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 2013  agosto 30 Venerdì calendario

COME BERLUSCONI HA IDEATO LA FRODE


[pezzo + cronologia]

È sulla base delle sentenze emesse in primo e secondo grado che si è basata la condanna confermata anche dalla Cassazione. Le parole dei testimoni che descrivevano quel sistema fraudolento, le mail dei protagonisti, gli interrogatori. Così nelle 208 pagine di motivazioni la Corte ripercorre i sistemi messi in atto negli anni fossero improntati all’evasione fiscale.
Il primo e il secondo grado
Silvio Berlusconi è stato condannato per “aver concorso, mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, nelle fraudolente dichiarazioni dei redditi del 2002 e del 2003 della spa Mediaset, dichiarazioni presentate nell’ottobre del 2003 e del 2004”. In particolare si parla di “azioni esecutive del medesimo disegno criminoso al fine di evadere le imposte sui redditi” compiute da “Berlusconi, quale fondatore e, fino al 29.01.1994, presidente di Fininvest spa; proprietario delle società off shore costituenti il cosiddetto Fininvest B Group; azionista di maggioranza di Mediaset spa; figura di riferimento, a fini decisionali, degli altri imputati”. Il sistema “elaborato negli anni ’80 e da allora costantemente seguito fino al 1998”, consisteva in un complesso sistema: “i diritti di trasmissione per i canali tv del gruppo Mediaset venivano acquisiti dai principali Studios americani e da altri produttori attraverso la fittizia intermediazione di società offshore segretamente controllate da Berlusconi”, questi diritti “venivano acquistati a prezzi gonfiati”, e poi “venivano successivamente fatti oggetto di una serie di vendite all’interno di complesse catene societarie e infine ceduti, con rilevanti maggiorazioni di prezzo, a società maltesi (collegate al gruppo Mediaset) che successivamente provvedevano alla cessione a Mediaset spa”.

Il sistema prima del 1995
La frode si è consolidata negli anni. Nel luglio 1996 Mediaset inizia a esser quotata in borsa: una nuova medaglia per Berlusconi, che continua ad acquistare i diritti televisivi tramite intermediari. Già, continua, perché secondo i giudici quel sistema era in atto anche prima del 1995, anche se i reati in quel caso sono prescritti.
Seppur prescritte le vicende precedenti alla quotazione in borsa di Mediaset formano a giudizio della Corte di Cassazione “un imprescindibile precedente storico e logico delle condotte che avevano conservato rilievo penale”. Questi diritti, continuano i giudici, “transitavano senza alcuna reale ragione economica, per società che facevano capo alla medesima proprietà dell’acquirente finale a cui quindi si interponevano. Realizzando però il duplice intento, la duplice ragione, del transito: aumentare i costi e costituire fondi esteri. Fondi però sostanzialmente occulti, per quanto attiene il loro reale avente diritto, posto che solo le indagini successive avevano consentito di attribuirne la titolarità a Berlusconi. A riprova di ciò si pensi poi che proprio la Universal One e la Century One avrebbero dovute essere le società ricomprese nei trust (poi non realizzati) riconducibili ai figli dell’Imputato sul quali però l’imputato stesso manteneva, espressamente, il sostanziale controllo (i figli, lui vivente, non avrebbero potuto neppure disporre di quei beni, se non con l’assenso di stretti collaboratori del padre)”. La Corte scrive: “Il rapido excursus sul percorso seguito dai diritti negli anni immediatamente precedenti il periodo di tempo oggetto dell’odierna residua imputazione consente di fissare una serie di conclusioni. L’ipotesi d’accusa della assoluta fittizietà del giro del diritti è certamente confermata per i passaggi infragruppo, del tutto sforniti di ragione economica. Passaggi che generavano i risultati che si intendevano raggiungere: la lievitazione dei costi con la conseguente evasione delle imposte italiane dell’acquirente finale, il gruppo Fininvest/Mediaset, e la costituzione all’estero, sia nel comparto riservato, sia nel comparto non riservato, di ingenti disponibilità finanziarie”. La Corte stabilisce che “si è già dimostrato come nel ’giro dei diritti’ relativo alle annualità prescritte fosse del tutto palese la fittizietà del costo finale del diritto imputato all’acquirente”.
