Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  agosto 28 Mercoledì calendario

BEN BERNANKE, L’UOMO CHE DOVEVA SALVARE IL MONDO -  

Nel sederci a tavola nel Frakfurter Hof, commentai che a Francoforte, dall’arredamento dei ristoranti alla politica monetaria, prevalevano tendenze austere e solide, prevedibili come il sapore di un würstel. Bernanke sorridendo chiosò: “Il commercio di anime è una delle poche materie non influenzata dalle banche centrali”. L’euro era già valuta ma non ancora banconota. Lui, uno degli accademici più influenti sulle questioni monetarie, era stato invitato alla Banca centrale europea per discutere sulla rotta da tenere nell’unione monetaria. Un paio di anni dopo, nel 2002, George W. Bush lo nominò prima nel Board della Federal Reserve, la banca centrale americana, e poi nel 2006 al vertice. Il destino ha voluto che alla guida della Fed, durante la più virulenta crisi dai tempi della Grande Depressione, ci fosse uno che aveva studiato minuziosamente proprio le politiche post 1929. E infatti dopo il collasso della Lehman Brothers, il 15 settembre del 2008, Bernanke non esitò a tamponare il disastro inondando di liquidità il sistema finanziario americano e mondiale.
IN QUELL’EMERGENZA epocale non si ricorse alla fantasia. Bernanke applicò la terapia che quasi tutti, da Milton Friedman in poi, avevano prescritto: evitare che il panico prosciugasse il credito, devastando le banche e con esse l’economia reale. Ciò non significa che la terapia non abbia prodotto effetti collaterali, in primis condonare l’incompetenza (o peggio) che allignava a Wall Street. Ma alternative concrete non erano disponibili. Sulla reazione di Bernanke alla fase acuta della crisi i giudizi sono compositi. Ma sono pochi quelli negativi. Invece sulla politica monetaria condotta negli anni successivi la schiera degli oppositori si rafforza.
In questi anni Bernake ha guidato la Fed con determinazione, ricorrendo a strumenti creativi, aggressivi e di portata mai vista per sollevare tre successive ondate di liquidità nei mercati (note come quantitative easing, QE). Nello sforzo di contrastare la potenza del gorgo che risucchiava l’economia Usa, il bilancio della Fed è esploso da meno di 1000 miliardi di dollari nel 2008 a 3600 miliardi di dollari oggi, inglobando un guazzabuglio di debito pubblico (oltre metà del portafoglio) e titoli di varia tossicità, soprattutto cartolarizzazioni di mutui. Visto che la ripresa rimane asfittica, molti asseriscono che l’efficacia di questo programma è dubbia. E le conseguenze ancora da scontare. Probabilmente se ne discuterà per decenni.
Di sicuro Bernanke lascerà da smaltire al suo successore una sbornia da 4000 miliardi di dollari. Il giorno che i tassi inevitabilmente risaliranno, il valore delle obbligazioni scivolerà. La Fed presenta uno stato patrimoniale dove le passività sono i dollari emessi dal nulla per comprare i titoli iscritti tra le attività. Finora il gioco di specchi contabile ha retto. Ma i valori di passività e attività devono combaciare, quindi quando i tassi di interesse saliranno, sui dollari sorti dal nulla avanzerà un’ombra sinistra. Da maggio, appena la Fed annuncia vagamente di normalizzare la politica monetaria, i mercati da Shanghai a New York, perdono quota trascinando il cambio del dollaro.
CHI È IL SUCCESSORE giusto per disinnescare il meccanismo senza farlo esplodere? Il favorito è Larry Summers (i bookmaker lo danno 4 a 6), mentre la vice di Bernanke, Janet Yellen è la contendente più accreditata (data quasi alla pari). Il primo dopo essere stato un enfant prodige ad Harvard, ha ricoperto posizioni chiave con presidenti democratici (fino a divenire segretario al Tesoro con Bill Clinton). Per conto della Casa Bianca di Barack Obama ha gestito il salvataggio delle case automobilistiche (assicurando al presidente i voti del Mid-West nelle elezioni 2012). La Yellen a diviso la carriera tra università di prestigio, la presidenza dei consiglieri economici e varie esperienze nella Fed le cui dinamiche interne conosce a menadito. Lei è considerata più sensibile alla disoccupazione e all’economa reale, mentre a Summers viene attribuito un atteggiamento critico sulla prosecuzione del QE, il programma di quantitative easing. Tra i vertici del governo e delle istituzioni finanziarie si intrecciano da decenni relazioni incestuose e conflitti di interesse plateali. Dalla gestione di Alan Greenspan (predecessore di Bernanke) in poi, anche la Fed è stata prona ai desiderata di Wall Street.
La finanza tossica si nutriva della politica monetaria troppo accomodante e della supervisione di biscazzieri che hanno gonfiato una serie di bolle (a partire da quella Internet delle dotcom) evitando che gli scommettitori pagassero il conto al momento dello scoppio. La figura che ha rappresentato il pinnacolo di questo intreccio è Robert Rubin, Ceo di Goldman Sachs, poi potentissimo Segretario al Tesoro con Clinton, per finire al vertice di Citibank. Altre figure prominenti sono Hank Paulson, Segretario al Tesoro con Bush, e Tim Geithner che ricopre quel posto con Obama. Anche Bernanke (che quando studiava ad Harvard viveva con l’attuale capo della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein), è legato a quell’ambiente. I miliardi di dollari in pancia alla Federal Reserve e gli scarsi progressi sulla regolamentazione finanziaria promessa e mai effettivamente applicata sono le prove di una connivenza tra banca centrale e Wall Street.
ANCHE SCREMANDO leggende e pettegolezzi che impazzano a Washington, è noto che Summers sia un pupillo di Rubin, di cui fu vice al Tesoro prima di sostituirlo al vertice. E Obama con Summers (e il suo mondo) mantiene rapporti stretti. La Yellen invece ha incontrato Obama solo una volta, è estranea a quel coacervo di intrecci e pertanto immune da forti influenze e soggezioni al “Club”, come viene chiamato il gruppo di personaggi circondati da un’aura faustiana. Sarà interessante vedere chi la spunterà alla fine.