Mario Deaglio, La Stampa 30/8/2013, 30 agosto 2013
VIA L’IMPOSTA UN VANTAGGIO DAL FIATO CORTO
Proviamo a fare due conti: in Italia le famiglie che possiedono almeno una casa, quasi sempre quella in cui abitano, sono all’incirca venti milioni. L’abolizione dell’Imu sulla prima casa costa allo Stato circa quattro miliardi e mezzo in minori entrate. Dividendo quattro miliardi e mezzo per venti milioni si ottiene poco più di duecento euro a famiglia, una cifra senz’altro benvenuta che non cambierà però le prospettive di nessuno; potrà servire a far fronte a qualche possibile rincaro di origine estera (la crisi siriana sta cominciando a manifestare i suoi effetti sul prezzo dei carburanti) oppure a qualche spesa urgente, dolorosamente rinviata.
Presumibilmente il «regalo» derivante dall’abolizione dell’Imu riguarderà il solo 2013, in quanto nel 2014 all’Imu si sostituirà la «service tax» comunale destinata sia a coprire il costo dei servizi pubblici locali sia a colpire le rendite immobiliari. Una parte di quei duecento e più euro di imposta cancellata nel 2013 graverà comunque sull’insieme delle famiglie nel 2014 per il possibile aumento di alcune imposte indirette (sugli alcolici, sui giochi d’azzardo) introdotto precisamente per finanziare l’abolizione dell’Imu.
Milton Friedman amava ripetere che «nessun pasto è gratis», potremmo aggiungere che nessuna riduzione di imposte avviene come per magia: c’è sempre una contropartita da qualche parte, anche se si può sperare che l’introduzione della «service tax» nel 2014 consenta una maggiore equità rispetto all’imposizione precedente.
A livello di bilanci famigliari, gli effetti diretti dell’abolizione dell’Imu saranno di conseguenza mediamente assai bassi, anche se, naturalmente, attorno a questa media, alcuni avranno vantaggi e altri svantaggi di un certo rilievo. Dal punto di vista delle risorse complessivamente disponibili per i consumi privati l’imposta non fa quindi una gran differenza. Potrebbe forse essere difesa per il suo eventuale effetto sui comportamenti: è così raro che i contribuenti si vedano abolire un’imposta molto diffusa e molto impopolare che tale abolizione potrebbe dare loro un particolare senso di ottimismo e di euforia, inducendoli a mobilitare una parte delle notevolissime risorse finanziarie di cui ancora dispongono e impiegarle in acquisti rinviati sotto l’effetto della paura della crisi. Invece di un «moltiplicatore economico» si avrebbe, in questo caso, una sorta di «moltiplicatore psicologico» in grado di portare il suo contributo al rilancio della domanda interna.
Se non si è vinta la guerra contro la crisi, si può – parafrasando un detto cinese – provare a sventolare di più le bandiere, dire che si è vinto e sperare che la gente ci creda. In fondo, molti leader occidentali hanno fatto proprio così, annunciando a più riprese il ritorno al bel tempo economico che nei fatti si fa ancora desiderare..
La gente ci crederà? Naturalmente, non bisogna mai dire mai, ma un sano scetticismo è del tutto doveroso. E’ molto dubbio che nei prossimi mesi folle estasiate da quest’abolizione si riversino nei supermercati, si potrà esser contenti se la spesa al supermercato aumenterà di qualche euro ma in questo caso bisognerà tener conto che mediamente un 20-30 per cento del prezzo pagato per questi beni, che altrimenti non si sarebbero acquistati, finirà ai produttori esteri. Gli effetti economici saranno comunque inferiori a quelli che si sarebbero potuti ottenere se la stessa cifra fosse stata dedicata a due o tre interventi «mirati» in alcune aree economiche particolarmente importanti (tanto per fare un esempio, ricerca scientifica e stimoli fiscali alle imprese innovative, specie se costituite da giovani).
Nel corso dei prossimi anni – se tutto andrà bene – l’Italia si troverà altre volte di fronte all’interrogativo su che cosa fare di un «tesoretto», vero o presunto che sia, su come sfruttare un’occasione di stimolo all’economia. E l’alternativa sarà sempre quella di dare pochi spiccioli a tutti oppure somme consistenti a pochi; i politici in genere saranno favorevoli a questa soluzione, così come lo è stata una parte dell’attuale maggioranza (l’altra parte, o quanto meno il mondo sindacale, avrebbe voluto un’analoga distribuzione a pioggia a favore del lavoro anziché della rendita immobiliare). Le distribuzioni a pioggia possono tradursi, nell’attuale situazione italiana, in recuperi più lenti di quanto possibile e auspicabile; possono addirittura compromettere un vero recupero dell’economia italiana.
Pur non efficiente da un punto di vista economico, questa decisione può essere giustificabile su un orizzonte più ampio: se è vero, come ha detto il presidente del Consiglio, che «adesso il governo non ha più scadenza» occorre mettere sulla bilancia i vantaggi derivanti da una crisi di governo evitata che si traduce in spread più bassi e condizioni di bilancio migliori. Per questa volta, passi, si potrebbe dire. Deve però trattarsi di un caso singolo e circoscritto: se all’interno della maggioranza il governo dell’economia fosse oggetto di una continua contrattazione, i vantaggi della continuità governativa sarebbero nettamente superati dagli svantaggi di una politica economica non coerente.
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