Nel sistema di frode esisteva anche una struttura interna e parallela agli organi di Mediaset. Protagonista era Carlo Bernasconi, l’uomo di Berlusconi che non andava all’estero perché non conosceva l’inglese, morto nel luglio del 2001 e anche lui accusato nel 1995 per frode fiscale. All’epoca era il responsabile della compravendita dei diritti cine-televisivi Fininvest. Bernasconi, come racconta in un interrogatorio Silvia Cavanna, dipendente del gruppo fino al 1995 nel servizio gestione contratti, “si occupava dei diritti – anche dopo la quotazione in borsa nel 1996 – e continuava ad andare anche da Berlusconi ad Arcore. Bernasconi era la persona di fiducia della proprietà e quindi di Berlusconi; al di là delle qualifiche, era nella televisione il factotum di Berlusconi”. Se Bernasconi operava in Italia, secondo le testimonianze, Daniele Lorenzano - continua Silvia Cavanna - “era più l’uomo d’assalto che andava a trattare. Nei primi anni 90 Lorenzano si era trasferito negli Usa. E si occupava dei contratti. Precedentemente, dal 1981 al 1985, se ne era occupato direttamente Berlusconi che trattava direttamente con gli uomini delle Majors” e “Lorenzano era sempre al suo fianco”.
Tanto potente che l’allora amministratore delegato di Mediaset Franco Tatò dichiarava che "dava conto della sua attività direttamente a Berlusconi e non riferiva al Consiglio di Amministrazione". Erano questi alcuni dei protagonisti di quella “struttura, pur interna al gruppo ma sostanzialmente parallela ai suoi organi formali, che si occupava di questo tipo di operatività (che, ovviamente, non doveva svelare la sua reale, illecita, attività) e che era costituita da Bernasconi che ne era il vertice operativo (e da alcuni operativi che a Lugano, o a Milano, si limitavano ad eseguirne le direttive), da Lorenzano che era l’uomo di fiducia del gruppo deputato agli acquisti dalle Majors, da alcuni formali intermediari (Agrama e Cuomo su tutti), tutti con accesso diretto ai vertice proprietario dei gruppo. Ciò premesso, osserva questa Corte di legittimità come tale ricostruzione abbia trovato pieno riscontro nelle numerosissime risultanze processuali, orali e documentali, analiticamente analizzate e valutate dai Giudici del merito con adeguate argomentazioni immuni da vizi logico giuridici”.

Dal 1995 al 1998:
la truffa alla Consob
Quando nel luglio del 1996 si decise di quotare Mediaset in borsa, il sistema escogitato fino ad allora doveva essere limato. La poca trasparenza poteva essere essere facilmente scoperta dalla Consob, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, che ha proprio un ruolo di vigilanza. E allora che si pensa di fare? Lo racconta la sentenza di primo grado che spiega come nel dal 1996 il meccanismo di frode sia stato ripensato. Scomparivano di scena le “One”, mentre le “Principal” venivano vendute con contratti aventi effetto retroattivo dal gennaio del 1994. L’unica che veniva inserita in questo sistema è la Ims, una società schermo, riconducibile direttamente al gruppo, che agiva attraverso l’amministrazione di Lugano. È attraverso la Ims che i diritti erano formalmente intermediati. In realtà venivano acquistati su indicazione degli organi di Mediaset e dei loro intermediari come appunto Daniele Lorenzano. Se da una parte veniva creato la fittizia Ims, si è iniziato a creare anche una serie di società il cui unico scopo era quello di concorrere alla lievitazione “dei prezzi e aveva-vano natura puramente strumentale e fittizia”. Insomma una serie di cartiere. Un ottimo sistema per fregare quella vigilanza che poteva essere un ostacolo. “Negli anni successivi, contraddistinti dalla necessità di depurare il bilancio e, quindi, le movimentazioni finanziarie a seguito dell’ammissione in borsa di Mediaset (nel luglio del 1996), si interponeva all’acquisto