Leonardo Jattarelli, Il Messaggero 1/9/2013, 1 settembre 2013
ITALIA ROSSO SANGUE
Talvolta basta scorrere un po’ di pagine, sottolineare qualche riga, cinque-sei “orecchie” al foglio, magari un evidenziatore per i passaggi più incisivi... Provate ad applicare queste regole per la lettura di un tomo di 710 pagine intitolato Italia Giallo e Nera (Newton Compton, 9,90 euro) e capirete il valore “fuori dalle regole” di un’opera monumentale, scritta a quattro mani da Emanuele Boccianti e Sabrina Ramacci. L’impresa è complicata per il semplice motivo che quell’Italia lì, sangue e orrore, stragi e depistaggi, delitti “d’onore”, bande, terrorismo, omicidi in famiglia, serial killer, sono ormai parte del nostro Dna. Ed è questa orrenda scoperta la piacevole sorpresa del libro; una sorta di piccola-grande magnifica condanna a ritrovare e ritrovarsi in decenni di cronaca nera, dall’Unità d’Italia ad oggi. Cosa c’è di orrendo? La consapevolezza di essere da sempre inchiodati alla poltrona di spettatore di un Paese che gronda sangue da ogni ferita di confine regionale, politico, storico, familiare, sessuale. E questo libro ti dimostra che non esiste spartiacque anagrafico che abbia valore salvifico. Cosa di piacevole? Che d’ora in poi, dopo aver sfogliato una simile blood-moviola, potresti forse cominciare a fare qualcosa perché questa Italia sia sempre meno “gialla e nera”.
«La storia non è che un quadro di delitti e sventure» cita Voltaire all’inizio della sua introduzione all’opera, Massimo Lugli, giornalista e scrittore e ancora: «Questo libro è la dimostrazione di quanto l’impulso di Caino sia radicato in profondità nell’animo umano». E l’incipit dei due autori, Boccianti e Ramacci, è esaustivo di un lavoro prezioso, certosino, metodico: «I morti ammazzati non vanno lasciati in pace. Bisogna disturbarli e poi, dopo averli fatti riposare, di nuovo tornare a tormentarli, ancora e ancora. Non è mancanza di rispetto, anzi. Il loro sguardo è prezioso, la loro prospettiva indispensabile per capire quello che è stato e quello che sarà».
CONDANNA A MORTE
Ecco allora che quelle che potrebbero risultare una sorta di pagine gialle del crimine in realtà vengono costruite con la logica del piccolo racconto nel racconto; come una matrioska del Paese reale dove ci trovi dentro il delittaccio di provincia ma anche l’agghiacciante, brutale ritratto di un’Italia tristemente incorreggibile e masochista, che torna troppo spesso sul luogo del delitto reiterando i suoi peccati mortali.
Tutto ha inizio nel 1861 quando Milano attende sulla forca un condannato a morte, Antonio Boggia, già soprannominato il Mostro di Stretta Bagnera, vicolo dei Navigli. Ha ucciso quattro persone, massacrandole a colpi di coltello. Si tratta dell’ultima condanna a morte eseguita nel Regno d’Italia che il 17 marzo di quello stesso anno diventa Stato.
È del 1902 la scoperta di un corpo in avanzata decomposizione che viene ritrovato in un appartamento di Milano. La vittima è Francesco Bonmartini e su questo delitto l’Italia si dividerà per in innocentisti e colpevolisti; nel 1974 Mauro Bolognini girerà sul “caso” il suo Fatti di gente perbene. Scorri le pagine e il giugno del 1924 ti inchioda al delitto Matteotti, quattro anni dopo sarà la volta dei delittacci di un serial killer tra Roma e La Spezia: il Landru del Tevere strangola le sue vittime, le sevizia e compie atti di necrofilia sui corpi. E così di mostruosità in mostruosità: dalla follia della saponificatrice di Correggio al mostro di Nerola nel ’44, dal Gobbo del Quarticciolo nella Roma occupata dai nazisti per entrare poi nel dopoguerra con la Strage di Portella della Ginestra. E l’affare Montesi: Wilma esce dalla sua casa di via Tagliamento per recarsi con il treno sul litorale, ad Ostia; la ragazza, 21 anni, viene ritrovata a Torvajanica con il viso immerso nella sabbia.
LO STRAGISMO
Di delitto in delitto, dal “caso” Bebawi nel ’64 della Dolce Vita romana, il miliardario egiziano trovato morto con quattro colpi di pistola e il volto sfigurato dall’acido, alle imprese della banda Cimino mentre pochi anni dopo, nel ’69, ha inizio il lungo elenco dello stragismo con la tragedia di Piazza Fontana, nel ’72 viene ucciso il commissario Luigi Calabresi, iniziano le imprese criminose della Banda della Magliana, nel ’74 ecco la strage di Piazza della Loggia a Brescia e quella dell’Italicus poi il rapimento Moro e il massacro di via Fani... Flash da brividi su Ustica, Bologna, il delitto di via Poma, quello della contessa Alberica Filo della Torre all’Olgiata. Una pagina per la strage di Capaci, per la morte della giornalista Ilaria Alpi. Fino all’altro ieri: il “caso” Cogne, il delitto di Meredith Kercher, quello di Sara Scazzi e di Melissa Bassi, la studentessa morta nell’attentato di Brindisi lo scorso anno.
«Il nostro punto d’osservazione? All’altezza dell’asfalto - dicono gli autori - degli scantinati, della terra umida, delle culle...Dall’alto non si vedrebbero le persone, né quello che loro hanno da mostrarci».