Camilla Conti; Maurizio Maggi, l’Espresso 30/8/2013, 30 agosto 2013
PIÙ DEL MERCATO POTÉ LA PROCURA
Qualcuno comincia a chiamarle "tribunal chip". Perché ben 12 delle 40 principali società quotate alla Borsa di Milano (le "blue chip") sono a vario titolo sotto inchiesta da parte della magistratura. Da Mps a Fonsai, da Eni a Telecom, da Finmeccanica a Mediaset. Alcune direttamente, altre perché nel mirino dei giudici sono finiti manager di oggi o di ieri. Sommando il valore di Borsa delle 12 azioni si arriva a 137 miliardi di euro: il 44 per cento dell’intera capitalizzazione (338 miliardi) dei 40 titoli che compongono il Ftse Mib, il paniere delle blue chip nostrane. Nonché il 33,6 per cento il listino. Un terzo di Piazza Affari è in bilico sui faldoni aperti dai Pubblici ministeri e in alcuni casi le conclusioni delle inchieste potrebbero influire sul business, tanto che gli analisti delle banche d’affari sono costretti a tenere in considerazione, nei loro studi, non solo le previsioni su utili, margini e congiuntura ma pure le conseguenze delle battaglie in tribunale.
I tempi della giustizia italiana non sono quelli del mercato e l’incertezza può penalizzare l’andamento del titolo in Borsa o le chances di rilancio di una società. «Lo consideriamo un fattore di rischio esterno ai dati fondamentali di un’azienda e calcoliamo l’impatto di eventuali sanzioni sulla capitalizzazione. Spesso il potenziale effetto è poco rilevante rispetto al valore di Borsa di una società, però non vanno minimizzati gli aspetti negativi sulla reputazione», sostiene Francesco Previtera, capo della ricerca di Banca Akros. Dopo la legge sul cosiddetto "market abuse" (che persegue chi usa informazioni riservate per trarne profitto) e la riforma del risparmio, i Pm hanno più armi a disposizione. Come la legge 231 sulla responsabilità penale delle persone giuridiche (nel mirino non solo i manager colpevoli ma gli azionisti), con cui stanno facendo i conti i nuovi vertici delle promesse spose Fonsai e Unipol dopo l’arresto della famiglia Ligresti. «I sequestri colpiscano il patrimonio della famiglia, non quello della società e di tutti gli azionisti», ha tuonato il presidente di Fonsai, Fabio Cerchiai, annunciando di voler contestare il sequestro cautelativo degli alberghi dei Ligresti, disposto dalla magistratura. E lo stesso intende fare l’Unipol, che ha pagato in Borsa l’affondo sui beni di Fondiaria, già nel mirino delle procure di Torino e di Milano per il crac Ligresti. Quanto agli arresti, secondo Banca Imi, non dovrebbero avere «alcun impatto sulla fusione che porta alla creazione della nuova Uni-FonSai». Mentre per gli azionisti di minoranza c’è la possibilità di essere rimborsati per i danni, anche se è una possibilità «incerta sia nella tempistica sia nell’esito finale». Proprio sui tempi della giustizia italiana punta il dito Deminor, società specializzata nelle cause degli azionisti traditi. «Tra gli investitori istituzionali è diffusa la convinzione che il sistema giudiziario italiano sia tra i meno efficienti d’Europa, causata da varie operazioni in cui sono stati danneggiati. Esempi? Il caso Parmalat, la fusione Telecom Italia-Olivetti. E i recenti sviluppi che hanno portato alla luce il "sistema Ligresti" con la spoliazione ai danni degli azionisti di minoranza, e ancora le vicende Mps e Saipem», denuncia Erik Bomans, managing partner di Deminor.
Le indagini su Fonsai coinvolgono anche due banche. È indagato per ostacolo alla vigilanza l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, per la vicenda del presunto patto occulto (il cosiddetto "papello") con i Ligresti. E, come rivelato da "L’Espresso", c’è il nuovo fronte d’indagine che riguarda gli aiuti concessi nel 2010 da Unicredit al gruppo Ligresti: secondo i magistrati, avrebbero permesso alla banca, la più esposta con le holding personali del costruttore, di attutire il colpo dell’eventuale fallimento, arrivato due anni dopo. Ma è un altro l’istituto di credito il cui destino è legato agli esiti delle inchieste giudiziarie: il Montepaschi di Siena. Ai fascicoli sull’acquisto di Antonveneta, sui derivati "Alexandria" e "Santorini", e sui manager infedeli della "banda del 5 per cento" a settembre i pm senesi ne aggiungeranno altri due per approfondire il ruolo di Jp Morgan e gli intrecci con la politica. E più aumentano le inchieste, più diventa difficile per i nuovi vertici del Monte trovare il cavaliere bianco che partecipi all’aumento di capitale già programmato.
La gestione dei guai con la giustizia ereditati dalla precedente gestione e il fardello di crediti elargiti agli amici degli amici sta rallentando i piani della Popolare di Milano, oggi guidata da Andrea Bonomi. Resta infatti aperta l’inchiesta sui finanziamenti sospetti concessi dalla Bpm (quando al timone c’era Massimo Ponzellini) al re delle slot Francesco Corallo, agli arresti domiciliari. Pure alcuni grandi gruppi industriali rischiano di perdere terreno nei rispettivi business a causa delle inchieste. È il caso dell’Eni: il colosso petrolifero continua a macinare utili ma dal febbraio 2013 l’amministratore delegato Paolo Scaroni è iscritto nel registro degli indagati della Procura di Milano per corruzione internazionale. Colpa del presunto giro di mazzette a favore di Sonatrach e del governo algerino che ha travolto la controllata dell’Eni, Saipem. Secondo molti analisti, in attesa di conoscere la portata delle sanzioni, entrambe le società hanno subito danni sul fronte della reputazione. Ma è Finmeccanica che rischia di pagare un conto più salato a vantaggio dei concorrenti internazionali. E dal 12 febbraio scorso, giorno, dell’arresto per corruzione internazionale dell’ex presidente e amministratore delegato, Giuseppe Orsi, il titolo ha perso il 13 per cento mentre l’indice di Borsa è sugli stessi livelli. Nel mirino la commessa da 564 milioni di euro per la fornitura di 12 elicotteri al governo indiano. Sul fronte Telecom agli strascichi dell’affare dossier illeciti s’è aggiunta la grana del consigliere d’amministrazione Elio Catania, accusato di insider trading a Roma. Mentre alla Parmalat il tribunale di Parma ha imposto un commissario ad acta per verificare la correttezza e il prezzo dell’acquisto della controllata americana Lag da parte dei nuovi padroni, i francesi di Lactalis.
Fuori dal firmamento delle blue chip, altri ring giudiziari: per il fallimento della Risanamento di Luigi Zunino il Gip ha chiesto il rinvio a giudizio di 4 indagati con l’accusa di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Nello scandalo Ior legato a Monsignor Nunzio Scarano, arrestato con l’accusa di corruzione e calunnia, sono coinvolti gli armatori D’Amico e la Finnat dei Nattino. Ma a Piazza Affari c’è un titolo che è cresciuto assai nonostante le inchieste giudiziarie sull’azionista di riferimento: è la Mediaset di Silvio Berlusconi, che nonostante i processi e la condanna per evasione fiscale dell’ex premier, da inizio 2013 ha raddoppiato il valore. Poi in una sola seduta ha perso il 6,25 per cento per le voci di crisi di governo.