Maurizio Porro, Corriere della Sera 31/08/2013, 31 agosto 2013
I SEGRETI DI HITCHCOCK, UN THRILLER INIMITABILE
Ci sono film che si possono rivedere di continuo ma ogni volta conservano qualche piccola novità, qualche segreto, qualcosa che prima non avevi notato e che ora si mette in luce. Come se cambiassero, ed in effetti è così: cambiamo noi, certo, ma muta anche la nostra percezione dell’opera e alla fine nulla rimane immobile ed uguale a se stesso. Fa parte di questa schiera di eletti, Alfred Hitchcock, mai onorato con l’Oscar, il cui inimitabile thriller L’uomo che sapeva troppo , nonostante sappiate già cosa racconta e come va a finire, si appresta ad inchiodarvi sulla sedia anche a casa. Sì, certo, è quello della bella famigliola americana (e il regista ci mette un po’ di sana ironia nel raccontarla) che, in vacanza in Marocco, assiste alla morte d’un agente segreto e ne capta le ultime parole. Il loro figlioletto viene per vendetta rapito e condotto a Londra dove l’intuito poliziesco dei genitori, e una canzoncina che ha fatto epoca e prese l’Oscar, «Que sera sera», ha la meglio sui servizi segreti internazionali dopo una delle scene più famose e perfette della storia: l’attentato in un palco della Royal Albert Hall, durante il colpo di piatti di un concerto, a un ambasciatore.
Remake capolavoro di una storia che lo stesso Hitchcock aveva già realizzato nel ‘34, il film è una macchina di emozioni che non ha una pausa, non fa una grinza, né per un attimo abbassa la soglia di credulità dello spettatore: al centro, come spesso in questo regista scoperto come autore da Truffaut e dall’adorante nouvelle vague, un uomo e una donna ordinari che capitano in una situazione straordinaria e il pubblico che sa troppo anch’esso, viene coinvolto nel vedere come andrà a finire. L’identificazione, trattandosi di mami and papi, è totale e internazionale: Doris Day, che porta in dote la sua abilità di canterina, è una mamma for ever che vede incrinarsi tutte le sicurezze e il papà James Stewart, uno dei grandi yankee di Hollywood più amati dal regista (l’altro è Cary Grant), conduce a mani nude e con la coscienza andata in bucato, la sua battaglia contro il Male, qui rappresentato da una diabolica coppia che si nasconde in una chiesa (attenzione al termine chappel, cappella). Che altro dire? Era il ’56, apice della carriera del grande mago non solo del brivido che di lì a poco arriverà al traguardo della Donna che visse due volte . E sul sito di The Guardian c’è un pezzo imperdibile sull’ossessione di Hitch per i numeri.
Maurizio Porro