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 2013  agosto 29 Giovedì calendario

L’INSOSTENIBILE TWEET ARROGANZA DI INGROIA

In linea di principio non si dovrebbe infierire sui vinti, e quindi questo principio si dovrebbe attagliare perfettamente per Antonio Ingroia, grande presuntuoso e grande sconfitto delle elezioni politiche. Politico che deve più a Maurizio Crozza che agli avversari la sua debacle elettorale. Quando però, pur dopo essere stati battuti, gli interessati continuano a comportarsi in modo arrogante e pretendono di dare lezione, si può fare eccezione. Pensavo che Ingroia dopo la penosa vicenda della sua carriera in magistratura avesse il buon gusto di tacere: tutti sanno che si è candidato alle politiche, contrariamente ad ogni principio di buonsenso, e che lo ha fatto – aggirando la norma – persino dove ha indagato. Tutti sanno che pretendeva di continuare a fare politica anche dopo le elezioni, fondando, anche dopo il voto, un nuovo movimento (legittimo) ma senza lasciare la toga (molto strano). Tutti sanno che voleva anche accettare l’incarico offerto in una controllata da Rosario Crocetta, anche lì senza rinunciare alla magistratura, esattamente come era disinvoltamente andato in Guatemala con un retribuito e prestigioso incarico internazionale (senza nemmeno disfare il bagaglio) quando aveva già deciso di candidarsi alle politiche.

L’ultimo capitolo di questa surreale vicenda era stata la nomina ad Aosta, unica sede in cui poteva esercitare, essendosi candidato in tutte le altre regioni d’Italia. Ebbene, da quella sede Ingroia è decaduto, dando un altro bellissimo esempio civile, per “assenteismo”, visto che nel suo ufficio alla procura di Aosta ha messo piede solo per due ore, il giorno dell’insediamento. Il plenum del Consiglio superiore della magistratura – mica lo studio Ghedini – ha approvato all’unanimità la delibera proposta dalla Quarta commissione che chiedeva la decadenza di Ingroia dall’ordine giudiziario «per essere rimasto assente dall’ufficio ingiustificatamente per un periodo superiore ai 15 giorni». Un finale inevitabile, anche se il leader di Azione civile aveva inviato proprio al Csm una lettera di fuoco, accusandolo di averlo «senza troppi riguardi spinto fuori dalla porta».

Ho letto, ma non so se è vero, che facendosi decadere senza dimettersi, Ingroia, conserverebbe la possibilità di essere riintegrato in ruolo dal Csm tra due anni. Altri sostengono che la decadenza equivalga alle dimissioni. Non so se sia vero. Sta di fatto che due giorni fa, nel mio programma, persino Antonio Di Pietro (!) ha fatto una battuta nei suoi confronti, dicendo: «Al contrario di altri, prima di fare politica, mi sono dimesso dalla magistratura». Mi sembrava perfettamente normale, quasi indolore, sottolineare che questo riferimento non potesse che essere a Ingroia.


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Apriti cielo: per un intero pomeriggio, su Twitter, l’interessato ha iniziato bersagliarmi, accusandomi di essere persecutore, disinformatore, e insinuando – alla sua maniera – molto peggio. Ovvero spingendosi a scrivere: «La mafia non ha bisogno di uccidere certi magistrati. Si agisce altrimenti… Può più la penna della spada». Quindi, secondo questo incredibile ragionamento, chiunque metta in dubbio la coerenza e l’eroismo di Ingroia, si mette sullo stesso piano di quei mafiosi che uccidono con la penna.

Ma i sillogismi dell’ex Pm non finivano qui. Di fronte all’osservazione elementare che il suo comportamento danneggiava tutti i Magistrati, esponendoli all’accusa potenziale di fare politica con le loro inchieste, proprio come lui aveva dimostrato con il suo esempio, andando in televisione a parlare dei suoi processi, salvo poi abbandonarli ai suoi colleghi per la gloria della campagna elettorale, Ingroia, invece di negare, rispondeva così: «Io certi berlusconiani li ho fatti condannare come Dell’Utri e li ho combattuti in politica. Telese attacca me...».

Incredibile. Evidentemente Ingroia non ha la minima percezione della gravità di quello che sta sostenendo sul piano delle regole, del diritto, dell’equilibrio tra i poteri. Per lui la politica è la continuazione della magistratura con altri mezzi, o viceversa. Motivo per cui è stato criticato non da Daniela Santanché, ma persino da persone che gli vogliono bene, come Peter Gomez e Antonio Padellaro. Macché, per lui non contava nulla.

E dire che il mio tweet, quello che lo aveva fatto arrabbiare, al confronto era di un candore assoluto: «Ingroia – avevo scritto – candidandosi dopo le sue inchieste ha fatto un torto alla magistratura». Adesso, alla luce di quello che lui scrive, dovrei dire che persino le sue inchieste sono retroattivamente viziate da una volontà politica che Ingroia incredibilmente dichiara. Invece l’interessato risponde così, sempre con la consueta modestia, paragonandosi a una vittima di mafia: «Cesare Terranova passò dalle inchieste sulla mafia alla politica per indagare in parlamento su mafia e politica. Perciò ucciso». Allora gli ho risposto: «Ingroia è passato dalle inchieste sulla politica alla politica e pensa che sia corretto. Terranova non ha fatto il capolista in politica dopo aver indagato sulla politica. I berlusconiani ti ringraziano». E quando gli ho fatto notare: «Di Pietro si dimise dalla magistratura prima di scendere in politica. Tu hai aggirato le regole», Ingroia mi ha risposto: «Studia, prima c’erano altre regole».

Ovviamente, a parità di stipendio, sono disposto ad andare a studiare in Guatemala (dove, come disse D’Alema, dopo la sua esperienza, è difficile che nessuno darà mai più un incarico a un italiano). Ma la cosa incredibile è che l’ex pm, e molti suoi fan rispondono a queste minime osservazioni di buonsenso accusandomi di essere un giornalista di regime, un servo di Berlusconi e un nemico dell’antimafia. Gli assiomi sono due: 1) Se Berlusconi non rispetta le regole, e siede in Parlamento da condannato, cosa sarà mai un piccolo errorino formale di Ingroia. 2) Se Ingroia ha processato dei mafiosi, criticandolo si fa il gioco di questi mafiosi.
Ma che cosa sarebbe successo se il Pm che ha indagato su Filippo Penati si fosse candidato come capolista del Pdl in Lombardia? Cosa avremmo detto se il giudice che ha Inquisito Ottaviano del Turco fosse andato a parlare al congresso del Pdl, con un simbolo di partito sotto di se? Ingroia, a parti inverse, ha fatto entrambe le cose. Ovviamente - anche per questo - io penso il contrario di quello che sostengono l’ex pm e i suoi fan: si può rispondere a testa alta ai primi e ai secondi, solo essendo impeccabili e inappuntabili sulla cultura delle regole. Fino ad allora Ingroia può sicuramente tornare a esercitare, come giudice. Preferibilmente a X Factor.