la sola IMS, riconducibile anch’essa al gruppo, che, trattandosi di società priva di sostanziale struttura, agiva attraverso l’amministrazione di Lugano, sempre (anche negli anni precedenti alla sua operatività per conto di IMS) preposta all’occultamento del costo storico dei diritti. Diritti che erano formalmente intermediati quindi da IMS (e da Lugano, o meglio, da Massagno) ma che in realtà venivano acquisiti su indicazione degli organi Mediaset ed erano intermediati, per tutto il periodo, dal solito Lorenzano. Quel Lorenzanoche era stato il protagonista, in tutti gli anni ‘90, degli acquisti dalle Major (e che difatti è presente nelle mail citate dal Tribunale e relative almeno al periodo fino al 1995 ma che sarà anche il sostanziale unico braccio operativo anche nel periodo dal 1995 al 1998 attraverso le consulenze prestatead IMS i cui amministratori formali certo non erano attivi nell’acquisto dei diritti), così come Bernasconi era stato il protagonista, per Fininvest/Mediaset (ma in realtà per Berlusconi), dell’organizzazione dell’acquisto dei diritti e del loro transito nelle varie realtà societarie. Transito che, non essendovi elementi per dedurre che si trattava di una sostanziale truffa a danno della proprietà (di Berlusconi e della sua famiglia: totale prima, di maggioranza poi) del gruppo, andava a vantaggio di questa e quindi della famiglia Berlusconi ed in primis del suo referente principale, l’odierno imputato”. A sua volta, il Giudice di I grado, così si era già espresso in proposito: “Ovviamente con il progetto di quotare in borsa Mediaset il sistema escogitato fino a quel momento ha dovuto essere parzialmente modificato, prospettandosi necessario eliminare tutti quei rapporti poco trasparenti e comunque tali da non essere presentabili alla Consob e ai nuovi investitori. Tutte le entità fin qui esaminate, infatti, non erano commercialmente proponibili, attese la loro collocazione, la gestione ad opera di fiduciari, l’assenza di una reale struttura operativa, anche solo apparente, per cui diveniva indispensabile procedere ad una riorganizzazione del meccanismo di frode. Scomparivano di scena le “One”, mentre le “Principal” venivano vendute, nel luglio 1995, con contratti con effetto retroattivo alla data dell’1.1994 e IMS veniva inserita nel consolidato. Parallelamente però entravano in scena altri soggetti, dei quali alcuni caratterizzati dall’assoluta mancanza di esperienza nel settore dei diritti televisivi: circostanza questa che dimostra la fittizietà delle operazioni intraprese con tali soggetti, trattandosi di un settore che, per quanto riferito da tutti gli esperti del ramo nel corso del processo (e per quanto rientra nelle nozioni di comune esperienza e sapere) richiede conoscenze approfondite e soprattutto un radicato inserimento nell’ambiente. Per altro verso va evidenziato - e la circostanza non è di poco conto a dimostrazione della prosecuzione dell’attività delittuosa - che la lievitazione dei prezzi realizzata nel secondo periodo trae comunque le sue radici già nel precedente periodo quando erano funzionanti e funzionali le società del comparto B). Ed invero occorre considerare, al fini della permanente rilevanza penale dei vari pregressi passaggi infragruppo, non solo Il periodo di decorrenza del contratto, ma anche e soprattutto quello di stipulazione, in quanto è già fin da quel periodo che viene a configurarsi in nuce quello che sarà poi il dato contabile in base al quale effettuare l’ammortamento e quindi la dichiarazione dei redditi. Anche per questo periodo, Giudici del merito hanno richiamato numerosissime risultanze processuali, orali e documentali, tutte analizzate in maniera davvero capillare e valutate con argomentazioni del tutto logiche e convincenti, non sindacabili in questa sede di legittimità”.

