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 2013  agosto 30 Venerdì calendario

ERRORI E ORRORI DI GRAMMATICA GLI EDITORI BOCCIATI IN ITALIANO

Pescati a caso sulla scrivania: il ritratto di Bruce Springsteen We are alive di David Remnick, tradotto e introdot­to da Leonardo Colombati e pubblicato da Feltrinelli: un po’ dopo la metà spunta la fra­se «La Columbia non avrebbe più investito un soldo su Bruce se quell’ennesima uscita disco­grafica si sarebbe rivelata un fiasco». Il romanzo di fanta­scienza Città delle illusioni di Ursula K. Le Guin, tradotto e pubblicato in Italia da Gargoyle: a un certo punto ecco un «benché sono...». Il romanzo 1 di Haruki Murakami, edi­to e ristampato anche in econo­mica da Einaudi: «Un gruppo di quattro persone che aveva­no l’aria di essere impegnati in una conversazione d’affari...». Nuova edizione de L’amante di Lady Chatterley negli Oscar Mondadori: «ha la­sciato l’esercito solo l’hanno scorso». La ba­nalità del male di Hannah Arendt nell’Univer­sale Economica Feltri­nelli: «tuttavia la mag­gior parte di essi non era­no completamente fidati». I fantasmi della notte di Frost Jeaniene, tradotto per Fanuc­ci: «era sotto shock e non sarebbe passato molto tempo prima che il ghoul sarebbe riuscito a entra­re nell’ascensore». Per non ri­citare una recente edizione tascabile di Rumore bianco di Don DeLillo dove, solo relativamente agli apostrofi, ci si im­batte in «un’essere umano», «un’agitarsi», «un intelligen­za», «un età», «un’accordo», «un antica po­tenza »,«un’at­timo di pau­sa», «un’insetticida», «un’al­tro motivo» e «un arte»... Ei­naudi editore...
Anche se l’er­rore di traduzio­ne (editoriale) più diffuso - a oc­chio - è usare l’indicativo là dove la gram­matica italiana vuole, o vorreb­be, o volesse, il congiuntivo. Secondo qualcuno la crisi del congiunti­vo - un modo verbale che ser­ve a indicare un’azione incer­ta, ipotizzabile, deside­rata o dubbia­ non è impu­tabile alla mancanza di cultu­ra, ma all’eccesso di certezze. Oggi pochi pensano, credono o ritengono: tutti sanno e affer­mano. E, aggiungiamo, forse dipende anche da una man­canza di educazione, visto che spesso il congiuntivo si usa, o si dovrebbe usare, nelle espres­sioni di cortesia. Si sieda, Si­gnora... Mi consigli Lei, per fa­vore...
Sia come sia, il congiuntivo più che il «modo della possibilità» sembra esse­re diventato il re­gno dell’incertezza. Si dice che stia sparendo, che non si usi più nella lingua par­lata e poco in quella scritta, che la narrativa l’abbia respinto, le traduzioni feri­to e il giornali­smo ucciso... Ep­pure gli studi so­cio-filologici di­mostrano il contrario. Un paio di anni fa in Viva il congiuntivo (Sperling&Kupfer) due storici della lingua italiana, Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, attraverso un esame del suo uso nei vari campi della comu­nicazione, hanno dimostrato sorprendentemente che il con­giuntivo gode (o goda?) di otti­ma salute. E nel nuovo Dove va il congiuntivo? (Utet) Salvato­re C. Sgroi nega il pericolo di estinzione che incomberebbe sul congiuntivo, anche se da tempo ormai è considerato dai mass media una specie protet­ta.
Non c’è dubbio, però, che ne­gli ultimi anni il disinvolto uso della grammatica italiana sia diventato un topos delle traduzioni nell’editoria italiana, tra refusi (e sarebbe il meno) e strafalcioni ortografici o sintat­tici. Volete alcune (piccole) prove? La recente protesta del­le lettrici per i troppi errori nei romanzi rosa su http://biblio­tecaromantica.blogspot.it, op­pure le perle raccolte dal sito «Refusi Refugium Peccatorum» (http://refusi.altervista.org/cos-e-refusi) e dalla Rete dei Redattori Precari (ht­tp:// www.rerepre.org/) nella sezione «sVisto si stampi - La fretta porta all’errore!».
Ma è davvero la fretta che porta all’errore? O invece (più ancora dell’incompetenza dei correttori di bozze) i compensi inadeguati dei collaboratori esterni, traduttori in primis ? Il problema, come ha spiegato molto bene Marco Filoni in un’inchiesta su Il Venerdì del 26 luglio scorso, poiché le case editrici, grandi e piccole, paga­no sempre meno gli editor, i traduttori e i correttori, sul mercato restano i meno bravi, i più svogliati, i meno motiva­ti... E così l’ultimo anello della catena culturale, cioè il letto­re, finisce col cibarsi di libri po­co curati, traduzioni approssimative, pagine farcite di refusi ed errori di stampa.
Del resto, passando dalle tra­duzioni ai romanzi italiani, il «caso editoriale» dell’estate è Ti prego lasciati odiare di Anna Premoli (Newton Compton), un romanzo-polpettone (co­me ha dimostrato la stroncatu­ra di Pippo Russo sull’ Unità del 3 agosto, peraltro quasi fo­to- copiata, sotto pseudoni­mo, sull’inserto «Domenica» del Sole24Ore di questa setti­mana) scritto malissimo, sciat­to, banale, pieno di luoghi co­muni, similitudini imbaraz­zanti, agghiaccianti errori d’or­tografia («c’è l’ha») e di astro­nomia («il cavallo è una femmi­na di nome Luna, e spero che sia davvero l’opposto del pia­neta che ricorda»). L’editor, che lo ha riletto «soppesando ogni singola parola», non ha trovato nulla da ridire sul li­bro. E i giurati del Bancarella, un mese fa, l’hanno premiato.