cr. t., la Lettura (Corriere della Sera) 01/09/2013; Sam Kean, ib.; Marco Malvaldi, ib.; Maurizio Persico, ib.; Piersandro Pallavicini, ib.; Gianni Fochi, ib., 1 settembre 2013
6 ARTICOLI - I NARRATORI DELLA TAVOLA PERIODICA
Capire la realtà e il mondo che ci circonda partendo dagli elementi primi. Il Festivaletteratura 2013 si è posto questo obiettivo e ha deciso di declinare il tema scegliendo una serie di fili conduttori che vanno alle origini. Si legge la realtà attraverso i semi, le piante, le genealogie, ma anche attraverso la tavola periodica degli elementi. Lo schema continuamente riveduto di Mendeleev, secondo il quale vengono ordinati gli elementi attraverso il loro numero atomico (nei giorni scorsi scienziati svedesi avrebbero trovato l’elemento, ancora senza nome, 115) evade dalle strette maglie della chimica e percorre la strada intrapresa in passato da Primo Levi nella sua raccolta Il sistema periodico (1975). In quel libro lo scrittore-chimico raccontava la sua vita in 21 racconti, uno per ogni elemento, dall’argon al carbonio.
Dietro ogni simbolo e ogni numero atomico d’altronde, come spiega bene Sam Kean nel volume Il cucchiaino scomparso e altre storie della tavola periodica degli elementi (Adelphi) si aprono finestre che riguardano tutti gli ambiti dell’esperienza e della conoscenza umana, dall’antropologia alla storia, dalla politica all’arte, dalla cosmologia alla medicina. A Mantova Kean sarà uno dei protagonisti degli incontri della tavola periodica: racconterà la storia dell’alluminio; lo scrittore Marco Malvaldi (che a fine settembre esce da Sellerio con un romanzo intitolato Argento vivo) parlerà dell’ascesa e caduta del mercurio, mentre Piersandro Pallavicini del mistero dell’oro, metallo nobile per eccellenza. Due chimici, Maurizio Persico e Gianni Fochi faranno la biografia, rispettivamente, di carbonio e cloro. In queste pagine ci anticipano di che cosa parleranno. (cr.t.)
ALLUMINIO: IL METALLO PREZIOSO CHE SCATENO’ GUERRE - Oggi associamo l’alluminio alle lattine di Coca-Cola e ai rotoli da cucina, un metallo usa e getta. Ma per un lungo periodo, nell’800, l’alluminio è stato il metallo più prezioso, che valeva assai più dell’argento e perfino dell’oro. Questo perché, anche se è il metallo più diffuso sulla crosta terrestre, si trova sempre fortemente legato ad altri elementi, come l’ossigeno. È quindi molto difficile isolarne campioni puri; per molto tempo nessuno è stato in grado di farlo. Non appena gli scienziati ci sono riusciti, si sono accorti che possedeva qualità prodigiose: era leggero, ma anche resistente e di aspetto gradevole, e lo hanno classificato tra i metalli preziosi. È quindi rapidamente diventato una sorta di status symbol, re e imperatori hanno combattuto per entrarne in possesso. La storia spazia in tutto il mondo, si parla di ragazzi geniali e di imperi in decadenza, e anche di enormi somme di denaro. La tavola periodica è una fonte ricca di storie divertenti, strane e inquietanti sul mondo naturale, forse la più ricca nell’ambito delle scienze. Le storie che riguardano l’alluminio sono particolarmente interessanti, perché è un elemento che tutti noi pensiamo di conoscere bene, ma che rivela un passato segreto che pochi ricordano.
