Beppe Severgnini, Corriere della Sera 29/08/2013, 29 agosto 2013
«SONO CLAUDIO, UNO STALKER. PICCHIAVO LE MIE RAGAZZE»
Claudio M. ha circa trentacinque anni. Non è alto, è robusto e proporzionato. Porta i capelli corti, appena grigi sulle tempie. Dispone di un buon vocabolario e conosce il congiuntivo. Aveva un lavoro: lo ha perduto. Ha un sorriso educato, gli occhi guardinghi e una condanna (patteggiata) a 18 mesi. Capi d’imputazione: stalking, maltrattamenti, violazione di domicilio. C’era anche il sequestro di persona, poi derubricato. Ha evitato il carcere e segue un programma di recupero. Vive nell’Italia settentrionale, è venuto a Milano per quest’incontro. Siamo in una stanza del Presidio Criminologico Territoriale, zona Niguarda: aria da ufficio pubblico, poca gente in agosto. Sceglie dove sedersi.
Lo scopo del nostro incontro è aiutare chi leggerà. Soprattutto i maschi. Aiutarci a capire quando la passione o il corteggiamento diventano volontà di possesso e sopraffazione. Quali sono i primi segnali, secondo lei ?
«I primi segnali? Se dovessi suggerire qualcosa a un amico in difficoltà, raccontando di me, direi: accorgersi che si è diventati precipitosi. Perdere il controllo, magari non rispettare alcuni tempi. Se una persona ti dice che non ti vuole sentire, e tu le mandi troppi messaggi o continui a cercarla o a guardare quello che fa quando la vostra storia è finita».
La prima volta è accaduto con una persona con cui lei aveva una relazione?
«Devo dire che nelle quattro o cinque relazioni che ho avuto nella mia vita c’è stato un po’ questo filo conduttore. A un certo punto trovarmi tra virgolette in difficoltà e non riuscire a gestire un rapporto sano. Comunque sì, è successo sempre con una fidanzata, una compagna».
Ha una spiegazione?
«All’inizio va bene. Il problema nasce dopo quando mi sento meno sicuro e perdo fiducia. Quando il rapporto si sta per chiudere. Io ho paura di essere abbandonato e lì incomincio a essere magari un po’ più pressante coi messaggi o cercare la persona con cui sto».
E cosa fa?
«In quest’ultima esperienza, quella che ha portato alla condanna, abitavo a fianco a casa sua, quindi casualmente eravamo a dieci metri, ed è stato abbastanza difficile cercare di gestire questa situazione. Andavo a cercarla a casa sua, diciamo. Suonavo il campanello, queste cose qua».
Quando sono partite le denunce?
«Tra la prima e la seconda sono passati circa trenta giorni, e ci siamo visti ancora due o tre volte. Quando ci siamo visti, io forse ho pensato che potevo recuperare questo rapporto. Invece un giorno lei mi ha respinto, si è infastidita al fatto che l’ho cercata. Mi sono sentito come dire ancora più frustrato di prima, più abbandonato di prima. Ed è successo quell’episodio in cui sono saltato dentro a casa sua, nel giardino».
Scusi?
«La seconda denuncia è scattata perché io sono saltato all’interno di casa sua, ho scavalcato la recinzione. E ho gridato "Se non mi apri spacco il vetro con la mazza"».
Una mazza? Dove l’ha trovata, in giardino?
«Sì perché comunque c’era tipo una casettina più piccola dove c’erano gli attrezzi da giardino. Era una mazza che... quelle che spaccano la legna».
Non si chiama mazza. Si chiama accetta.
«Io ho suonato il citofono e lei non è voluta uscire a parlarmi e io ho detto "Guarda che salto dentro" e poi sono saltato dentro. È stata come una sfida. Come fosse una questione di orgoglio, quasi».
Non si rendeva conto dell’angoscia che procurava a quella ragazza?
«Il discorso qua è che magari ti rendi anche conto che stai facendo una cosa sbagliata, e puoi anche creare paura a chi hai di fronte, ma sei talmente preso da quello che senti dentro che pensi a te stesso. È come se ti senti tu la vittima in questo caso, sei tu la persona a cui stanno facendo qualcosa di male».
Questa donna è più giovane di lei?
«No, ha tre anni più di me».
La sua aggressività come si manifesta, all’inizio?
«Magari rispondo in modo duro. Se invece mi trovo di fronte a una persona che mi dice le stesse identiche cose con gentilezza, diciamo, riesco ad accettarle».
Secondo lei, se ho capito bene, una donna deve sempre spiegarsi. Molti ritengono sia invece meglio una separazione netta, non vedersi più.
«Guardi, le cose sono delicate, però se io potessi, se dovessi dire qualcosa, se c’è la possibilità, dire che una donna deve spiegare qual è il motivo per cui vuole comunque prendere le distanze, e farlo il più delicato possibile».
