Enzo Biagi, il Fatto Quotidiano 29/8/2013, 29 agosto 2013
LUCIANO LIGGIO: “LA MAFIA E’ BELLA E I GIUDICI MATTI”
Ho incontrato Luciano Liggio in un carcere di massima sicurezza. Legge specialmente testi filosofici, dipinge. Ho cominciato: Signor Leggio o signor Liggio: come preferisce? “Di cognome faccio Leggio,per tutti sono signor Liggio, infatti lo sto usando come nome in arte: i miei quadri li firmo Liggio”.
Signor Liggio, lei una volta ha detto: “Ho un ergastolo, una condanna a ventidue anni e un’altra a sei, ma nei miei confronti non c’è una prova, non ho mai parlato, non ho mai tradito. A Socrate fecero bere la cicuta, a me è toccata la galera. Sono stato incarcerato per ritorsione”. Ne è sempre convinto?
Sì, ma sono stato più fortunato di Socrate anche se non ero alla sua altezza. Hanno cercato di farmi mandar giù a piccoli sorsi l’amarezza della vita. Facendo la galera è come mandar giù una piccola dose di cicuta ogni giorno.
Perché questa ostilità, questa persecuzione? Da cosa nasce?
Questo dovrebbe chiederlo a chi ne ha tratto profitto. Alle mie spalle sono state fatte delle carriere, arrampicatori senza scrupoli hanno creato un mito e non vogliono mollarlo. Io allo Stato sono costato miliardi.
Che cosa non ha funzionato nella sua vita?
Per quanto mi riguarda ha funzionato tutto: non ho nulla da rimproverarmi. A cosa si riferisce?
Al fatto che è rinchiuso in carcere.
Non ha funzionato l’onestà e lo zelo di chi è stato chiamato a giudicarmi.
Lei non ha grande considerazione dei magistrati, per i tutori della legge in genere, li ha definiti boy-scout del diritto…
Aggiungo anche che gli avvocati sono intellettuali senza personalità, canne per stendere.
Da dove nascono queste considerazioni?
Dalla realtà. Io sono del ’25, conosco molti professori di oggi che erano ragazzi come me e so come si sono laureati. Se in Italia abbiamo questo andazzo, lo si deve alle lauree prese con l’olio d’oliva e con i sacchi di pasta.
Qualcuno lo ha definito il volto nuovo della mafia: lei cosa sa di Cosa Nostra?
Niente. Di questo mi ha dato conferma anche il famoso pentito Buscetta, lui non mi riconosce come “amico nostro” o “uomo d’onore”.
Dice però che vi siete trovati una volta per discutere se era il caso di organizzare una piccola insurrezione in Sicilia.
Lui era in compagnia di altri. Io per questo tizio non ho avuto mai né stima né fiducia. So chi è lui.
Lei ha passato quarant’anni, diciamo così, da uomo libero. Oggi è considerato un benestante. Che attività ha svolto?
Ho cominciato come meglio potevo. Da ragazzo ho fatto il mercato nero, e anche violato la legge più volte. Ho rimediato dei soldi e li ho investiti in gioielli, cosa che mi ha creato una fortuna immensa. Poi ho venduto i brillanti, ma non ho fatto contrabbando, come dicono.
Secondo la polizia, il potere mafioso è passato da lei a Totò Riina. Lo conosce? Che tipo è?
Innanzi tutto io non avevo nessun potere mafioso da lasciare in eredità. Riina lo conosco, è stato nella mia cella per quasi otto mesi. È un ragazzo bravissimo, educatissimo, ansioso di crearsi degli amici. Quando siamo usciti dal carcere, volevo fare una società, perché vedevo in lui una persona di grande intelligenza. Cercai di comprare una tenuta in quel di Bitonto per creare un grande frigorifero per uso commerciale, per affittarlo. La polizia ci venne a disturbare. Da allora non ci siamo più visti.
Lei crede nell’esistenza di Cosa Nostra?
Quello che io penso non ha importanza. Se devo basarmi sulla mia esperienza: io sono stato considerato un capomafia, e non è vero, per me non esiste niente, sono fandonie. Se poi esiste non lo so.
Lei parla anche di Dio senza averlo mai incontrato.
Io non ho niente da rimproverarmi, non ho fatto del male a nessuno, non ho approfittato di niente, sfido chiunque a provarlo. Leggendo vari autori che hanno trattato della parola mafia, come Giuseppe Pitrè, uno dei grandi cultori della lingua e delle antiche tradizioni siciliane, dovrebbe significare bellezza, non solo fisica, ma anche spirituale. “Come è mafiosa questa donna” nel senso è una bellezza di donna, oppure un bel cavallo: “È un bel mafioso ‘sto cavallo”.
