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 2013  agosto 31 Sabato calendario

RADDOPPIATI I PARTI IN CASA: UNA SCELTA DA SEGUIRE?

Quando Evan Rachel Wood, poche ore dopo la nascita del primogenito, ha ringraziato su Twitter l’attrice e produttrice Ricki Lake per il suo documentario «The business of being born», il business della nascita, in tanti hanno pensato a un vezzo da star. In realtà, è stato grazie a quel film sulla maternità negli Usa uscito nel 2008, se l’attrice amata da Woody Allen e George Clooney ha deciso di partorire in casa. Una scelta che le ha fatto meritare l’appellativo di «guerriero» da suo marito e collega Jamie Bell.
Punto di partenza del documentario di Lake, diventato un cult tra le future mamme grazie al passaparola, è uno studio di Save The Children che bolla gli Stati Uniti come il paese industrializzato — dopo Russia, Albania e Moldavia — con il più alto tasso di mortalità materna legata al parto. Non solo: secondo il report, un bambino nato negli ospedali americani ha il doppio delle possibilità di morire entro i 5 anni rispetto a uno venuto alla luce in una struttura della Finlandia, del Lussemburgo o di Singapore.
Sarà per questo che sono sempre di più le madri americane che scelgono di partorire in casa. Stando ai dati dell’Us Centers for Disease Control and Prevention il numero di parti casalinghi negli Stati Uniti è aumentato del 50% dal 2004 al 2011, raggiungendo il +71% nello Stato di New York. Certo, se comparati agli interventi ospedalieri, quelli in casa superano di poco la soglia dell’1% (nel 2011 sono stati in tutto 2.130), ma resta il fatto che il fenomeno è in crescita e un’ostetrica fidata nella propria camera da letto comincia a essere più rassicurante di un team di medici e infermieri in un ospedale.
Ovviamente il «fattore moda» c’è: non è un caso se la tendenza nella città di New York riguarda principalmente l’area di Brooklyn, regno di hipster e modi di vita alternativi. Basta una passeggiata a Williamsburg per rendersi conto — tra assenza di wifi nei bar e giardini con pollai — che un parto naturale fa parte delle usanze locali.
Ma, capricci a parte, la carenza di strutture specializzate nella maternità contribuisce a demotivare le mamme e i papà newyorchesi ad andare in ospedale. In dieci anni il numero di centri esclusivamente dedicati alla nascita di bambini nella città di New York si è ridotto a uno: il Brooklyn Birthing Center a Midwood. Al punto che le donne intervistate dal Wall Street Journal sottolineano che «da questo punto di vista, vivere a Manhattan è peggio che nelle campagne del Montana».
Resta il problema dei rischi legati ai parti in casa. I fan delle nascite casalinghe puntano il dito contro l’abuso di interventi non necessari in sala parto, che spesso mettono a repentaglio la vita della madre. Uno studio del 2010 condotto nei Paesi Bassi su quasi 100 mila donne che hanno scelto di far nascere i bambini in casa e 54 mila che hanno optato invece per una clinica, rivela che la probabilità di complicazioni è molto più alta per le seconde. Tutto ciò al netto di chi crede che mettere al mondo una creatura in maniera naturale tra le mura domestiche sia il miglior modo per prepararsi a diventare madre: «Senti tutta la paura, il dolore e il lavoro», ha affermato Ms St. Peter, avvocato 34enne che ha scelto un parto naturale per la sua bambina che oggi ha quasi 2 anni. Un atteggiamento contestato dalla responsabile del sito ObGyn.net, dedicato alla salute delle donne, Amy Tuteur, che vede nel fenomeno l’ennesimo aspetto della cultura «mommy one-upsmanship», il complesso di superiorità che porta le madri moderne a voler fare sempre meglio degli altri. I numeri però non sono altrettanto positivi per i bambini: il tasso di mortalità dei neonati in casa è tre volte maggiore. Per questo l’American Academy of Pediatrics continua a sostenere che gli ospedali restano i luoghi più sicuri per far nascere i propri figli.
Serena Danna