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 2013  settembre 01 Domenica calendario

«MI SENTO SOLO, HO TANTI AMICI MA LE DONNE MI SNOBBANO»

Forse non tutti sanno che George Orwell era un uomo a cui nessun lavoro stava stretto. Dal lavapiatti in Francia all’ufficiale di polizia in Birmania e al clochard in Inghilterra, combattente in Spagna, corrispondente di guerra in Germania (anche per la radio), nonché fattore nelle isole Ebridi. «Ho lavorato cinque anni per la Imperial Police in Birmania, ma il lavoro non si confaceva per nulla alle mie capacità: così ho dato le dimissioni... Volevo diventare uno scrittore, e ho vissuto la maggior parte degli anni successivi al 1927 a Parigi, mantenendomi con i miei risparmi, scrivendo romanzi che nessuno avrebbe pubblicato». Cento vite vissute al massimo, anche perché aveva sempre pensato che il suo destino fosse quello di morire presto. E infatti morirà a 46 anni nel gennaio del 1950, di tubercolosi. «Voglio stare vivo per almeno 10 anni ancora, ho un sacco di lavoro da sbrigare, e devo stare dietro a Richard (il figlio adottivo, ndr)», scriveva sei mesi esatti prima della morte, cinque anni dopo aver scritto La fattoria degli animali, l’unica opera a dargli un po’di stabilità economica.
Con la morte ebbe un rapporto strano. Sembrava sentirla. Eileen O’Shaughnessy, la sua prima moglie, che morirà a 39 anni durante un intervento chirurgico era una donna frizzante, di notevole intelligenza. Ciò non impedirà a Eric Blair - il nome al secolo di Orwell - di avviare una ricerca assai poco inconsolabile per trovare una degna erede dell’amata. «A volte mi sento così disperatamente solo. Ho centinaia di amici ma non una donna che nutra un serio interesse per me e capace di incoraggiarmi».
Tutto ciò salta fuori da un libro ripubblicato negli Usa, A life in letters. Selected and Annotated by Peter Davison (Liveright Publishing, pp. 542, dollari 35). Si tratta non soltanto di lettere scritte da Orwell, ma anche di parecchie da lui ricevute. Così la miscellanea offre uno scorcio a tutto tondo, anche grazie all’opera della moglie e vedova di Orwell, Sonia Brownell, che fu anche la sua co-editor.
I suoi giudizi letterari appaiono un po’eccessivi ed azzardati. Frutto probabilmente della sua identificazione con le grandi cause del tempo: Orwell aveva la capacità di calarsi dentro i conflitti che lo attiravano in modo irresistibile. «Penso, e l’ho fatto da quando è scoppiata la guerra, nel 1936 o giù di lì, che la nostra causa sia migliore, ma dobbiamo continuare a renderla tale, e questo comprende anche un atteggiamento critico costante ». In generale, pronunciava verdetti aguzzi, venati dalla stessa idiosincrasia che manifestava in politica. Secondo lui, per fare un esempio illuminante, Henry James lo annoiava in maniera insopportabile mentre di Francis Scott Fitzgerald pensava che fosse un autore decisamente sopravvalutato (overrated): considerava Tenera è la notte un libro privo di forza come Il Grande Gatsby. Per lui l’Ulisse di James Joyce rimaneva un’opera discutibile, mentre era un capolavoro Il nudo e il morto di Norman Mailer. Nutriva invece un’ammirazione notevole per Joseph Conrad.
La sua tolleranza, per così dire etica e religiosa, al contrario dei giudizi letterari, era forse molto più ampia e di larghe vedute. Accoglierà con gioia - in uno scambio epistolare sentito - Il tropico del Cancro e il suo autore Henry Miller quando il romanzo era considerato osceno, al momento della pubblicazione nel 1930.
Nelle lettere assistiamo inoltre all’incubazione di alcuni suoi lavori, come dal buco della serratura. Nel 1940, per esempio, scriveva: «Sto covando un enorme romanzo, una saga familiare di un tipo di cose», mentre nove anni dopo parlava di un romanzo sbocciato nella sua testa che non sapeva se avrebbe potuto terminare, anzi di non sapere «se sarebbe sopravvissuto per finirlo».
Nel 1944 scriveva: «Hitler, non c’è dubbio, scomparirà presto, ma solo a spese di un rafforzamento di Stalin, di miliardari angloamericani e di tutti i tipi di piccoli führer del genere di De Gaulle».
Una delle lettere più intriganti resta quella di una sua compagna di giochi, scritta circa un quarto di secolo dopo la morte di Orwell. Si tratta di Jacintha Buddicom, di cui Eric Blair - prima ancora di trasformarsi nello scrittore famoso - si era innamorato. La donna confesserà che in 1984 Orwell le avrebbe cucito addosso un ritratto al curaro, forse perché lei l’ave - va respinto, cosa per cui provava ormai un acuto rimpianto. «Avrei voluto essere pronta quando Eric - al ritorno dalla Birmania - mi chiese in sposa. Mi ci sono voluti parecchi anni per capire che eravamo tutti creature imperfette, ma Eric era la meno imperfetta di tutte quelle che ho incontrato ».