Così facevano lievitare i prezzi
Il gioco del guscio vuoto
Il passaggio fondamentale nella frode avviene tramite la Ims, la società che opera a Lugano. I passaggi per ottenere la lievitazione dei prezzi come descritti dai giudici sono semplici. La titolarità dei titoli andava dal fornitore statunitense; da questo alla Ims e dalla Ims alla Mediaset. Peccato che Ims e Mediaset fossero la stessa cosa. Insomma la Ims è la cartiera per eccellenza della frode. Come questa ne sono state costituite molte altre e qui la fantasia dei protagonisti si è sbizzarrita. Sono sette le cartiere create. Dalla “film Trading” che faceva capo a un commerciante di carni alla Promociones Catrinca, società venezualana priva di qualsiasi struttura. Su questo la Cassazione scrive: “I Giudici del merito e, segnatamente, la Corte territoriale, hanno ritenuto, correttamente e motivatamente provato, in fatto, un gioco di specchi sistematico che - a fronte di una realtà costituita dall’acquisizione di diritti su opere scelte presso i produttori da un emissario di Mediaset, per prezzi concordati dalle stesse Major con costui - rifletteva una serie di passaggi privi di giustificazione commerciale: privi di giustificazione perché, quanto meno, (ma a volte gli anelli della catena erano più numerosi, e altrettanto - anzi, viepiù - ingiustificati), la titolarità dei diritti andava dal fornitore USA a un primo intermediario "di comodo"; da costui alla società IMS; quindi da IMS alla stessa Mediaset. Ad ogni passaggio, la lievitazione dei costi era (a dir poco) imponente. Infatti, il prezzo finale pagato da Mediaset a IMS, comprendente la sommatoria di tutti i ricarichi intermedi, risultava dunque enormemente superiore al costo originario (secondo una logica, in effetti, incomprensibile, se si applicano criteri d’impresa): ed era, appunto, il prezzo infine fatturato, destinato ad essere portato in detrazione quale costo nelle denunce dei redditi, (per un importo invero consistente: diversi milioni di euro, che comportavano minori imposte pur esse di milioni, nonostante si tratti ormai dei momenti finali dell’ammortamento pluriennale: sicché le imposte evase negli anni oggetto della residua imputazione erano di entità sì ragguardevole - milioni all’anno, appunto - ma tra gli importi più bassi, nel succedersi delle annualità, rispetto al passato anche recente, in cui il sistema operava ancor più proficuamente).
Quanto a IMS, i Giudici del merito ne hanno incontestabilmente accertato la sua natura di mera "cartiera", di pura domiciliazione a Malta, così come è risultata anche accertata l’assenza di potere decisionale del rappresentante legale di IMS, il quale si limitava a firmare i documenti contrattuali predisposti altrove.
Conclusivamente: Mediaset trattava gli acquisti, mediante suoi uomini di fiducia (si vedrà, di fiducia di Silvio Berlusconi), direttamente con le Major USA; linearità commerciale e fiscale avrebbe dovuto comportare che quegli acquisti le venissero fatturati; invece, le fatture che la società usava a fini di dichiarazione fiscale le erano rilasciate da altro soggetto (IMS), all’uopo costituito all’estero; l’importo dei costi in tali fatture indicato non era commisurato al prezzo d’origine, bensì enormemente maggiorato in esito al passaggi intermedi, privi di ragion d’essere commerciale. La ricaduta in diritto è la contemporanea, duplice fittizietà di tali fatture che non provenivano – soggettivamente - dal venditore reale, e - sul versante oggettivo, che è quello decisivo - recavano importi del tutto svincolati da quelli effettivamente corrisposti all’originario (=unico vero) alienante.
