Maria Falcone (con Francesca Barra), Giovanni Falcone un eroe solo, Il tuo lavoro, il nostro presente. I tuoi sogni, il nostro futuro, Rizzoli, Milano 2012, 28 agosto 2013
LETTERA DI DIMISSIONI DI FALCONE
Palermo, 30 luglio 1988
Ho tollerato in silenzio in questi ultimi anni in cui mi sono occupato di istruttorie sulla criminalità mafiosa le inevitabili accuse di protagonismo o di scorrettezza nel mio lavoro. Ritenendo di compiere un servizio utile alla società, ero pago del dovere compiuto e consapevole che si trattava di uno dei tanti inconvenienti connessi alle funzioni affidatemi.
Ero inoltre sicuro che la pubblicità dei relativi dibattimenti avrebbe dimostrato, come in effetti è avvenuto, che le istruttorie alle quali ho collaborato erano state condotte nel più assoluto rispetto della legalità. Quando poi si è prospettato il problema della sostituzione del consigliere istruttore di Palermo, dottor Caponnetto, ho avanzato la mia candidatura, ritenendo che questa fosse l’unica maniera per evitare la dispersione di un patrimonio prezioso di conoscenze e di professionalità che l’ufficio a cui appartengo aveva globalmente acquisito. Forse peccavo di presunzione e forse altri potevano assolvere egregiamente all’esigenza di assicurare la continuità dell’ufficio. È certo però che esulava completamente dalla mia mente l’idea di chiedere premi o riconoscimenti di alcun genere per lo svolgimento della mia attività. Il ben noto esito di questa vicenda non mi riguarda sotto l’aspetto personale e non ha per nulla influito, come i fatti hanno dimostrato, sul mio impegno professionale. Anche in quella occasione però ho dovuto registrare infami calunnie ed una campagna denigratoria di inaudita bassezza, cui non ho reagito solo perché ritenevo, forse a torto, che il mio ruolo mi imponesse il silenzio. Ma adesso la situazione è profondamente cambiata ed il mio riserbo non ha più ragion d’essere. Quel che paventavo purtroppo è avvenuto: le istruttorie nei processi di mafia si sono inceppate e quel delicatissimo congegno che è il gruppo cosiddetto antimafia dell’Ufficio Istruzione di Palermo, per cause che in questa sede non intendo analizzare, è ormai in stato di stallo.
Paolo Borsellino, della cui amicizia mi onoro, ha dimostrato ancora una volta il suo senso dello Stato e il suo coraggio, denunciando pubblicamente omissioni ed inerzie nella repressione del fenomeno mafioso che sono sotto gli occhi di tutti. Come risposta è stata innescata un’indegna manovra per tentare di stravolgere il profondo valore morale del suo gesto riducendo tutto a una bega fra cordate di magistrati, ad una reazione, cioè, di magistrati protagonisti, oscurati da altri magistrati che con ben diversa serietà professionale e con maggiore incisività condurrebbero le indagini in tema di mafia. Ciò non mi ferisce particolarmente, a parte il disgusto per chi è capace di tanta bassezza morale. Tuttavia essendo prevedibile che mi saranno chiesti chiarimenti sulle questioni poste sul tappeto dal procuratore di Marsala, ritengo di non poterlo fare se non a condizione che non vi sia nemmeno il sospetto di tentativi da parte mia di sostenere pretese situazioni di privilegio (ciò, incredibilmente, si dice adesso a proposito di titolari di indagini in tema di mafia). Ed allora, dopo lunga riflessione, mi sono reso conto che l’unica via praticabile a tal fine è quella di cambiare immediatamente ufficio.
E questa scelta, a mio avviso, è resa ancora più opportuna dal fatto che i miei convincimenti sui criteri di gestione delle istruttorie divergono radicalmente da quelli del consigliere istruttore, divenuto titolare, per una sua precisa scelta, di tutte le istruttorie in tema di mafia.
Mi rivolgo pertanto alla sensibilità del signor presidente del Tribunale affinché nel modo che riterrà più opportuno, mi assegni ad altro ufficio nel più breve tempo possibile; per intanto chiedo di poter iniziare a fruire delle ferie con decorrenza immediata. Prego vivamente, inoltre, l’onorevole Consiglio Superiore della Magistratura di voler rinviare la mia eventuale audizione ad epoca successiva alla mia assegnazione ad altro ufficio.
Mi auguro che queste mie istanze, profondamente sentite, non vengano interpretate come gesto di istanza, ma per quel che riflettono: il profondo disagio di chi è costretto a svolgere un lavoro delicato in condizioni tanto sfavorevoli e l’esigenza di poter esprimere compiutamente il proprio pensiero senza condizionamenti di sorta.