Vladimiro Polchi, la Repubblica 30/8/2013, 30 agosto 2013
QUANDO IL DRAGONE VA IN VACANZA
Il signor An Huang viaggia con tutta la famiglia: i due anziani genitori, suo figlio di un anno e mezzo e la giovane moglie. Ad agosto ha prenotato due lodge al Berjaya Resort, davanti alla bianca spiaggia di Cote d’Or a Praslin, seconda isola più grande delle Seychelles. Un pacchetto all inclusive comprato in Cina: 2.100 euro a testa per una settimana di mare, volo compreso.
«È la seconda volta che vado all’estero- racconta- prima che nascesse mio figlio sono stato in Italia». Huang non è un super ricco, fa parte della nuova classe media cinese. È lui la preda più ambita dei tour operator mondiali, colui che dovrà tirare fuori il mercato del turismo dal buco nero della crisi.
Basta qualche dato per capire: saranno 90 milioni i cinesi in viaggio all’estero quest’anno e spenderanno più di 80 miliardi di euro. Nessun altro Paese "produce" tanti turisti. Le mete più ambite sono Francia, Stati Uniti, Singapore, Svizzera e Regno Unito. E l’Italia? Si piazza sesta, ma rischia sempre più di restare ai margini del grande flusso. Perché il turista cinese è un mondo a sé e va capito. La sua vacanza perfetta? «Nessuna perdita di tempo - spiega Pietro Pan, cinese di seconda generazione, tour operator a Roma - visite mordi e fuggi di pochi giorni, qualche monumento, molte foto, tanto shopping, outlet, centri commerciali, grandi alberghi e buoni ristoranti, meglio se cinesi».
Il fiume di turisti in partenza dal Paese del Dragone allarga ogni anno di più i suoi argini: erano 83 milioni l’anno scorso, saranno 90 quest’anno e - stando all’Organizzazione Mondiale del Turismo dell’Onu - diventeranno oltre 100 milioni nel 2015 (risultato previsto per il 2020). Il 60% sceglie l’Asia per il suo primo viaggio all’estero e molti non si spingono oltre Hong Kong e Macao. Eppure è a loro che si affida il mercato internazionale del turismo per salvare i conti. Esempi: Mauritius, Maldive e Seychelles, che per effetto della crisi hanno visto prosciugarsi i flussi dall’Europa, attirano sempre più turisti con gli occhi a mandorla. Stando al Financial Times, i cinesi in viaggio verso i tre paradisi dell’Oceano Indiano l’anno scorso sono stati 255mila e quest’anno sfonderanno quota 300mila. Mediamente trascorrono soltanto quattro o cinque giorni sulle isole, rispetto agli otto giorni medi di un turista francese e i 12 di un britannico: «Abbiamo bisogno di due cinesi per ogni turista europeo che perdiamo», spiega Jocelyn Kwok, direttore dell’associazione di albergatori e ristoratori di Mauritius.
E l’Italia? Nel 2011 sono stati 1 milione e 342mila i cinesi che hanno visitato il nostro Paese. Quest’anno si aspetta una crescita del 28,8% rispetto all’anno precedente. Stando a un sondaggio di questa estate dell’ Hurun report, per i ricchi cinesi l’Italia è la sesta tra le mete favorite dopo Francia, Usa, Singapore, Svizzera e Inghilterra, ma si piazza prima di Australia, Dubai, Germania e Maldive. Un caso a sé è quanto riportato in questi giorni dal quotidiano Il Tirreno: tra sabato e domenica sempre più cinesi prenotano una tenda sahariana allo stabilimento Twiga di Marina di Pietrasanta, per un costo giornaliero tra i 250 e i 350 euro. Si tratta degli imprenditori cinesi di Prato, che si riversano al mare per un weekend libero.