A prescindere da altre vicende giudiziarie pur richiamate (quelle relative ad altri fidati collaboratori di Berlusconi, quali Berruti Massimo Maria e Mills Makenzie), va qui osservato come le risultanze processuali dimostrino, come incisivamente afferma il Giudice di I grado, "la pacifica diretta riferibilità a Berlusconi della ideazione, creazione e sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità di denaro separato da Fininvest ed occulto", cioè di quel meccanismo delle società facenti capo a Berlusconi Silvio - che nella più volte richiamata email del contabile Schwalbe, indirizzata al presidente della distribuzione internazionale della Fox - è definito come l’Impero di Berlusconi, che funziona come un elaborato shell game ... e, cioè, gioco dei gusci vuoti ... con la finalità di evadere le tasse italiane”.

L’ex premier e i suoi rapporti
Il progetto di evasione fiscale
I giudici della Cassazione nel ritenere fondate le decisioni dei colleghi che hanno emesso le sentenza di primo e secondo grado, ne condividono anche le conclusioni che hanno riguardato Silvio Berlusconi: dai rapporti personali di alto livello (come l’avvocato Mills) alla gestione del gruppo Mediaset, l’azienda di famiglia non viene per nulla dimenticata neanche dopo il suo ingresso in politica. Ecco come lo spiega la Corte.
“È doveroso opportunamente ribadire che, nell’esercizio della funzione di controllo di legittimità spettante a questa Corte, che include la verifica della ’tenuta’ logica della motivazione, la sentenza impugnata, sul piano dell’argomentazione che riguarda i risultati probatori, è esente dai vizi lamentati dai ricorrenti. Essa presenta una motivazione solida e coerente, che alla ricostruzione dei fatti come emersi dall’Istruttoria ed apprezzati dalla Corte d’appello accompagna sia un esplicito, agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova, sia una costante attenzione per la coerenza complessiva del risultati valutativi. La sentenza della Corte d’appello di Milano si colloca, pertanto, al di fuori dell’ambito di irrazionalità che i ricorrenti lamentano e, a maggior ragione, al di fuori dell’area di manifesta illogicità della motivazione, la quale soltanto legittimerebbe una pronuncia di annullamento da parte della Corte di cassazione.
In ordine alla responsabilità di Berlusconi Silvio, ritiene questa Corte di legittimità di premettere le conclusioni cui, in proposito, sono pervenuti i Giudici di merito per poi verificarne la congruità, l’adeguatezza e la correttezza argomentativa rispetto alle risultanze processuali esaminate.
Rileva il Collegio che il così detto ‘giro dei diritti’ si inserisce in un contesto più generale di ricorso a società off shore anche non ufficiali ideate e realizzate da Berlusconi avvalendosi di strettissimi e fidati collaboratori quali Berruti, Mills e Del Bue nonché di alcuni dirigenti finanziari del Gruppo Fininvest.
Questo contesto è già stato ampiamente analizzato in tutte le sue possibili sfaccettature; quello che qui si intende ribadire è la pacifica diretta riferibilità a Berlusconi della ideazione, creazione e sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità di denaro separato da Fininvest ed occulto. Pare sufficiente qui ulteriormente osservare che il sistema così organizzato ha permesso di mantenere e alimentare illecitamente disponibilità patrimoniali estere presso conti correnti intestati a varie società che erano a loro volta amministrate da fiduciari di Berlusconi. Vi è la piena prova, orale e documentale, che Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale per così dire del Group B e, quindi, dell’enorme evasione fiscale realizzata con le società off shore di cui si è lungamente detto. Questa fase è stata condotta da persone di sicura fiducia dell’imputato e quando Mills non ha potuto proseguire, a causa della vicenda Edsaco, l tramite sono stati spostati a Malta sotto Il controllo del Del Bue. Il meccanismo di frode è proseguito, sotto la stessa regia, con ulteriori nuovi soggetti e con i metodi già sperimentati, secondo lo schema già collaudato, con la sola eccezione della graduale sostituzione delle consociate estere con i vari Giraudi e company. Come si è visto si tratta di un sistema che è stato congegnato e strutturato con mezzi e modalità tali da richiedere un apporto che non può provenire da un soggetto con limitati mezzi e privo di un potere indiscusso e generale, necessario per alimentare ovunque ve ne fosse la necessità l’operatività del meccanismo delittuoso. Detto sistema ha infatti richiesto l’intervento di fiduciari stranieri di alto livello (Mills, Del Bue) a loro volta certo lautamente remunerati per il lavoro svolto; l’apertura di numerosissimi conti correnti presso banche ubicate in vari paesi; la creazione di numerose società all’estero, la contestuale movimentazione di ingentissime somme di denaro; il coinvolgimento di una pluralità di collaboratori; il raggiungimento di accordi illeciti con soggetti inizialmente estranei alla propria sfera d’influenza.
