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 2013  agosto 28 Mercoledì calendario

DIECI ANNI PER UN SÌ

[Eva Riccobono]
La nuova regina di venezia riposa a capalbio. Quando passa a prendermi con la sua Mini Cooper al bar La Mandria, tra le lavande e i cieli blu della Maremma, sembra appena uscita da un suo piccolo letargo regale: «C’è gente al mare, che lei sappia? Io scendo pochissimo all’Ultima spiaggia, preferisco il silenzio, lei no?». È bella, è fresca, è profumata, come si meritano tutte le ragazze che il destino ha voluto bionde e con gli occhi turchesi.
Eva Riccobono porta i suoi 30 anni con una certa noncuranza e alcuni notevoli sorrisi: «Di solito parlo troppo. Qualche volta dico parolacce, cioè dico minchia, perché sono palermitana». Indossa maglietta, calzoncini e ballerine, come arrivasse dritta da Notting Hill con la sua spesa di frutta, basilico fresco e tulipani. Chiunque farebbe fatica a immaginarla sulle passerelle di Milano, Parigi, New York, truccata, vestita da Chanel, Armani, Ferré, con tacchi vertiginosi, o avvolta in sete da femme fatale o magari scheggiata in un lamé da ultranotte metropolitana. Chiunque tranne gli stilisti e i fotografi che l’hanno pescata una decina di anni fa, tra migliaia di altre aspiranti bellissime, per portarsela in cima al mondo dove brillano (e talvolta bruciano) tutte le vanità.
Adesso sale sulla passerella più importante della sua vita, madrina della settantesima Mostra del Cinema di Venezia, un sogno che persino lei fa fatica a spiegarsi.
«È successo come lo racconto: mi telefona il mio agente e mi dice: ehi, Eva, ha chiamato Alberto Barbera, chiede se sei libera l’ultima settimana di agosto».
Alberto Barbera è il direttore della Biennale Cinema, di professione cinefilo.
«Appunto. Mi siedo, faccio un bel respiro, e gli dico: certo che sono libera, e se non lo fossi mi libererei per lui».
Così, al buio?
«Al buio! E poi gli chiedo: libera per fare che cosa?».
Ah, ecco.
«E lui: chiede se vuoi essere la madrina del Festival. Mi vengono in mente certi flash, e poi il palcoscenico della Sala grande strapiena di gente, i riflettori, le ultime madrine, Vittoria Puccini, Kasia Smutniak, Isabella Ragonese… E sa che cosa ho detto?».
Cos’ha detto?
«Ho detto: minchia! Certo che voglio».
Ci mancherebbe. Ma si sarà anche chiesta perché?
«No, l’ho chiesto a lui, a Barbera. Però ci siamo ingarbugliati in una telefonata surreale, lui mi diceva Eva allora ti ringrazio, e io ma no Alberto è un onore, sono io che ringrazio te, ma che dici ­Eva, ti ringrazio anche a nome della Biennale, e avanti così. Non la smettevamo più di ringraziarci a vicenda».
Alla fine le ha spiegato l’arcano? Perché in fondo come modella ha mille ore di volo, ma come attrice è più o meno -alla fase di decollo.
«Giusto. Anche se il decollo prevede un viaggio, e il mio viaggio sarà lungo».
il viaggio di eva sulle ali del cinema è appena cominciato: una particina in Grande, grosso e Verdone, di Carlo Verdone, una parte in E la chiamano estate di Paolo Franchi e una in Passione sinistra di Marco Ponti che le vale un Ciak d’oro e una candidatura ai Nastri d’argento, un ruolo vero nell’imminente film di Renato De Maria, La vita ­oscena. Del cinema le piace tutto, compreso il fatto che sia un lavoro di gruppo, che sia lento nel suo farsi, la scrittura, le prove, il set, il montaggio, «fino a quando il sogno diventa cinema».
Non è il caso di disilluderla. Perché lei di quel sogno vuole fortissimamente fare parte, un passo alla volta, lasciandosi alle spalle quella lunga sequenza di passerelle, viaggi aerei, alberghi, tutti più o meno inghiottiti dalla stessa nebbia del medesimo jet-lag. «L’ho annunciato ufficialmente in Tv quando ho compiuto 26 anni: basta sfilate, voglio solo fare l’attrice». Per questo frequenta workshop di recitazione, legge copioni, va al cinema e a teatro, risponde alle telefonate dei registi italiani, cerca la prossima occasione. E lo fa con la determinazione con cui ora imbocca lo sterrato che dalla provinciale porta al casale con giardino, portico e ulivi, che ha affittato per l’estate con una coppia di amici e il fidanzato, Matteo Ceccarini, milanese, musicista e dj, incrociato 9 anni fa nella hall di un albergo di Vienna, ai bordi di un ballo di beneficenza, come in una favola: «L’ho visto. ­Era silenzioso. Diverso da tutti. Mi è piaciuto. Ci siamo messi a chiacchierare».

