Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 26/06/2013, 26 giugno 2013
QUELL’ANTICO MONASTERO RIFUGIO DI POVERI E PELLEGRINI
Fin dai primi secoli dopo Cristo, il 29 giugno di ogni anno, Roma veniva invasa da pellegrini provenienti da tutta Europa. Il poeta Prudenzio, vissuto nella seconda metà del quarto secolo, descrive in un carme epico le folle concitate che si dividevano, correndo e pregando, tra la basilica di San Pietro sulla riva destra del Tevere e quella di San Paolo sulla riva sinistra. Ma dove e come venivano accolte queste schiere di visitatori? Si sapeva dalle fonti storiche che all’ospitalità dei pellegrini erano riservati i monasteri. E che tra il quarto e il nono secolo ne furono costruiti cinquantasei, dentro e fuori le mura, presso i santuari più importanti. Ma fino ad oggi non si era trovato alcun riscontro archeologico a queste notizie. Ora i resti del più antico monastero della città sono riemersi a tre metri sotto terra a fianco della basilica di San Paolo e, allestiti in un museo, saranno visibili dopo l’inaugurazione prevista per giovedì. Dal 28 giugno, con un unico biglietto (4 euro per i singoli visitatori, 2 per chi è in gruppo) si potranno ammirare, in un unico itinerario, la basilica, il chiostro dell’attuale monastero, la pinacoteca, la cappella delle reliquie, l’area archeologia e la nuova galleria espositiva che accoglie i 900 reperti venuti alla luce durante i lavori di scavo del monastero antico. Questa galleria si trova nella palazzina costruita una decina di anni fa, tra il lato meridionale della chiesa e l’orto dell’abbazia benedettina, per accogliere i fedeli che ancora oggi si recano a pregare sulla tomba dell’apostolo.Fu proprio la decisione di edificare la palazzina che portò alla scoperta dell’antico monastero. L’importanza delle strutture murarie, rinvenute durante i sondaggi archeologici preventivi, indusse i Musei Vaticani, in collaborazione con il Pontificio istituto di archeologia cristiana, a proseguire le ricerche nell’area circostante, che tra l’altro non era mai stata indagata in precedenza. E quello che è venuto alla luce, grazie ai lavori diretti da Giorgio Filippi e Lucrezia Spera, conferma quanto gli scrittori antichi avevano raccontato. Dagli scavi, che hanno interessato un’area di circa 1200 metri quadrati, sono emersi gli ambienti destinati all’accoglienza dei poveri e dei pellegrini: una grande sala con il pozzo che doveva avere funzioni di refettorio, un lungo corridoio con vani di servizio, un monumentale colonnato di età altomedievale che Vincenzo Fiocchi Nicolai, rettore del Pontificio istituto, ha interpretato come il rifacimento del porticus descritto dallo storico Procopio. Questo portico era stupefacente. Procopio, narrando le vicende riferite alla guerra gotica (537-556), dice che il santuario di San Paolo, nonostante si trovasse fuori le mura, restò inviolato, difeso «da un portico che dalla città va fino al tempio e da molti altri edifici che ivi presso rendono il luogo di non facile attacco». La costruzione, lunga quattro chilometri, è stata ricreata in uno dei disegni esposti nelle bacheche collocate in vari punti dell’area archeologica, allestita per le visite da Spera e da Umberto Utro. È stata ritrovata anche una «fistula» (tubatura in piombo), con una iscrizione che indica fosse di pertinenza «Sancti Pauli». Portava acqua alle case dei poveri e al «balneum», fatti costruire da papa Simmaco tra il V e il VI secolo. Alla fine del VI, Gregorio Magno fece edificare due monasteri: uno femminile dedicato a santo Stefano, l’altro maschile dedicato a Cesario martire di Terracina.I resti delle mura permettono di osservare il metodo con cui venivano costruite nell’alto medioevo, inglobandovi di tutto, dai mattoni ai resti di statue antiche, a interi rocchi di colonne in marmo. E rilevanti sono anche le grandi vasche, addossate alla parete esterna della sala-refettorio, dove veniva polverizzato il marmo per ricavarne la calce da impastare nella malta. Con il passare degli anni, questo edificio più antico venne abbandonato. «Molto probabilmente a causa delle alluvioni del Tevere», racconta Utro. Il fiume infatti scorre a poche centinaia di metri e la zona era paludosa e malsana, tanto che i monaci d’estate preferivano trasferirsi in città, in Santa Maria in Trastevere. Il monastero si ritirò verso la parte più alta, dal lato della via Ostiense, dove resiste ancora oggi, con il suo orto segreto, il chiostro di opera cosmatesca con le colonnine tortili intarsiate di mosaici, il giardino di agrumi. Per i lavori di scavo si sono dovuti sradicare una trentina di limoni, che però sono stati trapiantati nel Giardino Quadrato in Vaticano, dove pare che vivano felici. Il grande progetto, che è stato coordinato dal direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, ha coinvolto specialisti di tutte le discipline, compresi Vittoria Cimino dell’Ufficio del Conservatore, che ha curato la stazione di monitoraggio ambientale, e Giovanni Carbonara dell’Università La Sapienza, che ha restaurato le strutture murarie.
Lauretta Colonnelli