Non è dunque verosimile che qualche dirigente di Fininvest/Mediaset abbia organizzato un sistema come quello accertato e, soprattutto, che la società abbia subito per vent’anni truffe per milioni di senza accorgersene (non risultano invero denunce nel confronti di Bernasconi o Lorenzana). Anzi, per il vero, l’anomala discussione svolta dalla parte civile Mediaset all’esito del processo e la conseguente asserita mancanza di danni alla società in coerenza con una ritenuta congruità dei prezzi corrisposti da Mediaset nei corso degli anni per l’acquisto dei diritti, significa sostanzialmente che i vertici della società ancora oggi neppure riconoscono l’illiceità di quanto è stato accertato.
Pertanto deve ritenersi che l’interposizione di tutte le suddette entità nelle compravendite dei diritti provenienti dall’estero sia stata ideata per il duplice fine di realizzare un’imponente evasione fiscale e di consentire la fuoriuscita di denaro dal patrimonio di Fininvest/Mediaset a beneficio di Berlusconi. Si tratta dunque di un preciso progetto di evasione che si è esplicato in un arco temporale molto ampio, in un vasto ambito territoriale e con modalità molto sofisticate.
Deve infine essere rimarcato il fatto che Berlusconi, pur non risultando che abbia intrattenuto rapporti diretti con i materiali esecutori della gestione finanziaria di Mediaset, la difesa assume che il riferimento alle decisioni aziendali consentito nella pronuncia della Cassazione che ha riguardato l’impugnazione della difesa Agrama della dichiarazione di non doversi procedere per prescrizione in merito ad alcune annualità precedenti starebbe proprio ad indicare che occorre aver riguardo alle scelte aziendali, senza possibilità, quindi, di pervenire ad una affermazione di responsabilità di Berlusconi che presumibilmente del tutto ignari delle attività prodromiche al delitto, ma conoscendo perfettamente il meccanismo, ha lasciato che tutto proseguisse inalterato, mantenendo nelle posizioni strategiche i soggetti da lui scelti e che continuavano ad occuparsi della gestione in modo da consentire la perdurante lievitazione dei costi di Mediaset a fini di evasione fiscale.

Nella parte finale delle motivazioni della Cassazione, i giudici spiegano perché i motivi del ricorso di Berlusconi siano infondati. L’unico ricorso che ritengono fondato è quello relativo alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Tanto che hanno deciso di rinviare. Il nuovo processo d’appello infatti di svolgerà in autunno a Milano, davanti a una sezione della Corte d’Appello che sarà diversa da quella che si espressa sul merito del processo. Su questa decisione si potrà ricorrere in Cassazione. Sono invece infondati gli altri motivi del ricorso dell’ex premier.

L’oggettiva gravità del reato
Particolare intensità del dolo
Uno dei ricorsi gli avvocati dell’ex premier parlano di “violazione di legge e vizio di motivazione per quanto riguarda la determinazione della pena base e la mancata concessione delle attenuanti generiche”.
Per i giudici è infondato e spiegano il perché. Sicuramente per la gravità del fatto compito. “La gravità materiale dell’addebito - scrivono - e l’intensità del dolo dimostrato trattandosi di un’operazione illecita organizzata e portata a termine attraverso la costituzione di società e conti esteri a ciò destinati, con un sistema portato avanti per molti anni, sfruttando complicità interne ed esterne al gruppo ed in una posizione di assoluto vertice”.
