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 2013  agosto 29 Giovedì calendario

ALL YOU NEED IS LOVE

Tra Bob Dylan, che ormai pare aver scelto il me­stiere parallelo di pitto­re al punto da essere sta­to inserito nella scuderia di Gago­sian, la galleria d’arte più impor­tante del mondo, e David Bowie, glorificato dal Victoria & Albert Museum di Londra come artista to­tale, in grado di influenzare stili e linguaggi, ecco spuntare, questa volta in Italia, un appuntamento che i fan dell’art rock non potranno certo mancare. Si tratta della mostra che aprirà a Modena il 13 settembre alla Galleria Civica (ma solo per poco più di un mese, chiu­derà infatti il 20 ottobre) dedicata al multiforme e discusso talento di John Lennon, l’intellettuale dei Be­atles. E pro­pri­o da una ce­lebre canzone del quartetto di Liverpool che la mostra prende il tito­lo, All You Ne­ed Is Love, qua­si un manife­sto per la deri­va zuccherosa che Lennon prese dal 1968, quando avvenne l’in­contro con Yo­ko Ono che, ol­tre a cambiar­gli la vita, cambiò probabil­mente anche la storia della musica. Di Ono, artista Fluxus acclamata dalla criti­ca, insignita nel 2009 del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia, og­gi ottantenne (John ne avrebbe 73), si può peraltro vedere la più importante retrospettiva finora de­dicatale al Louisiana Museum of Modern Art in Danimarca, e tenta­re di dare risposta alla solita anno­sa domanda: è una geniale interprete dell’avanguardia più estre­ma o una donna capace di approfit­tare cinicamente della situazione e ricevere un’immensa popolarità dalla liason con uno dei musicisti più famosi al mondo?
Tornando a Lennon, colpisce in­nanzitutto che, al momento dello scioglimento dei Beatles (1970), non avesse che trent’anni. Eppure aveva immagazzinato già una quantità d’esperienze incredibile per un ragazzo così giovane, e nel restante decennio che gli restò da vivere sembrò persino tirare i remi in barca, insomma la creatività mi­gliore era già alle spalle.
Il nucleo principale della mo­stra di Modena, curata da Marco Pierini, Enzo Gentile e Antonio Ta­ormina, si concentra soprattutto sul periodo post ’68, quando già i Beatles sono entrati nella fase fina­le del loro percorso mentre Yoko Ono è destinata a prendere sem­pre più spazio nella vita e nell’arte di John. Che così si scopre non solo musicista ma anche artista, perfor­mer e attore di cinema sperimenta­le, dopo l’esperienza mainstream in Come ho vinto la guerra di Ri­chard Lester (1967), commedia sa­tirica e antimilitarista che passerà alla storia perché lì per la prima vol­ta Lennon porta gli occhialetti tondi, destinati a divenire un’icona per un personaggio che con forza vuole ribadire la propria ambizio­ne culturale.
L’arte, peraltro, l’aveva mastica­ta fin da giovane, da quando nel 1957 si era iscritto al Liverpool Col­lege of Art, dove non brillava certo per profitto; però era affascinato da figure romantiche come Van Gogh e Nicolas de Stael, entrò in contatto con la letteratura beat americana e conobbe Eduardo Pa­olozzi, precursore della Pop ingle­se. Insomma all’appuntamento «della vita» con Yoko Ono ci arrivò niente affatto digiuno e imprepara­to; i gossip dell’epoca raccontano di un primo impatto, l’occasione è una personale di Ono nel 1966 al­l’Indica Gallery, non proprio felice e di un Lennon persino infastidito dall’atteggiamento superbo di lei. Da quando iniziano a frequentarsi stabilmente, il Beatle scopre, oltre all’amore, una dimensione finora sconosciuta, ovvero una creatività a 360 gradi e la possibilità di fare tut­to, anche cose incomprensibili ai più come i dischi firmati Plastic Ono Band. Ma quanto la prestigio­sa griffe indirizza il giudizio? In­somma, se alcune prove non fosse­ro state autografate Len­non le considereremmo davvero opere d’arte o non piuttosto goffi ten­tativi di sperimentazio­ne tout court?
Di questo periodo a Modena c’è parec­chio materiale, a cominciare dai di­segni, tecnica ver­so la quale era abbastanza portato. In par­ticolare vie­ne esposta la cartella lito­grafica Bag One, rac­co­lta in una borsa di pelle bian­ca firmata da Ted Lapidus: si tratta di disegni erotici della luna di mie­le della coppia ad Amsterdam, che fu sequestrata dalla polizia per oscenità, e in seguito esposta an­che in Italia, alla Galleria Ponte Si­sto di Roma nel ’71. Quello che rap­presenta l’ingresso definitivo di Lennon nel mondo dell’avanguar­dia sono i film sperimentali che uniscono lo stile di Fluxus a un cer­to manierismo warholiano. Smile è una lenta inquadratura del suo volto mentre in Two Virgins le due facce si fondono fino a diventare una cosa sola; in Rape per 75 minu­ti seguono una passante per strada con un ritmo addirittura persecutorio, mentre Self Portrait è una ri­presa di 42 minuti sul pene di John che raggiunge l’erezione.
Sono decisamente lontani i tem­pi dei Beatles e risulta difficile cre­der­e che Lennon sia la stessa perso­na disposta da una parte a mostra­re le proprie grazie in nome dell’avanguardia e dall’altra a regalar­ci, insieme a McCartney & c, l’ulti­mo capolavoro Let It Be. Noi, peral­tro, continuiamo a preferire le can­zonette.