Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera 01/09/2013, 1 settembre 2013
L’EX VICEPARROCO DIVENTATO DIPLOMATICO. E’ IL PIU’ GIOVANE DAL DOPOGUERRA —
«Quello che mi ha colpito è che è cambiata completamente la percezione che c’era della Chiesa. Da una Chiesa assediata, con mille problemi, una Chiesa che sembrava diciamo così un po’ ammalata, siamo passati ad una Chiesa che si è aperta». Chissà se l’arcivescovo Pietro Parolin, quando a fine giugno parlava da nunzio al quotidiano venezuelano Últimas Noticias — l’intervista, uscita il 4 agosto, è stata rilanciata ieri da Terredamerica.com — immaginava che proprio Francesco ne avrebbe fatto un simbolo del nuovo corso.
Domenico Tardini, «ministro degli esteri» di Pio XII e poi Segretario di Stato di Giovanni XXIII, a chi gli diceva che quella vaticana è la prima diplomazia del mondo replicò: «Figuriamoci la seconda». Ma la stessa ironia del grande diplomatico dimostrava l’eccellenza di una scuola che forma le sue élite nell’Accademia di piazza della Minerva, a Roma, e aveva sempre considerato Bertone una sorta di «corpo estraneo». Monsignor Parolin viene da lì e in questo senso rappresenta un ritorno alla normalità, per la Terza Loggia, dove dal ’92 ha lavorato per diciassette anni — gli ultimi sette come sottosegretario per i rapporti con gli Stati e quindi «numero tre» della Segreteria — prima della nomina a nunzio in Venezuela.
Nato a Schiavon, in provincia di Vicenza, il 17 gennaio 1955 — a 58 anni è il più giovane Segretario di Stato dal dopoguerra —, quel ragazzo rimasto orfano di padre a dieci anni e cresciuto con la sorella e il fratello dalla mamma Ada, maestra elementare, dalla quale ogni estate passa tuttora le ferie, entra in seminario quattordicenne e dimostra di avere stoffa: dopo la maturità classica, e gli studi in filosofia e teologia, passa due anni da viceparroco a Schio e prima di andare a Roma a studiare Diritto canonico alla Gregoriana. Il giovane ha talento e nell’83, a 28 anni, entra pure nella pontificia Accademia ecclesiastica. Nell’86 comincia il suo servizio diplomatico, in Nigeria fino all’89, in Messico fino al ’92, prima di tornare a Roma ed entrare in Segreteria di Stato. Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, si è occupato di innumerevoli dossier. Soprattutto è esperto di Medio Oriente (nel dicembre 2008 arrivò tra l’altro a guidare la delegazione che partecipa ai lavori della commissione bilaterale tra Santa Sede ed Israele) e del continente asiatico in generale, dal Vietnam alla Cina. Quando Ratzinger lo ha ordinato vescovo, nel 2009, ha scelto come motto le parole della lettera di San Paolo ai Romani: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?».
Perché c’è un altro punto, oltre alla preparazione diplomatica, che ha convinto il Papa. Bergoglio lo conosce da anni. Nel volo di ritorno dal Brasile, citava a modello il cardinale Casaroli che andava a trovare i giovani detenuti di Casal del Marmo e Giovanni XXIII che gli diceva, al ritorno da una missione internazionale: «Non li abbandoni mai». Il pastore deve avere l’«odore delle pecore», dice Francesco, e il diplomatico Parolin non ha mai rinunciato a fare il sacerdote. Ci sono condomini di Roma dove ancora se lo ricordano mentre andava a trovare anziani e persone che avevano bisogno di una guida spirituale, senza magari sospettare che quel prete in clergyman fosse già allora ai vertici della Santa Sede.
Gian Guido Vecchi