Sam Kean
(traduzione di Maria Sepa)
MERCURIO: ORNAMENTI, TERMOMETRI, ESPERIMENTI. MA OGGI NON SERVE PIU’ A NULLA - Parlare del mercurio è abbastanza facile, perché tutti ne conosciamo più o meno le proprietà peculiari (chi non ha mai rotto un termometro?). Prima fra tutte, la sua misteriosa abitudine di presentarsi in forma liquida pur essendo un metallo. Il primo utilizzo del mercurio fu per scopi estetici, come le bacinelle ornamentali che adornavano le feste dei mercanti arabi. Ma, pensarono presto i nostri progenitori, un oggetto così bello, deve per forza essere anche utile; per questo motivo, il primo utilizzo del mercurio diverso dall’arredamento fu come medicinale. Ben prima dei medici europei che nel ’700 si tenevano sotto il naso una ampollina del liquido contro la peste, l’imperatore cinese Qin Shi Huang ne ingeriva pillole per assicurarsi l’immortalità. Il regnante in questione andò un pochino più in là, nell’utilizzo dell’argento vivo: essendosi fatto costruire una tomba che rappresentava il proprio regno in miniatura, decise che i fiumi e i laghi del modellino dovessero trasportare mercurio, invece che acqua. Un’altra caratteristica interessante del mercurio è la propria densità, a cui è legato uno degli esperimenti più eleganti della storia della fisica, grazie al quale Torricelli dimostrò l’esistenza della pressione atmosferica. L’apparato sperimentale era costituito da un tubo lungo un metro, pieno di mercurio, inserito in una vaschetta ricolma dello stesso liquido; se avesse dovuto usare dell’acqua, il buon Giovanbattista avrebbe dovuto usare un tubo lungo circa dieci metri, il che avrebbe causato qualche disagio. Da lì in poi, il mercurio cominciò ad essere usato a piene mani dagli sperimentatori; tanto che qualsiasi sviluppo tecnologico ha coinvolto il mercurio, dall’elettricità (pile al mercurio) all’illuminazione (lampade a mercurio) ai computer: le memorie dei primi elaboratori preprogrammati erano costituite proprio da tubi di mercurio, che funzionavano sfruttandone le proprietà acustiche. E adesso? Come è noto da tempo, «bello» non significa necessariamente «buono»: il mercurio è uno degli elementi più tossici e pericolosi della tavola periodica e il suo utilizzo oggi è praticamente (e giustamente) bandito. Siamo passati dai tubi di Torricelli a quelli di memoria dei primi calcolatori per arrivare al giorno d’oggi, dove possiamo dire con ragionevole certezza che il mercurio praticamente non serve più a un tubo.
Marco Malvaldi
CARBONIO: LE PREVISIONI (SBAGLIATE) SUL CLIMA: L’EFFETTO SERRA ARRIVA IN ANTICIPOPrendiamo le mosse dal racconto di Primo Levi intitolato «Carbonio», la storia di un atomo di carbonio che, all’inizio, fa parte di una roccia calcarea, come quelle che formano i nostri Appennini. Poi un colpo di piccone stacca un pezzo di roccia e lo avvia ad essere arrostito in un forno per la calce. Dal forno l’atomo di carbonio esce sotto forma di biossido (CO2), libero nell’aria. Viene così immesso nella parte più attiva del ciclo geochimico del carbonio, cioè gli scambi tra atmosfera, biosfera e oceani. Le piante assorbono CO2 dall’aria, trasformano il carbonio in composti organici ad alto contenuto di energia con l’aiuto della luce solare (fotosintesi) e rilasciano ossigeno. Negli ultimi 6-700 milioni di anni, la fotosintesi ha prodotto quasi tutto l’ossigeno dell’aria a partire da CO2 e parte del carbonio è stato sepolto sotto forma di carbone, petrolio e metano (i combustibili «fossili»). Piante, animali, batteri ed altri organismi usano i composti organici per produrre energia, «bruciandoli» con l’ossigeno dell’aria: in questo modo restituiscono CO2 all’atmosfera. Questo ciclo sarebbe ben bilanciato, se non fosse per le attività umane. Usando i combustibili fossili immettiamo nell’atmosfera 8-9 miliardi di tonnellate all’anno di carbonio, sotto forma di CO2. Nell’ultimo secolo la quantità di CO2 nell’aria è aumentata del 40%. Già nel 1896 lo scienziato svedese Svante Arrhenius valutava correttamente l’entità del cosiddetto «effetto serra», dovuto principalmente a vapore acqueo e CO2: la temperatura dell’aria vicino al suolo è circa 32° C più alta rispetto a quella che avremmo con un’atmosfera priva di questi gas. Predisse quindi che questo avrebbe portato ad un clima più caldo: «Possiamo sperare di godere di ere con climi più uniformi e migliori...». Arrhenius viveva in un’epoca dominata dall’ottimismo positivista, e poi… abitava in Svezia. Oggi gli scienziati sono molto più preoccupati di Arrhenius, perché il cambiamento climatico potrebbe essere troppo rapido per i tempi di reazione e adattamento delle attività umane e degli ecosistemi. Sulla base delle previsioni di consumo dei combustibili di inizio 900, basate sui dati dell’economia mondiale, Arrhenius credeva che ci sarebbero voluti circa 3.000 anni per raddoppiare il contenuto di CO2 nell’atmosfera; invece, avverrà prima del 2050. Questo errore illustra un problema molto acuto riguardo alle previsioni sul futuro: non ci dobbiamo fidare troppo degli scienziati e dei loro modelli, ma ancor meno degli economisti.