Allora è un complimento?
Sissignore.
Se è così, non si offende se dico che Liggio è un mafioso?
No, semplicemente mi duole di non possedere quella ricchezza spirituale e fisica che è sottintesa nel termine mafioso: mi duole di non essere un mafioso nel senso bello della parola.
A suo parere non esiste la mafia di cui parlano i giornali e i giudici, allora perché muore tanta gente in Sicilia?
Lo chieda a quelli che la uccidono. Io manco da vent’anni dalla Sicilia.
Perché non ne muore altrettanta in Toscana o in Emilia?
Non ho la mentalità dell’inquirente, non vado a sindacare… Cosa le posso dire? Siamo tipi sanguigni, mentre da altre parti una questione si liquida con una scazzottata, da noi si chiude con un colpo di pistola.
C’è stata una guerra tra la mafia di Corleone, la più dura, e quella di Palermo di Stefano Bontade, considerata moderata. Lei ne sa niente?
Sono quindici anni che sono in carcere, altri cinque li avevo fatti prima, cosa vuole che sappia delle cose che succedono fuori.
Ma lei si riconosce colpevole di qualche peccatuccio? C’è qualcosa in cui ha sbagliato?
Non ho mai detto di essere un santo, sarebbe assurdo. Se uno tenta di pestarmi i piedi, non mi piace. E se posso…
E quando se ne ha male, che cosa fa?
Niente. Gli dico di smetterla.
E se non la pianta?
Lei che fa? Gesù Cristo dice di porgere l’altra guancia, ma poi? Quante guance dovrei avere per tutti questi molluschi che credono di diventare uomini accanendosi contro me?
Passiamo dalla poesia alla prosa. Che cosa ne pensa di quelli che trafficano in droga?
Io la droga la renderei libera. Così si annullerebbero tutti gli utili e quindi finirebbe lo scambio con carri armati, aerei, non si sovvenzionerebbero le guerre.
Dei trafficanti cosa ne pensa, sono dei delinquenti?
Sì, ma il trafficante, caro dottor Biagi, è sempre e solo un porta valigia, e il porta valigia ha un’importanza relativa, se non ci fossero ci penserebbero i servizi segreti…
Quando era latitante ho letto che frequentava degli ottimi salotti, è così?
Grazie a Dio è così.
Sapevano chi era lei?
Non tutti, un buona parte sì. Mi accoglievano con rispetto perché non ho mai fatto male a nessuno.
Da siciliano che idea si è fatto dei rapporti tra mafia e politica?
Vede, io non ho una mentalità da inquirente. Io sono stato un separatista, non mi sono accorto subito che la politica è una cosa sporca, troppo sporca, e quando me ne accorto mi sono lavato le mani.
Un sostituto procuratore che l’ha interrogata dice che lei “è come se avesse non uno, ma cinque assi nella manica”. Dove le trova queste carte?
Ma quali carte? La tranquillità mi viene dal fatto che sono in pace interiormente.
Lei ha ottenuto più assoluzioni per insufficienza di prove che condanne. Per incapacità della giustizia o per la sua abilità?
È vergognoso, e me ne lamento, che non ci sia stato un proscioglimento completo, ma si è voluto sempre dare un contentino a chi ha fatto le indagini, a certe carriere arbitrarie e a certe promozioni immeritate.
Quando parla con suo figlio gli racconta la sua storia?
Gliel’ho raccontata appena ha cominciato a capire. Non ho niente da nascondere, deve sapere chi è suo padre, e che non si deve vergognare di lui.
Che paese è Corleone?
Un paese agricolo. Lì sono nato e per me è un bel paese. È antico, lì vale ancora l’educazione, il rispetto del prossimo. Non si sono persi ancora i valori umani.
Ha nostalgia del suo paese?
Nostalgia non solo del mio paese, ma di tutta quella povera gente che conosco, con cui ho lavorato, con cui ho dormito nelle stalle. Mi manca moltissimo il contatto con la mia gente.
Se lei tornasse lì correrebbe qualche rischio…
No, nessun rischio. Io la morte non la considero un rischio. Il rischio lo corre chi fa del male non quello che lo riceve.
Perché da ragazzino la chiamavano “Cocciu de fogu”, Chicco che brucia?
Ero magrolino ma molto energico: ho sempre avuto una forza eccessiva. Il soprannome mi è stato dato perché, essendo orfano, ho sempre avuto una grande devozione per l’anima di mia madre, quando si gioca tra bambini si finisce sempre per offendere i familiari: “Puttana è tua madre, puttana è tua sorella”, quando veniva detta questa parola su mia madre io non ragionavo più, sentivo un bollore che veniva da dentro e cominciavo a menarli sproporzionatamente rispetto a quello che poteva essere l’offesa.