La spesa media di un turista del Dragone all’estero è di 1.139 dollari. Ma cosa vuole vedere e fare? A raccontarlo da "dentro" è Pietro Pan, nato a Roma da genitori cinesi, che lavora per "See View Tour", tour operator specializzato sulla tratta Pechino-Italia: «Da quando il governo cinese ha facilitato i visti, registriamo una crescita costante di arrivi in Italia. Noi organizziamo gruppi di 30-50 persone. Si tratta per lo più di viaggi in Europa con permanenza media in Italia di 4 giorni. Solitamente si atterra in un grande aeroporto, come Francoforte, e poi si arriva nel nostro Paese. I cinesi non amano perdere tempo, vogliono vedere rapidamente i principali monumenti, a Roma vanno pazzi per San Pietro, fare molte foto e poi infilarsi in qualche outlet per comprare abiti griffati, che in Cina costano molto di più». Lo shopping è il motore principale che muove il turismo cinese: «Questo spiega perché la Svizzera sia una delle destinazioni più ambite - conferma Pan - lì si acquistano cosmetici e orologi». Una settimana in Italia costa 2mila euro, volo compreso, «ma è il prezzo base, con alberghi fuori città. I più ricchi non badano a spese, comprano tutto, chiedono hotel a cinque stelle e qualche volta anche una squillo di lusso».
Gran parte dei turisti cinesi resta però impermeabile al Paese che visita: «Si affidano alle nostre guide e chiedono di cenare soltanto nei ristoranti cinesi», spiega Andrea Fan, cinese, impiegato nell’agenzia "Welcome Europe" di piazza Vittorio a Roma. Non è un caso se da un report di Hotels.com, effettuato ad agosto su 3mila turisti cinesi, emerga che gli alberghi preferiti siano quelli che offrono cucina cinese, staff e brochure che parlino il mandarino, tv satellitare cinese e carte di credito del Paese del Dragone.
Qualcosa però starebbe cambiando, se il 62% degli intervistati risponde di preferire i viaggi indipendenti a quelli organizzati. «Accanto al vecchio turistatipo cinese, che si affida a un viaggio di gruppo, con un programma a tappe forzate, dove lo shopping prevale su musei e monumenti - racconta Giancarlo Dall’Ara, consulente di marketing nel turismo e curatore del libro "Il mercato turistico cinese" - oggi sono sempre di più i turisti indipendenti, attenti alla qualità del soggiorno, appassionati d’arte, cibo e vini italiani, che vivono le città, passeggiano, entrano nei negozi, ma anche nei musei e nelle sale concerti».
Il problema è che l’Italia non è pronta a intercettare questo nuovo business. «Prezzi troppo alti e truffe diffuse - spiega Pietro Pan - stanno danneggiando l’immagine del Paese». La disattenzione verso la lingua cinese su siti Internet, depliant, menù, guide museali, fa il resto. «Molti turisti lasciano l’Italia insoddisfatti - conferma Andrea Fan - per questo il modello rimane vacanze di 3-4 giorni, poche visite, tanto shopping». Bisognerebbe invece capire che il turista cinese ha esigenze proprie e particolari. Per esempio, in albergo è abituato a trovare bollitore e bustine da tè, spazzolino da denti e accappatoio.
E ancora: nella promozione turistica in Cina l’Italia è indietro. «Procediamo in modo frammentato, senza uno straccio di coordinamento - afferma Dall’Ara - il 52% dei cinesi si informa del viaggio su internet e l’Italia è praticamente assente dai social network». Il nostro Paese ricorre così a piccole iniziative, tutte private. Ventidue alberghi hanno già aderito al neonato progetto "Italy China Friendly". Di cosa si tratta? «È una sorta di bollino - spiega Dall’Ara - che verrà rilasciato a chi raggiunge determinati standard qualitativi nell’accoglienza del turista cinese». Mentre a luglio due giovani, Alessandro Zhou e Simone Toppino, hanno aperto il sito turisticinesi.it: un ponte tra imprenditori cinesi e italiani.
Insomma, di fronte a 90 milioni di nuovi viaggiatori, l’Italia continua ad affidarsi al fai-da-te.