Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  agosto 30 Venerdì calendario

SE LA SINISTRA SI VERGOGNA DI AVERCI TOLTO UNA TASSA

Dopo lunga e sofferta gestazione, il gover­no ha partorito una buona leggina che elimina una pessima legge: l’Imu sulla prima casa non c’è più. Sarà probabilmente sosti­tuita da un’altra fregatura, dato che la politica nazionale è equiparata al gioco delle tre tavolet­te, ma intanto è sparita e gli ita­liani, oberati dalle rate del mu­tuo, umiliati da buste paga di magrezza biafrana e da bollette sadiche (gas, luce, telefono ec­cetera), tirano un sospiro di sol­lievo. Il loro pensiero corre alla prossima tredicesima che non rischia di essere saccheggiata da quella schifezza di tassa che colpiva chiunque avesse lo straccio di un tetto sulla capoccia, foss’anche gravato da ipote­ca. Infatti, non dimentichiamo che il mattone, finché non hai saldato sino all’ultimo centesi­mo il debito con la banca, non è tuo ma della banca stessa. Com­prensibile che i cittadini, solle­vati dall’incubo Imu, festeggi­no, quantomeno sorridano. Ma non tutti. Sappiamo che i di­rigenti del Pd nonché parecchi compagni della base sono sin­ceramente addolorati, addirittura corrucciati, alcuni in lutto stretto. Poveracci, non si dan­no pace all’idea che l’iniziativa di cancellare l’iniquo tributo sia partita - al tempo della cam­pagna elettorale - dal condan­nato illustre: Silvio Berlusconi. Questo non lo possono proprio tollerare: per loro gettare una tassa nel cassonetto è un’occa­sione mancata per fare del ma­le agli italiani, considerati agru­mi da spremere o carne da ma­cello.
Ciò che angustia i parenti alla lontana (e anche alla vicina) dei comunisti è la probabilità che al Cavaliere e al suo partito venga attribuito il merito di aver ucciso l’Imu. Temono che, in caso di elezioni, il detenuto in pectore rastrelli i voti del po­polo che non apprezza le gioie fiscali. Un’altra vittoria alle ur­ne del centrodestra provoche­rebbe un tale terremoto nel­l’ambiente rosso da ridurlo ad un ammasso di macerie. C’è una cosa che lascia basiti. In altre epoche la sinistra si batteva, almeno a parole, in favore delle cosiddette classi deboli: pensio­ni sociali a pioggia, libri gratis agli studenti della scuola del­l’obbligo, assistenza sanitaria gratuita per chiunque, settimana corta (an­zi cortissima), un mese di ferie, sop­pressione dell’apprendistato, evvi­va l’incremento cieco della spesa pubblica, amore libero, coppie aperte, avanti col divorzio e con l’aborto a carico dello Stato.
I conservatori, e specialmente i bigotti, erano sconvolti di fronte al bagaglio di novità proposte dal Pci e surrogati vari, ma alla lunga ab­bozzavano, ingoiando amari boc­coni. Poi è accaduto quello che è sotto gli occhi di tutti: ora qualun­que baciapile si rifugia nel Pd, che gode dell’appoggio della maggio­ranza dei parroci; i ricchi si procla­mano amici di Guglielmo Epifani; si dice che Carlo De Benedetti ab­bia la tessera numero uno del Parti­to democratico; il compianto Tom­maso Padoa-Schioppa non è ricor­dato per le sue opere, ammesso che ve ne siano, bensì per aver inventa­to lo slogan più scemo della storia: «Le tasse sono belle».
Il piccolo mondo italico si è prati­camente rivoltato: quelli di destra scopano con gioia, quelli di sinistra sono diventati puritani. Ieri chi non ha guardato i programmi tele­visivi si è perso uno spettacolo esila­rante. Un numero elevato di parla­mentari democrat si è avvicendato sul video, rilasciando dichiarazio­ni più comiche delle gag di Crozza. Di una comicità involontaria, quin­di irresistibile. Certe facce da fune­rale dalla cui bocca uscivano frasi surreali: adesso studieremo come tassare gli alloggi in forma diversa dall’Imu; non rinunceremo mai agli introiti persi a causa dei «fasi­sti»; avendo noi ceduto sul versan­te immobiliare, il Pdl non potrà più opporsi all’aumento dell’Iva dal 20 al 21 per cento, che si rende neces­sario per far quadrare i conti.
I sedicenti progressisti, nel mi­nacciare gli italiani col randello fi­scale, lasciano trasparire un deside­rio di vendetta: quel demagogo di cui non ci siamo ancora liberati, no­nostante la sentenza della Cassa­zione, ci ha strappato l’Imu dal cuo­re? Gliela faremo pagare noi tra poco: seppelliremo il popolo sotto una caterva di imposte. Già. «Le tas­se sono belle». E giù con le teorie del menga secondo le quali se si abolisce un tributo bisogna sostituirlo con un altro di eguale entità. Non un deputato, neppure di terza fila, che abbia avuto il coraggio di esprimere un ragionamento diver­so dalla vulgata sinistrorsa. Per esempio: smettiamola di confidare nella spirale delle imposte, che ha stroncato l’economia, e comincia­mo a raccomandare ai Comuni (de­stinatari dell’Imu) di amministrare con giudizio i quattrini di cui dispongono.
Recentemente i giornali hanno pubblicato la foto di una schiera di pullman nuovi e abbandonati nei campi attorno a Bologna, pur essen­do costati un’iradiddio. A Napoli «dormono» tram di lusso e carissi­mi: non si usano. Sono stati compra­ti e subito scartati. Invece di spreca­re denaro in acquisti insensati, spendetelo per rendere migliore la vita dei cittadini, salvando i bilanci pubblici. Nossignori. La sinistra av­veduta, illuminata, colta eccetera punta sulle tasse per seguitare a sperperare. E gode all’ipotesi di inasprire l’Iva. Strilla: a novembre, for­se prima, le merci costeranno l’1 per cento di più. Così capirete, voi popolo bue, quanto siano belle le tasse. Prepariamoci: caleranno i consumi e la produzione. Andre­mo sempre più a fondo. Ma faremo baldoria perché Angela Merkel da­rà una pacca sulle spalla a Letta: «Bravo Enrico, tu sì che sei un europeista convinto». Convinto di che? Che l’Italia debba andare in mise­ria e sdraiarsi ai piedi della Germa­nia.
Vittorio Feltri