Fabio Mini, la Repubblica 29/8/2013, 29 agosto 2013
LA STRATEGIA SBAGLIATA
La carriera militare degli aggressivi chimici parte dalla gavetta. Per lungo tempo sono stati considerati armi moderne e normali per uno scopo antico come la guerra: terrorizzare l’avversario ammazzando più combattenti. Alcuni fautori delle dottrine realiste e della “guerra giusta” li hanno perfino ritenuti leciti nella ritorsione o mezzi “umanitari”, in quanto abbreviano i conflitti e le sofferenze delle vittime e … riducono i costi sanitari.
Durante la prima guerra mondiale, le armi chimiche si rivelano importanti mezzi operativi nella distruzione di massa, l’interdizione, la saturazione e l’impatto psicologico. Alla fine del conflitto possono “vantare” 1 milione e 300.000 vittime di cui 91.000 morti. Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi le usano a livello strategico ma fuori del campo di battaglia: nei campi di sterminio. Il successivo salto di rango avviene durante la Guerra Fredda quando gli Stati Uniti ricorrono agli agenti chimici per l’annientamento umano e ambientale in Vietnam e le due superpotenze e i loro alleati iniziano a fornire armi chimiche e know how ai paesi delle rispettive orbite. L’intenzione è di estendere la simmetria globale ai paesi satelliti senza cedere ordigni nucleari e così nel confronto fra i blocchi, le armi chimiche diventano le “atomiche dei poveri”.
Egitto, Iraq, Iran, Israele, Libia, Sud Corea e altri paesi si dotano di armi e alcuni di essi le usano anche contro le popolazioni civili. Quando la Siria incrementa le proprie capacità chimiche per riequilibrare la preponderanza militare israeliana in campo convenzionale, chimico e poi nucleare, nessuno si meraviglia. Fa parte del gioco simmetrico e le armi chimiche sono ormai strategiche nella deterrenza inserendosi tra la guerra convenzionale e quella nucleare. Con la caduta dei blocchi, la guerra cambia natura. Gli interessi privatistici e industriali dominano la politica. I conflitti sono interni e le minacce sono asimmetriche, parossistiche e irrazionali. Il terrorismo si mescola con l’insurrezione. L’aggressione con l’intervento umanitario. Le armi chimiche e gli incapacitanti, banditi in guerra, diventano legali nel controllo delle masse e del terrorismo, vero o presunto. Oggi le armi chimiche sono di rango politico-strategico e quindi all’apice della carriera: costituiscono il nuovo pretesto delle cosiddette guerre umanitarie, piccole guerre e controinsurrezioni.
Come le presunte armi chimiche di Saddam hanno permesso la guerra in Iraq, il presunto impiego di quelle siriane contro i ribelli annuncia un altro sconquasso globale. Con la cosiddetta “linea rossa” o “via di non ritorno”, l’evento chimico, a prescindere dalla sua portata, è diventato il requisito per l’intervento internazionale contro il regime siriano. Si è perciò indicato ai vari ribelli, terroristi, jihadisti e qaedisti come destabilizzare senza sforzi un qualsiasi governo. Li si è indotti a procurarsi armi chimiche proprio mentre l’eventualità che cadano in mani inaffidabili è considerata la più probabile e pericolosa minaccia asimmetrica per la sicurezza internazionale. Si è anche detto ai regimi oppressivi come ricattare la comunità internazionale con la minaccia chimica e a quelli bellicisti come alterare gli equilibri regionali (ad es. fra Israele e i confinanti) che finora si sono retti su di una simmetria militare garantita proprio dal possesso di armi chimiche. E si è ancora una volta indicato al mondo come ficcarsi nei pantani delle guerre senza fine e senza fini. Complimenti alla carriera!