Infondata è pure la richiesta di attenuanti generiche. L’età e l’incensuratezza non salvano B.
Per quanto riguarda le attenuanti generiche, infatti, scrivono i giudici di Cassazione, “la Corte d’appello ha ritenuto irrilevanti gli elementi positivi messi in rilievo con l’atto di appello (incensuratezza, età anagrafica, il fatto che l’imputazione riguarda solo due annualità per le quali è stata concessa un’evasione minimale) a fronte della già ritenuta oggettiva gravità del reato e della particolare intensità del dolo”.

Risarcimento oneroso
B. dovrà versare all’erario
Infondato è anche il ricorso con il quale Berlusconi “denunzia vizio di motivazione con riguardo al riconoscimento del danno non patrimoniale in favore dell’agenzia delle entrate e alla quantificazione della provvisionale”.
Anche per i giudici di Cassazione le motivazioni con la quale la corte d’appello ha confermato la condanna al risarcimento in favore della parte civile, ossia l’agenzia delle entrate, è “congrua e adeguata”.
Spiegano che il danno creato non coincide solo con la misura dell’imposta evasa, ma anche con il “danno funzionale rappresentato dallo sviamento e turbamento dell’attività di accertamento tributario”.

La difficoltà delle indagini
Un sistema complesso
I magistrati in questo modo da una parte sottolineano la complessità del sistema fraudolento messo a punto, dall’altra quanto sia stato reso sempre più difficile il lavoro dei magistrati durante le indagini. “I giudici – continua la sentenza – in particolare, hanno tenuto conto della particolare complessità dell’operazione di occultamento, attuato con la costituzione di un meccanismo di notevole accuratezza ed insidiosità, facendo larga profusione di società e conti esteri; e così grandemente difficultando indagini ed accertamenti e costringendo pertanto l’organo accertatore ad un difficilissimo, e dispendiosissimo, compito. La Corte d’appello ha poi confermato la liquidazione del danno non patrimoniale, considerando che un’operazione illecita protratta per anni, per somme ingenti, e solo disvelata con grande difficoltà non può che recare un rilevante pregiudizio all’organo accertatore nell’opinione dei consociati, anche in relazione alla notorietà della società e dei suoi vertici”.
Berlusconi contesta ai giudici anche il relativo danno all’immagine creato dalle indagine nei suoi confronti. Un motivo che i magistrati ritengono ”non possa essere condiviso”. E aggiungono nella sentenza: “I Giudici del merito, ed in particolare il giudice di primo grado, hanno infatti richiamato il principio generale della risarcibilità del danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. ed il principio della risarcibilità del danno all’immagine subito da enti preposti al controllo del corretto esercizio di attività (economiche e non) a seguito della commissione di connessi all’espletamento di tali attività. Questo principio generale non può ritenersi derogato, In mancanza di qualsiasi specifica indicazione normativa, dal citato art. 17, comma 30 ter del d.l. n. 78/2009, che pone una norma speciale che si riferisce esclusivamente all’azione per il risarcimento del danno all’immagine esercitata dalle procure della Corte dei Conti recato da pubblici dipendenti all’ente pubblico di appartenenza e non si estende in via generale al risarcimento del danno non patrimoniale liquidabile dal giudice penale a seguito di una condanna per un illecito penale. La quantificazione della provvisionale è stata poi, con congrua motivazione, determinata tenendo conto che la mera evasione ammontava a oltre 7 milioni di euro. E ciò fermo restando il principio per cui non è deducibile con il ricorso per cassazione la questione relativa alla pretesa eccessività della somma di denaro liquidata a titolo di provvisionale”. Se questi sono i motivi che hanno portato i giudici a rigettare i ricorsi presentati da Berlusconi allo stesso modo “I ricorsi di Agrama Frank, Gaietto Gabriella, Lorenzana Daniele vanno, dunque, rigettati”.

Per tutti questi motivi
La condanna
“Da tanto consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. - conclude la Cassazione - la condanna degli stessi al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento. Tutti gli imputati vanno, altresì, condannati alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Agenzia delle entrate che, in base alle tariffe forensi e all’attività difensiva effettivamente svolta, si liquidano nella misura meglio indicata nel dispositivo che segue.
