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 2013  settembre 01 Domenica calendario

«PICCO SUL BRENT A 120$ MA NIENTE CRISI PETROLIFERA»

«In caso di attacco alla Siria ci potrebbero essere dei picchi sul prezzo del Brent a 120 dollari al barile, ma solo per motivi psicologici legati ai timori d’estensione del conflitto come nelle guerre del Golfo del 1991 e del 2003. Successivamente il sistema petrolifero globale sarebbe capace di calmierare il greggio perché ci sono le riserve strategiche e una sovraccapacità produttiva nel mondo», dice Leonardo Maugeri, docente alla Kennedy School of Government all’Università di Harvard e presidente del Fondo d’investimento statunitense Ironbark Investments.

«Gli Stati Uniti sono pronti a mettere sul mercato 30 milioni di barili di riserve strategiche da subito rispetto ai 700 milioni di barili di scorte complessive e poi essere pronti a immetterne altri se fosse necessario», spiega Maugeri. «Come seconda mossa c’è un’intesa con i Paesi dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) per una politica più estesa di immissioni di scorte strategiche sul mercato e, infine, come misura temporanea, Washington ha già discusso con i sauditi per poter far fronte a eventuali picchi. L’Arabia Saudita potrebbe usare quei 3 milioni di greggio di capacità non utilizzata (spare capacity) per calmierare i prezzi poiché produce 9,5 mbg rispetto ai 12,3 mbg di capacità».

Insomma, non pare ci siano grandi rischi per il greggio da questo eventuale conflitto nell’area che produce un terzo del petrolio mondiale. «È probabile che gli Stati Uniti utilizzeranno le scorte strategiche così come fecero nel 1991 nella Prima Guerra contro l’Iraq. Allora il 16 gennaio 1991, contemporaneamente all’annuncio dell’attacco, il prezzo del petrolio scese da 30 a 20 dollari al barile. In un solo giorno crollò del 30%».

Negli Stati Uniti è in atto una rivoluzione del petrolio e anche in altri Paesi c’è un ciclo espansivo degli investimenti che dura da almeno 4 anni. «Per questo c’è un gap tra capacità produttiva mondiale e il consumo pari a 7 milioni di barili al giorno in più», spiega Maugeri. Una parte di questo surplus va a costituire le scorte, una parte non viene prodotta soprattutto dall’Arabia Saudita, una parte non arriva sul mercato a causa di instabilità politica.

«In Libia ad agosto la produzione è crollata da 1,5 mbg a 500mila al giorno a causa scioperi e tensioni politiche. Poi ci sono Paesi come la Nigeria che stanno producendo 400mila barili a giorno in meno. Oggi si stima che 2,5 mbg non arrivano sul mercato per tensioni politiche, scontri, incidenti al sistema di trasporto (Libia, Nigeria, Yemen, Sudan, Egitto). Poi c’è 1 mbg che non arriva sul mercato per le sanzioni internazionali (Iran) e infine altri 3,5 milioni di capacità produttiva non utilizzata per manutenzione nelle piattaforme nel Mare del Nord o del Golfo del Messico o per volontà dell’Arabia Saudita».

Ricadute sull’Eni? «Per le società europee e quindi per l’Eni i problemi principali sono in Paesi come Nigeria, Angola, Libia, Egitto e in caso di estensione della guerra siriana all’Iraq. Ma non credo alla possibilità di un’estensione su larga scala. Ci potrebbero essere alcuni tentativi disperati di bombardare qualche oleodotto. Gli Usa, come prima opzione, colpiranno prima le basi missilistiche siriane per eliminare la possibilità di estendere il conflitto».

Quindi il perno resta Riad. «L’Arabia Saudita è la banca centrale del sistema petrolifero perché può decidere di immettere liquidità nel sistema e ridurre i prezzi in un solo giorno. Ma se c’è una rivoluzione in Arabia e arrivano al potere i fondamentalisti, il prezzo del petrolio andrebbe a 200 dollari, per questo gli Usa non potranno mai voltare le spalle a Riad».

C’è anche un vento nuovo in America. La produzione di petrolio americano ha aggiunto 91mila barili al giorno arrivando a quota 7,61 mbg nella settimana terminata il 23 agosto, il livello più alto da ottobre 1989 secondo i dati Aie. «Nel 2007 gli Usa producevano solo 5 mbg, ma grazie allo shale oil entro il 2017 produrranno 11,4 mbg. Inoltre è calato il consumo di petrolio perché ci sono più utilitarie nelle strade americane».