È vero che la sua battaglia è cominciata con il dottor Michele Navarra, grande elettore dei liberali, poi dei democristiani, capo di Cosa Nostra che a Corleone rappresentava il potere e finì ammazzato crivellato di colpi in macchina?
Non era il nostro medico. Gli piaceva andare a caccia ed era confidenziale con tutti. Più volte mi chiamò per accompagnarlo a fare le visite ai pazienti, andavamo a piedi per il paese.
Chi lo ha ucciso?
Non lo so. Io conosco chi lo ha fatto uccidere, ma non l’ho mai detto.
Lo dica adesso.
No Io non sono al servizio della polizia. Ognuno deve farsi i fatti propri. Se la polizia ha ritenuto di imputare al sottoscritto l’omicidio o di farmi dare l’ergastolo… all’anima di chi lo ha fatto.
Chi ha fatto ammazzare il sindacalista Placido Rizzotto? Anche questo omicidio è imputato a lei.
A me sono attribuite tante cose. Questo dimostra che non ero così potente come vogliono far credere, diversamente si sarebbero guardati dall’accusarmi per paura della vendetta. Invece io rappresentavo il muro basso dove tutti potevano mettere il piede.
Placido Rizzotto come lo ricorda?
Era un mio amico, contrariamente al dottor Navarra. A me piaceva ballare, spesso organizzavo feste e lo invitavo. Sono stato a casa sua quando battezzava qualche nipote. Anche questa è una storia assurda.
A lei piaceva Leoluchina Sorisi la fidanzata di Rizzotto. Molti anni dopo l’omicidio del sindacalista lei fu arrestato nella casa della Sorisi, nella quale si era nascosto.
Un’altra bugia: non è vero che Rizzotto sia stato fidanzato con questa qui.
Lei si era rifugiato in casa della ragazza?
Sì. La famiglia mi conosce fin dall’infanzia. Sono nato in quel quartiere e in quel pianerottolo andavo a giocare. A chi ci si rivolge quando uno è in disgrazia? A chi si conosce.
Il giudice Terranova si sentiva odiato da lei, finì ammazzato, ma lei in tribunale è stato prosciolto.
Il giudice Terranova, poveraccio, si sentiva odiato? Non lo so il perché. Io non posso essere nella testa degli altri. Io non lo odiavo, provavo per lui commiserazione, abbiamo avuto un piccolo attrito durante l’interrogatorio. Era uno che aveva dei problemi, nessuno se ne è mai accorto. Non è colpa mia se dietro le varie scrivanie dello Stato ci sono degli psicopatici. Sì, non apprezzavo quello che mi faceva, ma questo non ha niente a che vedere con la sua morte.
La vecchia mafia non uccideva i giudici, i carabinieri, i funzionari di pubblica sicurezza. Cosa ne pensa di questo cambiamento?
Non vado a ficcare il naso in faccende che non mi interessano. Non me lo sono mai chiesto, mi sono sempre estraniato dalle cose che non mi riguardano. Di solito accadono per invidia di carriera.
Lei dice che si ammazzano tra di loro?
Non lo so; io non posso dire niente.
Ognuno di noi qualche volta dice: “Se tornassi indietro non farei questo, non fare quest’altro”. Lei se potesse ricominciare che strada vorrebbe percorrere?
Quella che ho percorso senza una virgola di differenza. Chiederei solo di non essere orfano, di adattarmi alla scuola, di studiare. Solo questo cambierei.
Chi è per lei un uomo vero?
Quello che ha rispetto di tutti gli altri.
Come considera i pentiti? Traditori, opportunisti, o persone che hanno avuto un turbamento di coscienza?
Cervelli persi, degli opportunisti, mi ricordano quello che, per far dispiacere la moglie, si taglia i genitali e li dà al gatto.
Che cosa rimprovera a Buscetta?
Niente, Buscetta si rimprovera da solo…
Signor Liggio come riempie i giorni e le notti?
Prima leggevo moltissimo, ora mi sono dato un po’ ai colori, alla grafica e mi sento più appagato. Mi spiace che non me li fanno uscire dal carcere, mi piacerebbe sapere se i miei quadri danno in chi li guarda un momento di felicità.
Luciano Liggio chi è? Uno sfortunato, un perseguitato?
Sì, perseguitato dalla cattiveria degli altri. Sfortunato fino a un certo punto, perché se ci guardiamo attorno c’è di peggio.