Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera 2/9/2013, 2 settembre 2013
CITTÀ DEL VATICANO —
«Un intreccio di corvi e di vipere». Il cardinale Tarcisio Bertone parla da Siracusa, fuori dal Santuario della Madonna delle Lacrime, prima di recitare il rosario per celebrare i 60 anni dal «prodigio della lacrimazione». Non che il tono del Segretario di Stato uscente, all’indomani del «pensionamento» dopo sette anni al vertice della Terza Loggia, sia peraltro lacrimevole. A tratti, come l’accenno alle «accuse» contro di lui, agli «attacchi» subiti da «corvi e vipere», si fa piuttosto sferzante. Talvolta un po’ amaro, come quando esclama: «Non si può affermare che non abbia cercato di servire la Chiesa». Un modo di mettere i puntini sulle «i» e abbozzare, per la prima volta, un bilancio.
Premessa, venata di autocritica: «Ho dato sempre tutto ma certamente ho avuto i miei difetti, se dovessi ripensare adesso a certi momenti agirei diversamente. Però questo non vuol dire che non si sia cercato di servire la Chiesa». Così «il bilancio di questi sette anni lo vedo positivo», considera Bertone: «Naturalmente ci sono stati tanti problemi, specialmente negli ultimi due anni, mi hanno rovesciato addosso accuse... Un intreccio di corvi e vipere... Però questo non dovrebbe offuscare quello che ritengo sia un bilancio positivo».
Il cardinale non nomina mai esplicitamente la vicenda Vatileaks, ma non ce n’è bisogno. Le sue parole suonano come una replica a chi legge il suo lavoro al vertice della Segreteria di Stato in antitesi al Papa, una sorta di contropotere che Benedetto XVI avrebbe spezzato con la rinuncia storica al pontificato, per azzerare la situazione e cambiare aria. «A volte ci sono dei bilanci viziati un po’ da pregiudizi. Un bilancio onesto non può non tener conto del fatto che il segretario di Stato è il primo collaboratore del Papa, un esecutore leale e fedele dei compiti che gli vengono affidati. Cosa che ho fatto e farò». Del resto, ha aggiunto, «il segretario di Stato lavora in équipe, si lavora in cinque ed è un bel gruppo che lavora molto unito».
Insomma: «eseguivo» ciò che mi diceva Benedetto XVI e non agivo da solo. Ma c’è un’altra frase interessante, in ciò che dice fuori dal Santuario. Francesco ha avviato la riforma della Curia, all’inizio di ottobre si riunirà con il «gruppo» di otto cardinali incaricati di ridisegnare la «governance» vaticana. Un punto fermo è che Bertone sarà l’ultimo Segretario di Stato ad avere avuto le prerogative che al ruolo assegnava la riforma voluta da Paolo VI nel ’67. Il nuovo Segretario di Stato, Pietro Parolin, avrà un ruolo altrettanto importante e delicato ma più rivolto alla dimensione internazionale e meno egemone nella Curia. Più collegialità tra Papa e dicasteri, senza più il segretario di Stato a fare da unico trait d’union. Eppure per Bertone le cose non stanno esattamente in questo modo. Non esercitava alcuna egemonia, dice: «Da una parte sembra che il Segretario di Stato decida e controlli tutto, ma non è così. Ci sono state delle vicende che ci sono sfuggite anche perché quei problemi erano come "sigillati" all’interno della gestione di certe persone che non si ponevano in collegamento con la Segreteria di Stato».
In Vaticano, comunque, si è voltata pagina. Ieri la Cei, che in questi anni ha avuto con Bertone un rapporto non sempre facile, ha espresso «la propria gratitudine al Santo Padre per aver voluto donare alla Chiesa un nuovo segretario di Stato nella persona di monsignor Pietro Parolin». Scrivono i vescovi italiani: «In tale scelta riconosciamo la volontà di portare nel cuore della cristianità il respiro e l’esperienza della Chiesa universale, con particolare attenzione alla voce delle giovani Chiese, dei poveri, di quanti sono in attesa dell’annuncio liberante del Vangelo». La conclusione è tutta per il nuovo Segretario di Stato, che entrerà in carica il 15 ottobre: «Come vescovi italiani accompagniamo questa nomina con la preghiera e con la disponibilità a una piena e serena collaborazione».
Gian Guido Vecchi