Annulla la sentenza impugnata nel confronti di Berlusconi Silvio limitatamente alla statuizione relativa alla condanna alla pena accessoria dell’interdizione temporanea per anni cinque dai pubblici uffici, per violazione dell’art 12, comma 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Milano perché ridetermini la pena accessoria nel limiti temporali fissati dal citato art. 12, ai sensi dell’art 133 cod. pen., valutazione non consentita alla corte di legittimità; rigetta nel resto il ricorso del Berlusconi nei cui confronti dichiara, ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., irrevocabili tutte le altre parti della sentenza impugnata.
Condanna tutti gli imputati in solido al pagamento in favore della parte civile, Agenzia delle Entrate, delle spese dalla stessa sostenute in questo grado di giudizio, liquidate in complessivi 5.000,00 euro, oltre accessori come per legge”.
Così hanno deciso i giudici della Cassazione di Roma l’1 agosto 2013. Una sentenza con relative motivazioni firmate da tutti e cinque i magistrati estensori, i consiglieri Amedeo Franco, Claudio D’Isa, Ercole Aprile, Giuseppe De Marzo. E dal presidente della Sezione Feriale di Cassazione: Antonio Esposito.



DAL 2001, LE TAPPE DELL’INCHIESTA–

Dal 2001 a ieri: di seguito le principali tappe del processo Mediaset.
25 GIUGNO 2001: la Guardia di Finanza entra negli uffici di Mediaset a Cologno Monzese.
3 GIUGNO 2003: Inizia a circolare la notizia di un’inchiesta aperta dalla Procura di Milano nei confronti di Silvio Berlusconi, scaturita da un’altra indagine denominata “All Iberian” sul comparto estero di Fininvest.
7 LUGLIO 2004: Risultano indagati anche Marina e Pier Silvio Berlusconi, il presidente Mediaset Fedele Confalonieri, l’ex responsabile del settore estero Fininvest, Giorgio Vanoni, l’ex responsabile di Fininvest Service in Svizzera, Candia Camaggi, e il presidente di Arner Bank, Paolo Del Bue.
26 APRILE 2005: i pm chiedono il rinvio a giudizio per 14 imputati tra cui Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri
28 OTTOBRE 2005: comincia l’udienza preliminare
7 LUGLIO 2006: il gup Fabio Paparella manda a processo 12 persone, tra cui Berlusconi.
21 NOVEMBRE 2006: inizia il processo
15 GENNAIO 2007: Vengono dichiarati prescritti i reati fino al 1999
26 SETTEMBRE 2008: sospensione del processo per il Lodo Alfano. Lodo dichiarato incostituzionale il 16 novembre.
28 FEBBRAIO 2011: dopo la bocciatura parziale della legge sul legittimo impedimento il processo riparte.
18 GIUGNO 2012: I pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro chiedono pene comprese tra i 3 anni e i sei anni di carcere per gli imputati. Per Berlusconi 3 anni e 8 mesi.
26 OTTOBRE 2012: Il Tribunale di Milano condanna Silvio Berlusconi a 4 anni di reclusione (di cui 3 condonati per l’indulto). A Berlusconi il collegio presieduto da Edoardo D’Avossa infligge anche la pena accessoria di 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, condanna non immediatamente esecutiva.
18 GENNAIO 2013: Davanti alla seconda Corte d’Appello di Milano, presidente Alessandra Galli, comincia il processo di secondo grado che viene però fermato due volte dai giudici per permettere a Silvio Berlusconi di partecipare alla campagna elettorale e di essere curato per la sua uveite bipolare.
8 MAGGIO 2013: in Appello confermata la condanna a 4 anni per Berlusconi.
9 LUGLIO 2013: decisa l’udienza di Cassazione, sarà il 30 luglio
1 AGOSTO 2013: la Cassazione emette la sentenza di condanna