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 2013  agosto 29 Giovedì calendario

AL MONTE DEI PASCHI DOPO LO SCANDALO CONTINUA LA RISSA DELLE CONTRADE

Guardando ciò che accade a Siena in questi giorni c’è da domandarsi se la lezione sia servita. Alludiamo allo scandalo che nei mesi scorsi ha travolto i vertici del Monte dei Paschi, dando anche un contributo non irrilevante alla mancata vittoria elettorale del Partito democratico e di Pier Luigi Bersani. La battaglia sotterranea per la presidenza della Fondazione, che ancora controlla la maggioranza relativa del capitale della terza banca italiana, è la prova che le vecchie ruggini all’interno del Pd non sono mai state rimosse.
Sappiamo bene che a Siena, città come nessun’altra legata alle antiche tradizioni comunali, gli schematismi non funzionano. Ma, sia pure in modo molto grossolano, si possono distinguere due schieramenti. Il primo è quello di chi sostiene la necessità che la politica locale, da sempre arbitro sia delle nomine sia delle scelte strategiche in quanto dominus della stessa Fondazione, faccia un passo indietro: per capirci, è il fronte che sostiene il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola, i quali hanno imposto alla banca una difficile cura ricostituente. Il secondo schieramento, molto più critico nei confronti degli attuali vertici, è quello di chi al contrario considera un sacrilegio la rottura del vincolo che lega la banca a una città nella quale lavorano per il Monte 3.360 persone (su 50 mila abitanti) e il cui primo cittadino è sempre stato, tranne rare eccezioni, un dipendente dell’istituto di credito. Della prima corrente fanno parte i presidenti della Regione Toscana, Enrico Rossi, e della Provincia di Siena, Simone Bezzini, nonché l’ex sindaco Franco Ceccuzzi. Alla seconda sono invece iscritti i sostenitori del precedente gruppo dirigente della Fondazione, che l’ha fatta svenare indebitandola poi fino al collo per sostenere la più che controversa acquisizione dell’Antonveneta senza perdere il controllo della banca.
Dipendente del Monte dei Paschi è anche l’attuale sindaco Bruno Valentini, esponente del Partito democratico. Sempre nella logica degli schematismi che a Siena, ricordiamo, è quanto mai imperfetta, si potrebbe definire «renziano». A quale dei due schieramenti debba essere attribuito Valentini non è del tutto chiaro. Ma è certo che chi si aspettava una presa di distanza del sindaco da tutta questa vicenda non ha affatto azzeccato la previsione. La prima dichiarazione di Valentini è stata sull’identikit del futuro presidente della Fondazione, il successore di Gabriello Mancini, alla guida dell’ente durante l’operazione incriminata, già esponente della Margherita senese, legatissimo al presidente del consiglio regionale Alberto Monaci. Eccola: «Dovrà avere i requisiti e le capacità professionali in grado di competere con Profumo». Prima di Ferragosto, poi, ha rivelato l’esistenza di un presunto interessamento straniero verso la banca. Facendo accapponare la pelle non soltanto a Viola e Profumo ma anche alla Banca d’Italia. Infine, non ha nascosto di essere il principale sponsor dell’ex garante della privacy Franco Pizzetti, gradito al centrosinistra e in particolare ai «renziani», per la poltrona di presidente della Fondazione. Una candidatura che finora non è però riuscita a mettere tutti d’accordo, facendo riemergere contrasti mai risolti.
Anche se in prospettiva è destinata a scendere «sensibilmente sotto il 10 per cento», secondo una valutazione espressa pubblicamente da Profumo il 14 agosto, la Fondazione è tuttora il principale azionista del Monte. E questo è senza dubbio il momento meno adatto per mettere in moto antiche rivalità. Oppure, peggio ancora, per esercitare interferenze politiche: visto che proprio a causa di quelle interferenze la banca e la Fondazione sono finite nei guai. Per venir fuori da una situazione certo non facile il Monte ha chiesto 4 miliardi di euro allo Stato. Ragion per cui sull’ente che in tre settimane non è riuscito a nominare il suo massimo rappresentante sono puntati, con un’attenzione se possibile ancor maggiore del solito, i fari del Tesoro e della Banca d’Italia. Cui magari non dispiacerebbe l’arrivo al vertice della Fondazione di una figura gradita anche a loro. Tanto che l’avrebbero pure sommessamente fatto sapere. Ma ancora più grosso è il problema che si chiama Bruxelles. Quei quattro miliardi sono una cifra enorme, che il Monte dovrà comunque restituire a caro prezzo. Sempre però se l’accesso ai fondi statali le verrà concesso dalla Commissione europea, concessione che sembra tutt’altro che scontata. Figuriamoci se i funzionari dell’Ue dovessero assistere all’ennesima rissa contradaiola...
Sergio Rizzo