E ha pensato?
«Magari dura una notte o due: io avevo 21 anni, lui 32 e una figlia di 3, stavamo tutti e due in trasferta, quando le cose accadono e non necessariamente ti seguiranno».
Invece?
«Invece dopo la seconda notte è arrivata la terza, poi la quarta. Sono 9 anni. Al decimo lo sposo».
Lui lo sa?
«Ovvio».
Le piace pianificare o ha le idee chiare?
«Tutte e due».
È gelosa?
«All’inizio della nostra storia gli ho detto: Matteo, se mi tradisci ti ammazzo. Ora sono più matura».
Meno male.
«Ho un’indole così. Poi mi sono data una calmata e alla fine sono gelosa il giusto e possessiva zero».
Parliamo della sua indole, e quindi delle sue radici.
«Sono nata a Palermo: madre tedesca, padre siciliano, ultima di cinque sorelle, in una casa che è una specie di Mulino bianco, ha presente, campi fioriti, farfalle, mio padre con la passione della cucina che traffica tra dieci fuochi, le affettatrici, la macchina macina grano».
Ma non fa né il fornaio né il cuoco.
«No! Fa l’imprenditore, ma in realtà sa fare tutto. Da ragazzo è partito per la Germania in cerca di lavoro. Ha fatto il muratore, l’operaio, l’elettricista, poi si è messo in proprio. Un giorno a Stoccarda ha conosciuto mia madre, tedesca di Germania, piena di amiche che le dicevano: lascia perdere gli italiani, quelli ti mettono nei guai e poi spariscono».
Lei non ha dato retta.
«Un giorno è rimasta incinta. Lui le ha detto: torno a Palermo e sistemo un po’ di cose, quando è tutto pronto torno a prenderti».
Le amiche tedesche avranno fatto festa.
«E infatti tutte a dirle: hai visto che mascalzone? Invece lui è tornato davvero e se l’è portata via».
Era amore.
«Lo è ancora».
Poi arriva lei, ultima della nidiata.
«Praticamente ero la bambola di casa, tra me e Sabina, la mia prima sorella, ci sono quindici anni di differenza».
Coccolata da tutti tanto da prenderci l’abitudine?
«Meno male che mi coccolavano in casa, perché fuori era un disastro, specie durante l’adolescenza».
Perché un disastro?
«Perché ero alta, secca, bionda, un po’ storta, con la erre moscia. Nel cuore della Sicilia! Dove tutte le ragazze, comprese le mie sorelle, sono scure, sono flessuose, sono belle. I ragazzi mi prendevano in giro, ero la crucca, la tedesca».
È l’inizio del Brutto anatroccolo o cosa?
«Quasi. Tanti anni dopo, quando già facevo la modella, un ­ragazzo mi ha detto: tu sei più intelligente delle altre perché da piccola sei stata brutta».
È vero?
«Forse sì. Leggevo, studiavo, sognavo di fare Medicina e poi Chirurgia toracica».
Perché proprio toracica?
«Perché volevo salvare le persone, così come in quel periodo salvavo i cani, facevo la volontaria al canile, e niente mi impressionava, anche quando li raccoglievo per strada, dopo un incidente».
Piangeva?
«Qualche volta».
Per i cani o per i ragazzi?
«Per tutti e due».
Finché un giorno?
«Vuol sapere come una ragazza bruttina, biondina, con la prima di reggiseno è diventata una modella famosa? Per caso, come quasi tutto nella mia vita».
Non ci credo io e neanche lei.
«Invece è vero. Avevo un ragazzo che lavorava a Palermo in una casa di produzione. Un giorno lo accompagno. C’è un tipo che mi guarda, si presenta, sono Marco Glaviano, posso farti delle foto?».
E lei?
«Gli ho detto: no grazie. E lui, come niente fosse, mi dice: fatti pettinare e truccare. Non ci penso proprio. Ok, allora ti fotografo così come sei».
Quella è stata la prima volta?
«Sì, poi sempre a Palermo è passato Chris Craymer, altro grandissimo. Aveva due modelle inglesi, il set era in una cascina, io ero sullo sfondo in mezzo ad altre ragazze. Dopo un po’ lui mi dice di mettermi al centro dello sfondo. Poi un po’ più avanti. Alla fine io ero quella in primo piano e il resto era sullo sfondo».
Quanto le piace essere così casuale?
«Mi piace perché è la verità. Anche quando sono andata per la prima volta a Milano. Avevo 19 anni e mi avevano chiamato per una casa di moda. Mentre sto lì c’è un tizio grassotto, anzianotto, con la bandana che mi guarda».
Non mi dica che era Silvio Berlusconi.
«Ma dai! Era un americano, con la barba, mi chiede: Can I take a Picture? Intorno a me si agitano tutti, una tipa mi dice: quello è Bruce Weber, corri a truccarti!».
Carriera fulminea.
«In effetti poi è arrivato Fabrizio Ferri che mi ha scelto per la campagna L’Oréal. Fu il mio primo vero ingaggio, per la favolosa cifra di 1 milione e 600 mila lire».
Ha guadagnato molto in questi anni?
«Non quanto la gente immagina. I tempi di Naomi Campbell e Claudia Schiffer sono iniziati e finiti negli anni ’80. Oggi ti pagano molto meno e se non ti sta bene ci sono altre cento ragazzine pronte a sostituirti».
Siamo alla fabbrica globale della bellezza.
«Sì. E noi siamo soltanto delle meteore».
Sente già il peso del tempo che passa?
«No, sono realista».
Dice il saggio: la bellezza è un regalo che va restituito.
«Il saggio ha ragione. E infatti non abito dentro lo specchio. Certe mie colleghe vivono il loro corpo come una piccola azienda. Ogni giorno palestra, depilazione, insalata. Io no. Sono pigra. Mangio tutto, dalla cotoletta allo zabaione. E mi piacciono persino le mie piccole rughe».
Che cosa pensa della chirurgia plastica?
«Tutto il male possibile. Mi chiedo come possa piacere una donna che non è più vera, che si è rifatta».
Ha amiche tra le modelle?
«Poche. