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 2013  agosto 31 Sabato calendario

IL TRIONFO DEL VERDI WAGNERIANO

Il Nabucodonosor, che oggi chiamiamo più semplicemente Nabucco, è la chiave della vicenda artistica di Verdi. Esso, nato sul palcoscenico della Scala il 9 marzo del 1842, è stato eseguito il 29 sera al Festival di Salisburgo dai complessi dell’Opera di Roma diretti da Riccardo Muti e questa esecuzione è stata il culmine dell’anno verdiano sul piano internazionale. Ma proprio il ruolo del Nabucco nell’arte di Verdi ci permette di parlare diffusamente del capolavoro prima di narrare di quest’esecuzione.
Si potrebbe affermare che da un punto di vista musicale stretto sia più ricca e significativa la prima Opera di Verdi, l’Oberto conte di San Bonifacio. Il Nabucco, partitura comunque eccelsa in senso musicale stretto, possiede più numeri sotto un profilo drammaturgico e rappresenta un unicum dal punto di vista del genere e della forma.
A comprenderlo la definizione del genere va attentamente perseguita. Innanzitutto esso va ascritto a quello del grand-Opéra fondato da Meyerbeer. L’unica differenza rispetto al modello stretto del grand-Opéra è che nel Nabucco mancano i Balletti, ma se l’Opera fosse stata rappresentata sul palcoscenico parigino Verdi glieli avrebbe senz’altro scritti come fece per altre Opere, a cominciare dal Macbeth: però il Nabucco è caratterizzato da un massiccio, e fondamentale, ruolo del coro, vi sono marce e soprattutto vi prepondera la banda interna: la quale addirittura è concepita antifonalmente rispetto all’orchestra ed esegue un vero e proprio Concerto Grosso: col che abbiamo ricordato anche il tricentenario della morte di Arcangelo Corelli. Ma questa è solo la prima definizione di genere. Occorre ricordare che qualche decennio prima in tempo di Quaresima era proibita la rappresentazione di soggetti profani: onde era nato un genere particolare, quello della cosiddetta Azione tragico-sacra il quale metteva in scena delle vere e proprie Opere contenenti anche un intreccio amoroso ma con argomento generalmente attinto dalla Storia Sacra: il prototipo ne è il Mosè in Egitto di Rossini, scritto per il San Carlo di Napoli. Tutti hanno indicato la filiazione del Nabucco dal Mosè: solo che questa è di mero genere, appunto, giacché da un punto di vista musicale maggiore è l’influenza della Semiramide: il delirio del baritono viene da lì.
Adesso dobbiamo invece individuare i caratteri di atipicità del Nabucco. Il primo di essi è nel fatto che abbiamo una personalità in trasformazione, cosa che nell’Opera è affatto inconsueta. Nabucco viene colpito dal fulmine divino quando vuol farsi dio: perde la ragione ma dopo aver compreso che la sola salvezza gli verrà dal Dio d’Israele lo invoca e nel suo nome riacquista la mente e vince. La descrizione della follia è fatta da Verdi in modo raffinatissimo mediante la giustapposizione di frammenti tematici relativi a circostanze già vissute: diciamo che qui egli si fa inconsapevolmente wagneriano.
Le preghiere del Gran Sacerdote Zaccaria, una delle quali accompagnata da un elegantissimo assieme di violoncelli, sono senza dubbio ispirate a quelle del Mosè ma ne sono stilisticamente indipendenti. Sia permessa invece un’osservazione storica: gli Ebrei prigionieri in Babilonia del regno caldeo sono trattati con straordinaria mitezza e sono liberi di scorrazzare per la reggia avendo portato seco persino «il santo codice». Chi visiti il British Museum di Londra e veda nel reparto assiro la testimonianza figurativa del terribile trattamento inflitto ai prigionieri, che dovevano marciare nel deserto uniti a due a due per una catena attaccata al piede, potrà farsi un’idea della cosa. Leggendo Balzac e il destino finale di Vautrin, con le orride piaghe che i ferri procuravano ai calcagni, lo saprà meglio. D’altronde, testimonianza autentica delle sofferenze della cattività babilonese (Gerusalemme venne abbattuta nel 583 A. Ch.) è il cantico Super flumina Babylonis, intonato da Palestrina e da Bach: ivi s’esprime una tale tristezza (illic sedimus et flevimus dum recordaremur tui Sion: «Lì sedemmo e piangemmo pensando a te, Sion») che gli ebrei confessano di aver sospeso organa nostra, le loro cetre, ai salici, in salicibus in medio ejus.
Quello che non vogliamo chiamare «Libretto» ma «Tragedia» per la sua bellezza e altezza stilistica ci riserba però ancora qualcosa di nuovo. Il protagonista non è in realtà l’eroe eponimo ma un personaggio femminile, Abigaille, una figlia di schiavi che riesce a spacciarsi per figlia di Nabucco. Costei ha scacciato da sé ogni umano sentimento, e quindi l’amore in primis, per il prevalere in lei della volontà di potenza: atroce, inesorabile. Onde dobbiamo osservare due cose: la prima è che il Nabucco è privo d’intreccio erotico; la seconda è che Verdi ricorre a mezzi musicali abnormi per caratterizzare un essere abnorme. Abigaille è un soprano drammatico di agilità ma meglio ancora si potrebbe considerare un mezzosoprano di agilità che possegga anche il Do acuto: per intenderci, la protagonista ideale per il ruolo sarebbe stata Fiorenza Cossotto. Ora il procedere della parte è tutto abrupto e franto, va «di forza» per salti, scale e arpeggi giustapposti a un terribile declamato che insiste sulla zona centrale e grave: si tratta, mi ripeto, di un monstrum stilistico che deve corrispondere a un monstrum umano. Abigaille figlia sì da un mero punto di vista stilistico la Odabella dell’Attila ma figlia soprattutto e interamente la Lady del Macbeth.
Adesso racconto la vicenda di questo Nabucco a Salisburgo. Essa incomincia domenica mattina a Roma: Muti fa eseguire una prova antigenerale di mero ripasso, essendosi il Nabucco rappresentato nel mese di luglio. Torreggia il soprano Tatiana Serjan, «lirico spinto» di agilità che rende in un modo eccezionale sotto la bacchetta di Muti e in un altro, mediocrissimo, con altri direttori, come si è dimostrato quando ha affrontato il ruolo di Lady a Firenze, oltretutto con un gravissimo taglio.
Martedì prova generale nell’immensa sala denominata Grosses Festspielhaus dove hanno diretto Clemens Krauss e Herbert von Karajan, del quale in questa città non si ricorda nessuno. La Serjan è gravemente affetta da malessere alla gola e tenta di cantare ma non vi riesce. Il Direttore Artistico del Teatro dell’Opera presente la mala parata e ricorre a un pronto soccorso. Fa arrivare nella stessa serata una ragazza di Giugliano, vicino Napoli, Anna Pirozzi: la quale, ratione loci, sta evidentemente nelle preghiere di San Gennaro. L’altro ieri mattina, 28, la Pirozzi passa due ore con Alessio Vlad; pomeriggio due ore con Riccardo Muti. Ho potuto assistervi. Muti con la sinistra suonava il pianoforte, con la destra la guidava. Anna ha una bellissima voce e grande temperamento: è anche intelligentissima, onde fa suoi senza por tempo in mezzo i suggerimenti del Maestro. Egli la incoraggia e le dice «Brava!», «Sono contento!». Alla fine della prova la complimenta ancora e le dice: «Guardi che comunque vadano le cose domani il nostro rapporto non finisce qui!». In quella arriva il medico che comunica l’assoluta impossibilità della Serjan di cantare.
La sera del 29 la Pirozzi entra in una sala che non conosce per cantare con orchestra e coro senza aver mai provato con loro. Esordisce sul maledetto Si naturale basso di «Prode guerrier»: poi deve toccare il Do acuto: arrivati a «il tuo popolo salvar» la sala esplode in un’ovazione violentissima. La ragazza ha sfoderato tutto il suo e adesso è una stella nata ieri sera.
Il motivo d’interesse ancor maggiore è la qualità globale dell’esecuzione. Martedì essa era trasfigurata rispetto a domenica e questo causò gran commozione in tutti: ieri era trasfigurata rispetto a martedì. Lo stesso Muti non ha mai raggiunto una tale trasparenza orchestrale e corale, una tale duttilità di fraseggio, un tale prodigio d’intonazione: e il celeberrimo Va pensiero è sonato come nuovo per l’espressione, il crescendo e il diminuendo, il legato ottenuto pur salvaguardandosi le accentuazioni di Verdi. Orchestra e coro dell’Opera di Roma sono qui, come egli ha voluto dire in un breve discorso dopo la prova generale, ambasciatori d’italianità e della cultura italiana.
Prima ancora dei cantanti voglio ricordare il maestro del Coro Roberto Gabbiani e il direttore musicale di palcoscenico Giusepppe Montanari. Essi hanno assecondato il Maestro ottenendo timbro bellissimo e leggerezza di peso dai loro complessi.
Della compagnia va salutato come il migliore il basso Dmitry Beloselskiy interprete di Zaccaria: possente, disciplinatissimo, musicalissimo, ha fatto passi da gigante rispetto alla sua interpretazione di Fiesco nel Boccanegra dell’anno scorso. Adesso può essere salutato come il nuovo Ghiarov e meglio ancora come il nuovo Boris Christoff.
Il Nabucco del baritono Zeljko Lucic è migliorato grandemente nel corso delle prove da me seguite. Sonia Ganassi è un’incantevole Fenena ed è giusto che per un ruolo così piccolo si scelga una stella invece che una comprimaria. Bene Francesco Meli e Luca dell’Amico. Si replica due volte coll’ «Ausverkauft», ossia il «tutto esaurito».
Paolo Isotta