Antonio Carlucci, l’Espresso 30/8/2013, 30 agosto 2013
CHI PRENDE L’EREDITÀ DI BEN
La corsa per la poltrona di presidente delle Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, è cominciata mercoledì 31 luglio. Quel giorno il presidente Barack Obama ha incontrato a porte chiuse i senatori del Partito Democratico, un appuntamento voluto per attenuare il continuo mormorio sul fatto che Obama parli più con i repubblicani che con gli uomini del suo partito. Con i senatori il presidente ha ripercorso l’agenda che la Casa Bianca vorrebbe realizzare. E tra le molte scadenze ha citato anche la nomina di un nuovo numero uno della Federal Reserve visto che alla fine dell’anno Ben Bernanke, l’attuale chairman, uscirà di scena dopo due mandati che hanno coinciso con la più grave crisi economica dalla Grande Depressione del 1929 e con l’inizio di una lenta e asmatica ripresa aiutata da una iniezione di liquidità che alla fine dell’anno raggiungerà i 4 trilioni di dollari in acquisto di bond e titoli vari.
Chissà se Obama immaginava che parlare della successione a Bernanke sarebbe stato come gettare un fiammifero in un pagliaio. Da quel giorno, la Fed e il suo futuro presidente sono al centro di uno scontro politico e accademico come mai è accaduto nella storia della banca centrale americana. L’incendio è stato appiccato quando Obama ha rivelato ai senatori democratici i tre nomi in lizza per la poltrona di banchiere centrale: Larry Summers, Janet Yellen e Donald Kohn. Sono tutti economisti: il primo è professore a Harvard e consulente di banche e hedge fund; la seconda è il numero due della Federal Reserve, il terzo è stato vice banchiere centrale fino al 2010. L’incendio è divampato quando il presidente ha espresso l’idea che Summers, che è stato il capo dei consiglieri economici di Obama all’inizio del primo mandato, è stato bistrattato pubblicamente dall’arcipelago di giornali, riviste e blog che rappresentano l’anima più progressista del Partito Democratico.
La difesa anticipata di Summers è stata letta da una folta pattuglia di senatori come la prova più evidente che Barack Obama ha in realtà già scelto il professore di Harvard per guidare la Federal Reserve. E a loro quel nome non va giù perché ritengono Summers troppo legato alle banche e a Wall Street, troppo morbido e dubbioso sui controlli al mondo finanziario. In più, non hanno dimenticato che Summers fu tra coloro che negli anni Novanta diedero il via ai titoli subprime e smantellarono la legge Glass-Steagall che dal 1930 sanciva la separazione tra banche d’affari e banche commerciali che fu l’inizio della frenesia che ha portato alla crisi finanziaria del 2007.
Tanto per far capire che il presidente avrà pure enormi poteri, ma su molte nomine l’ultima parola spetta proprio al Senato (dai capi di Cia e Fbi agli ambasciatori, dai leader delle agenzie governative fino al banchiere centrale, tutti passano per un esame fatto di audizioni e di un voto finale), un terzo dei senatori democratici ha firmato una lettera nella quale si esprimono apertamente a favore di Janet Yellen dicendo «noi sollecitiamo con forza la nomina di Janet Yellen al posto di Bernanke». Perché? Scrivono i senatori: «Lei ha una storia impeccabile». Poi: «Il Paese ha bisogno di un capo della Fed con solidi trascorsi nel regolamentare l’attività delle banche... e che non consideri solo una statistica la percentuale di disoccupazione». Infine, ancorandosi di nuovo alla storia della Yellen: «La banca centrale sarà migliore con un presidente con una significativa esperienza di politica monetaria e la Yellen ha come risultato di 10 anni di servizio alla Federal Reserve».
La lettera dei senatori che si sono ribellati con grande anticipo al loro presidente ha funzionato da detonatore per un dibattito, in cui i protagonisti sono soprattutto gli economisti americani. È uno scontro duro e serrato tra famiglie accademiche, in cui tornano a galla i risultati raggiunti, i Nobel vinti o solo sognati. Larry Summers, 58 anni, e Janet Yellen, 67 anni, sono stati spinti nell’arena dove si sta consumando questo duro scontro, mentre il 70enne pensionato Donald Kohn resta per adesso sullo sfondo a vedere il rodeo. Summers e la Yellen hanno entrambi una storia adatta all’incarico di presidente della Fed: hanno speso l’intera vita a occuparsi di economia, in vario modo sono vicini agli accademici migliori d’America che hanno meritato il premio Nobel, visto che Summers è nipote di due vincitori (Paul Samuelson e Kenneth Arrow) e la Yellen ha sposato George Akerlof, hanno occupato posizioni di prestigio nell’accademia e nelle istituzioni pubbliche.
