’economia cinese si è mossa ai massimi da 16 mesi: l’indice Pmi è salito a 50,1 punti ad agosto dai 47,7 di luglio. Superando la soglia di 50 punti è entrato così in una fase che indica espansione economica.
Resta invece chiusa Wall Street, per il Labor Day. La Borsa americana è reduce dalla peggior performance mensile per Dow e S&P 500 dal mese di maggio. Il Dow Jones ha perso lo 0,2% e per la quarta volta di fila l’indice delle 30 blue chip ha chiuso l’ottava in calo, questa volta dell’1,33%. Il bilancio mensile è pari a un -4,45% ma da inizio anno è pari a +13%. L’S&P 500 ha ceduto lo 0,3% e la settimana è stata di ribasso per l’1,84%. Il Nasdaq è invece reduce da un -0,8%.
(02 settembre 2013)
LA RIPRESA CINESE
MILANO - Non basta un segnale positivo perché sia primavera nell’economia più dinamica del mondo; così la fabbrica globale si prepara a tagliare la propria capacità produttiva, per non incorrere in problemi maggiori. Si parla della Cina, dalla quale arrivano indicazioni macroeconomiche positive dopo un periodo di grandi timori, nel quale si sono sommate le preoccupazioni per una crisi di liquidità all’interno del sistema bancario e quelle per un eccessivo rallentamento del ritmo di crescita (se così si può dire per un’economia che comunque crescerà sopra il +7%).
Dopo un trimestre difficile, l’indice Pmi rilevato in base alle sensazioni dei direttori degli acquisti e che segna il termometro del settore manifatturiero, è salito sopra le attese a 51 punti, ai massimi degli ultimi 16 mesi. Un dato sopra quota 50 punti indica una fase di espansione economica, mentre stare sotto quell’asticella significa andare incontro alla recessione. Secondo alcuni analisti si tratta di una prima risposta alle politiche varate dall’esecutivo cinese a supporto della crescita. Misure incentrate sul supporto alle infrastrutture, alle energie rinnovabili e che mirano anche a limitare i rischi del settore finanziario. Pechino punta così a confermare l’obiettivo di crescita del Pil del 7,5% nel 2013, in calo comunque rispetto agli aumenti degli scorsi anni.
Nonostante questa ventata di ottimismo, resta quindi il problema di base di una sovraccapacità per il sistema produttivo del colosso asiatico. Molte fabbriche, riporta l’agenzia Xinhua, funzionano ad oggi solo al 70 per cento del loro potenziale e per questo, in migliaia, dovranno chiudere entro la fine di settembre per ordine del governo. Si tratta di ben 1294 impianti, in 19 settori, dal carbone all’acciaio - destinate a essere smantellate, per non mettere a rischio la stabilità della seconda economia del mondo. La sovraccapacità produttiva - assieme all’eccessivo indebitamento di famiglie, imprese e amministrazioni locali - è la vera incognita che grava sul futuro della Cina e a Pechino la politica ha deciso di non far più finta di niente. Nell’ultima sessione del Parlamento, il Congresso del Popolo, i delegati si sono scagliati contro quelle amministrazioni che "ignorano la sovraccapacità di alcune industre e ne approvano i progetti di espansione". Con conseguente aumento dell’indebitamento delle amministrazioni locali, la cui reale entità è in via di valutazione (e i risultati si preannunciano preoccupanti).
Nel luglio scorso il ministero dell’Industria ha pubblicato un elenco di imprese che dovranno eliminare impianti ormai obsoleti e produttivamente inutili. Ad esempio, l’industria del carbone ha accresciuto fra il 2001 e il 2011 la propria capacità produttiva di 579 milioni di tonnellate, ma le vendite sono salite solo di 273 milioni. Quanto all’industria dell’acciaio, il debito cumulato delle 86 principali compagnie ammontava a fine giugno a più di 3 mila miliardi di yuan (circa 370 miliardi di euro) che sono costati al settore 40,6 miliardi di yuan in interessi nel primo semestre a fronte di profitti per 2,2 miliardi. Non si tratta di aziende ’decotte’, però, visto che molte di queste continuano a registrare una crescita di fatturato e profitti. Ma verranno sacrificate in nome del "bene" di tutto l’ex Celeste Impero.
