Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  agosto 29 Giovedì calendario

UN PASSO AVANTI E MOLTE INCOGNITE

Quando un governo, ogni governo, mette mano alle tasse non c’è mai da stare tranquilli. Le promesse di tagli, con i vincoli di bilancio nei quali l’Italia è costretta a destreggiarsi, appaiono complicate da mantenere. Eppure la decisione di abolire l’Imu sull’abitazione principale, sospesa a giugno, appare come un segno di tregua tra Fisco e contribuenti. Uno scatto dopo tanti mesi di incertezza del quale va dato atto al governo e alle forze politiche. Il piano casa per i mutui agevolati, la deducibilità per le imprese, la riduzione del prelievo sugli affitti concordati e i nuovi fondi per la cassa integrazione vanno tutti nella direzione di una maggiore attenzione alla crescita. E alle famiglie.
Ma per capire se il Fisco ha davvero cambiato atteggiamento bisognerà vedere quale sarà l’evoluzione della nuova imposta comunale, la cosiddetta service tax. Saranno i sindaci, dal primo gennaio 2014, a stabilirne entità e modalità di applicazione. Un passo importante nella direzione del federalismo fiscale che nasconde un dubbio: finora gli amministratori locali non si sono certo distinti per senso di responsabilità. Anzi. In dieci anni le addizionali sono cresciute del 573%. E basta guardarsi alle spalle per scoprire che il Fisco ci ha, purtroppo, abituati a costosi stratagemmi verbali. Dietro ogni restyling, dietro ogni nuovo acronimo coniato dall’inarrestabile fantasia dell’Erario, si è nascosto un aggravio. È accaduto nel ’97 con l’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive. Nata per semplificare — e accorpare una decina di altri tributi (dai contributi sanitari all’Ilor, all’Iciap) — si è via via trasformata in una pesante zavorra per le imprese con più dipendenti. E più produttive.
Per non dimenticare le addizionali comunali e regionali che si sono aggiunte all’Irpef, senza una contemporanea riduzione delle aliquote base. Copione simile per l’Imu, l’imposta municipale introdotta dal governo Berlusconi, riveduta, corretta e messa all’incasso dal governo Monti. Ventun anni fa si chiamava Isi, imposta straordinaria sugli immobili (governo Amato). Poi Ici (imposta comunale sugli immobili) e, infine, Imu. A ogni cambio di nome un aumento delle imposte sui proprietari di casa. E delle complicazioni da affrontare per calcolarle e pagarle. Sono cambiate le sigle, ma la musica dal 1992 è sempre la stessa.
Adesso la svolta della service tax (ma è proprio necessario ricorrere a un termine anglosassone per un’imposta tutta nazionale?). Sarà in questa nuova tassa che confluiranno l’Imu, la tassa sui rifiuti e quella, nuova, sui servizi comunali indivisibili (come l’illuminazione, la polizia locale). Troppi compiti per un singolo tributo. Facile essere portati a pensare male: non è che alla fine, con il gioco delle tre tasse, spenderemo quanto prima se non di più?
La nuova Tares, che pagheremo a fine anno, già ingloba una quota di tassa sui servizi, ed è più cara della vecchia tassa sui rifiuti. Se ci aggiungiamo dal 2014 anche una quota dell’Imu, il rischio stangata è dietro l’angolo, soprattutto per chi possiede più di un immobile (e non è detto che siano solo i ricchi). La maggiore compartecipazione degli enti locali è sicuramente un passo avanti, speriamo soltanto che la storia del federalismo fiscale vista fin qui venga smentita.
Massimo Fracaro
Nicola Saldutti