Non c’è il rischio che una donna che spiega, consola, si fa trovare, in qualche modo dia al suo persecutore la sensazione «allora a lei importa ancora di me»?
«Io penso quasi più il contrario. Perché comunque ci deve essere chiarezza. Il fatto di troncare così può essere dura per una persona, soprattutto se poi ha queste sofferenze. Se no perché esiste lo stalking?»
Ci sono stati casi in cui è partita una spinta, una sberla?
«La prima denuncia è avvenuta per questi motivi. Perché comunque ho alzato le mani».
E la seconda denuncia?
«La seconda quando sono saltato dentro casa sua. Da giorni ero carico di tensione, di pensieri che poi iniziavano a essere contorti, pesanti. Eravamo stati alla fiera a Milano, quella dell’arredamento, del design. Siamo tornati a casa e abbiamo poi cominciato a discutere, discutere, discutere. Lei era talmente stufa che ha tirato un coltello e me lo ha puntato contro. A un certo punto ha detto "Lo uso contro di te e contro di me e la facciamo finita!". Poi si è calmata, gliel’ho levato, lei è andata a dormire di sopra e io le ho detto "Da qui non mi muovo". E sono rimasto sul divano».
Quindi alla fine c’è il desiderio, anche con questi comportamenti, di riconquistare una persona.
«In quel momento lì hai la sensazione di sentirti solo, di non accettare l’abbandono».
C’è qualcuno che conosceva i suoi comportamenti e l’ha ammonita «Guarda Claudio che questo che stai facendo può diventare pericoloso»?
«Ero solo in questa cosa. Anche le mie sorelle, che mi sono state vicine in questi mesi, alla fine non sapevano magari quanto io fossi in difficoltà e potessi fare male ad altre persone ecco».
I problemi sono avvenuti con una donna o più donne?
«Diciamo con più di una donna. Non sempre si è arrivati a mettere addosso le mani; però la sofferenza, queste sensazioni che si hanno di non avere un rapporto sereno alla fine li ho sempre avuti. Salvo con una ragazza di Riccione, conosciuta dalle mie parti: con lei è andato tutto bene».
Lei si considera un tipo geloso?
«Non so neanche io se sono geloso, può darsi. Poi adesso queste mode qua sono abbastanza, come dire... Si piegano e si vedono le mutande, per non parlare delle scollature. Ecco mi darebbe fastidio se la mia fidanzata andasse in giro così. Mi sembra quasi poco serio».
Lei questa persona, l’ex fidanzata che l’ha denunciato, la sente ancora? O ha il divieto di contattarla?
«Finché c’è stato il processo avevo l’obbligo di dimora e non potevo contattarla, diciamo. Però comunque l’avevo contattata lo stesso in quella fase lì. Tra Natale e Capodanno. Lei mi aveva lasciato un numero. Un numero su cui chiamarla perché diceva che gli altri erano sotto controllo».
Mi faccia capire. Quella donna prima la denuncia per stalking e la porta in tribunale, poi le lascia un nuovo numero per contattarla?!
«Mi aveva dato un numero di telefono sì. Lei fa il telelavoro. E quindi ha un numero del lavoro lì, a casa sua, oltre al telefono di casa e al cellulare. Quindi mi ha detto: "Chiamami sul numero del lavoro"».
Un comportamento ambiguo, non le sembra?
«Mi aveva anche chiamato per farmi gli auguri di compleanno. Quindi nutrivo ancora questa speranza. E quando lei ha cambiato totalmente modo e ha chiamato il negozio di mia sorella... Ecco, il suo cambiamento, il suo modo di fare mi ha tolto equilibrio, non so come dire. Mi sembrava che attorno a me non ci fosse più niente, che niente era importante come lei, era l’unica cosa che esisteva. Il resto era tutto superfluo, anche rischiare di andare in prigione era superfluo. Dovevo tentare di farle capire quello che provavo, per far sì che tornasse con me».
Si è mai sentito offeso? Ha pensato che ci fosse di mezzo la sua dignità?
«Credo di sì. È anche una questione di orgoglio a un certo punto. A proposito: ha visto quella pubblicità in tivù contro lo stalking? Quelle donne con lo sguardo forte? Un uomo le vede male. Sembra una sfida. A chi serve uno spot così?»
Alle donne, Claudio. Per farsi coraggio e denunciare. Perché le vittime non siamo noi, sono loro. Un’ultima domanda: ha mai pensato «In fondo mi è andata bene?». Non ha ferito o ucciso nessuno, non è in carcere, sta meglio e ne parla.
«Devo dire che non mi sono sentito vicino a commettere cose più gravi di quelle che ho commesso. Però non escludo che potesse succedere, ecco. Tragedie da cui non si può tornare indietro. Invece non è accaduto e mi hanno aiutato: prima in questura, poi in ospedale, ora qui al centro. Sono stato fortunato».
Beppe Severgnini