(01 settembre 2013)
SEGNALI POSITIVI NEL RESTO DELL’ECONOMIA
MILANO - Una ripresa economica ma con un mercato occupazionale ancora difficile è il quadro che molti economisti paventano per il prossimo futuro delle principali economie europee. A guardare i dati pubblicati oggi sembra effettivamente che i timori si possano confermare. Da un lato, infatti, si registra il balzo degli indici Pmi manifatturieri nel Vecchio Continente (rilevazioni che tracciano le aspettative dei direttori degli acquisti e anticipano così i cicli economici). D’altra parte, nella sola Italia, l’Istat certifica un calo dell’occupazione e delle retribuzioni nelle grandi imprese del Belpaese.
Pmi italiano in crescita. L’indice Pmi per il settore manifatturiero italiano è salito ad agosto ai massimi da 27 mesi a 51,3, rispetto al 50,4 di luglio. Un dato superiore ai 50 punti indica una fase di espansione economica. Ad agosto, la produzione manifatturiera è così salita per il terzo mese consecutivo e inoltre il ritmo d’espansione ha continuato ad accelerare risultando il più rapido da aprile 2011.
Balzo anche nell’Eurozona. "Il settore manifatturiero dell’Eurozona", annuncia l’istituto Markit che traccia l’indice, "è adesso in fase di recupero per il secondo mese consecutivo. Con 51.4 punti, in salita dalla previsione flash di 51.3", è salito "per il quarto mese consecutivo ed ha raggiunto il livello maggiore da giugno 2011". I Pmi di tutti i Paesi sono migliorati tranne quello francese; la stessa Francia - insieme alla Grecia - sono le uniche economie con un risultato sotto la soglia di 50 punti, con attese cioè per una nuova fase di stagnazione. Al vertice della classifica dei Pmi c’è l’Olanda, seguita da Austria e poi Irlanda. Si segnalano incrementi di produzione presso le aziende manifatturiere tedesche, italiane, olandesi e austriache, grazie "all’aumento degli influssi di nuovi ordini". La produzione è anche migliorata ancora in Irlanda, mentre è tornata a crescere in Spagna grazie ad un incremento di nuove commesse.
Il problema occupazione. Nell’annunciare questi dati positivi, è lo stesso economista di Markit, Rob Dobson, a ricordare quanto sia lunga la strada da fare: "I responsabili delle politiche economiche e monetarie saranno confortati dai dati che si aggiungono ai segni sempre maggiori di un recupero della crescita dell’economia nell’Eurozona", commenta in una nota. Ma aggiunge: "Il fatto che le aziende continuano a essere riluttanti ad assumere nuovo personale (a causa della necessità di tagliare costi per migliorare la loro competitività e controbilanciare gli aumenti dei prezzi del petrolio) fa pensare che c’è ancora tanta strada da fare prima che la ripresa si possa tramutare in un miglioramento significativo del mercato del lavoro".
Giù redditi e posti di lavoro. In effetti, l’annotazione di Dobson trova conferma nei dati Istat, relativi però al giugno scorso e alle "grandi imprese", cioè quelle che contano almeno 500 dipendenti nella media dell’anno osservato. Ebbene, in questo caso l’indice grezzo dell’occupazione - rispetto al giugno 2012 - diminuisce dell’1,4% al lordo e dell’1,3% al netto dei dipendenti in Cassa integrazione. Il mix diventa pesante se si considera che il numero di ore lavorate aumenta dello 0,6%, sempre nel raffronto annuo e al netto della Cig, mentre la retribuzione lorda e il costo del lavoro per dipendente (al netto di quelli in Cig) registrano rispettivamente una riduzione dell’1,7% e dell’1,3%.
Ocse: "Modesta ripresa". Anche dall’Ocse è arrivato oggi un giudizio sulle prospettive del Vecchio Continente, in attesa dell’Outlook ufficiale di domani: le economie europee si stanno stabilizzando e i Paesi della moneta unica hanno iniziato un percorso per una modesta crescita, sostiene il vicesegretario generale, Yves Leterme. L’Ocse prevede una "modesta ripresa" nella seconda metà del 2013. Tra i problemi evidenziati, il sistema bancario, lo stallo degli investimenti e la disoccupazione. Una crescita più "forte" è invece prevista per il 2014.
(02 settembre 2013)