Summers può vantare il ruolo di capo economista alla World Bank all’inizio degli anni Novanta come la guida del ministero del Tesoro con Bill Clinton presidente. E poi, oltre all’insegnamento ad Harvard, la presidenza dell’intera università e il ritorno sulla scena politica con Barack Obama come capo del Council of Economic Advisor. Non ha disdegnato mai il rapporto con i privati, dalle consulenze a Citigroup al board di hedge fund come D. E. Shaw, ai discorsi a pagamento. Summers è sicuramente ricco: quando divenne Segretario al Tesoro rivelò un patrimonio di 900 mila dollari incluso un mutuo di 500 mila, adesso si valuta che la sua fortuna superi i 30 milioni di dollari. Ed è un uomo controverso, non nasconde la sua ambizione, è amato o odiato dai suoi collaboratori per i suoi modi bruschi (Sheryl Sandberg, il direttore generale di Facebook che fu sua protegé ad Harvard e suo capo di gabinetto al Tesoro ne parla in termini entusiasti). Ma il suo modo di fare gli ha anche creato non pochi problemi: non solo epici scontri all’interno del gruppo dei consiglieri economici di Obama (con Christina Romer, professore a Berkeley, che oggi si schiera con la Yellen), ma anche passi indietro come la rinuncia alla presidenza di Harvard dopo un polemico discorso nel quale sottolineava come le donne non sono molto rappresentate nelle cattedre scientifiche e ingegneristiche per problemi di attitudine.
La carriera di Janet Yellen è sicuramente meno pirotecnica di quella di Summers ma non per questo meno robusta e quasi tutta dentro le università americane e nelle Federal Reserve. Dopo la laurea alla Brown University e il dottorato in economia a Yale, comincia a insegnare ad Harvard e nello stesso tempo entra nell’ufficio studi della Federal Reserve. Una esperienza di governo arriva con Bill Clinton negli anni Novanta quando viene chiamata a dirigere il gruppo dei consiglieri economici della Casa Bianca e dopo due anni entra nel consiglio di amministrazione della Fed con la carica di presidente della banca a San Francisco. Nella carriera di Janet Yellen non ci sono impegni professionali con il mondo di Wall Street, lei ha sempre preferito lo studio e il ruolo di civil servant, una scelta che oggi fa dire a chi non la vuole al posto di Bernanke che ha sempre votato con il suo numero uno, che non sempre esprimeva il suo parere nelle riunioni dei responsabili della banca centrale Usa. A suo modo, la Yellen non si è mai sottratta alla questioni politiche che derivano da scelte economiche: nei primi anni del Ventunesimo secolo scrisse un report in cui accendeva il faro sui pericoli della bolla speculativa creata dei derivati sui mutui immobiliari e quando c’è stato da prendere posizione sulle scelte per ridurre la disoccupazione ha detto chiaro che il problema non va trattato come una banale questione di statistica.
I supporter dei due candidati alla Fed si sono scatenati nella blogosfera, sui giornali e in televisione. Così, i giornali si sono riempiti di titoli del tipo «Perché Obama deve scegliere Summers alla guida della Fed» seguito il giorno successivo dal medesimo titolo in cui al posto di Summers c’è il nome della Yellen. È come se due famiglie che hanno sepolto le loro rivalità all’interno delle disquisizioni accademiche avessero improvvisamente deciso di urlare in piazza le loro preferenze che discendono dalle scelte di politica economica che i due candidati hanno fatto nel corso degli anni. La divisione attraversa tutte le più importanti università, con la sola eccezione della University of California e della Haas School, il centro di eccellenza di studi economici a Berkeley, dove i partigiani della Yellen sono maggioranza. Il dibattito tra gli economisti si è spostato anche nel mondo dell’economia reale e della finanza, dove pian piano amministratori e delegati stanno prendendo posizione. La lettera dei senatori democratici ha anche avviato, ma molto lentamente, il dibattito tra i politici che parteggiano per l’uno o l’altro dei candidati senza bandiera di partito: come tra i democratici anche tra i repubblicani ci sono i fan di Summers come della Yellen.
Con Summers ci sono economisti come Michael Barr di University of Michigan, Tyler Cowen di George Mason University, Sean Snaith di Central Florida University e Brad DeLong di University of California; con la Yellen Alan Blinder di Princeton, Christina Romer di Berkeley, Joseph Stiglitz di Columbia e Paul Krugman di Princeton. Quest’ultimo si è espresso attraverso il blog che mantiene sul "New York Times" e ha scritto: «Abbiamo due candidati alla Fed altamente qualificati... Ma se la scelta finale non sarà Janet Yellen, penso che il presidente dovrà dare una buona spiegazione per non averla nominata».
Il dibattito è così serrato che appare impossibile fare una previsione su che cosa farà Obama prima della fine dell’anno. Il rischio è che Summers e Yellen escano di scena bruciati dalle polemiche e, alla fine, spunti un candidato incolore. Oppure che la Casa Bianca finisca per chiedere a Ben Bernanke di affrontare un terzo mandato.