Maurizio Persico
ORO: IL COLORE CONQUISTA ALCHIMISTI E CUOCHI - Nel Museo Egizio del Cairo è conservato un geroglifico del 3000 a.C. in cui si parla di oro. Mette una qualche vertigine pensare che la metallurgia del ferro cominci quasi duemila anni dopo. Mette una qualche vertigine anche pensare che oggi l’oro sia un metallo impiegato in gastronomia. Non che abbia la stessa ubiquità del prezzemolo, ma c’è chi lo utilizza nei suoi piatti. Gualtiero Marchesi, per dire, del Riso e Oro ha fatto il suo celebre piatto-signature: su di un risotto che grossomodo potremmo chiamare «alla milanese», il più grande cuoco italiano stende una spettacolare foglia del metallo prezioso. Prendiamoli come dati sperimentali: sono separati da 5.000 anni eppure strettamente collegati. Così come è collegato il fatto che l’oro sia da sempre metallo prezioso, bene rifugio, standard per sistemi monetari. Il nesso sta nella nobiltà. Cioè in quella speciale proprietà chimico-fisica che compete all’oro e a pochi altri elementi metallici della tavola periodica e che, semplificando, si può descrivere col loro essere inattaccabili dagli acidi, dall’acqua, dall’aria. Così, un metallo nobile come l’oro non si combina con nulla e in natura lo ritroviamo allo stato elementare, tal quale, in pepite o pagliuzze, e lo possiamo usare senza timore nei cibi perché è inerte, non ha sapore o odore, non reagirà con i succhi gastrici, non sarà tossico. Questo non basta a farne il metallo prezioso par excellence? Vero. Infatti è anche estremamente raro: tutto l’oro estratto nel mondo dall’antichità a oggi formerebbe un misero cubo di 21 metri di lato. Ma forse quel che più conta è la sua bellezza, il colore caldo come il sole, diverso da quello dei suoi compagni nobili ma algidi, bianco-argentei (salvo il «nobilastro» rame). E valore, nobiltà, rarità, bellezza sprigionano da sempre una scia magico-esoterica, un alone di mistero. La trasmutazione del piombo in oro è stato il sogno di ogni alchimista, irrealizzato e irrealizzabile, come ci spiega la scienza moderna. Forse potrà consolare gli appassionati d’alchimia sapere che l’oro è rimasto nel mistero anche per gli scienziati del 900, che pur armati della meccanica quantistica non riuscivano a interpretarne alcune proprietà, tra cui proprio il bel color del sole. Che nobiltà, l’oro: ci sono voluti gli anni 70 per accorgersi che, per lui, si deva ricorrere nientemeno che alla teoria della relatività.
Piersandro Pallavicini
CLORO: CONSIDERATO (A TORTO) NEMICO NELL’AMBIENTE - Il cloro è senz’altro l’elemento chimico più detestato dagli ambientalisti, ma per capirne la complessa realtà occorrono molti punti di vista. Cominciamo allora da due aspetti negativi. Nella Prima guerra mondiale i tedeschi usarono il cloro nel 1915: prima invano contro i russi, poi a Ypres in Belgio, dove invece riuscirono a uccidere in un colpo cinquemila nemici. Nel libro La chimica fa bene (Giunti) illustro il ruolo che nella guerra chimica ebbe Fritz Haber, futuro premio Nobel per la sintesi dell’ammoniaca, che aprì la strada alla produzione dei fertilizzanti sintetici («l’aria trasformata in pane»), ma venne fieramente osteggiato proprio per il ruolo bellico. Vita tormentata, la sua: finì avversato sia dai «politicamente corretti» del suo tempo, sia dai nazisti, e morì esule. C’è poi stata la diossina, emblema dell’inquinamento industriale: Seveso, luglio 1976. Le sofferenze e i disagi furono gravissimi. La diossina di Seveso è uno dei tanti membri della famiglia delle diossine, noto anche con la sigla Tcdd, che sta per tetraclorodibenzodiossina. Guai però a fermarsi qui. L’avversione degli ambientalisti alle sostanze clorurate ha fatto danni assai più gravi. In Fischi per fiaschi nell’italiano scientifico (Longanesi), riassumo quanto accadde in Perù fra il 1991 e il 1996. Un’epidemia di colera colpì ottocentomila persone, uccidendone oltre seimila. Fatalità? Nient’affatto! Gli acquedotti peruviani erano in condizioni pessime e avrebbero richiesto un ricorso abbondante ai disinfettanti clorurati. Le autorità diedero però retta a ecologisti influenti e non se ne fece di nulla. Svariate sono le applicazioni utili di sostanze che contengono cloro. Il sale da cucina (cloruro di sodio) conserva i cibi (salumi, aringhe, cetriolini in salamoia) per osmosi. Salva inoltre molte vite agendo, ancora per osmosi, nelle flebo. Quanto ai materiali, il Pvc (polimero del cloruro di vinile) è una materia plastica economica, versatilissima e non infiammabile. Insomma non ha senso prendersela con un elemento chimico di per sé. Se l’insegnamento delle scienze nella scuola funzionasse, tutti avrebbero ben chiara l’idea che le proprietà, buone o cattive che siano, non appartengono agli elementi, ma alle sostanze che essi formano. Il cloro e i suoi composti non fanno eccezione: alcuni sono nocivi, altri invece benemeriti.
Gianni Fochi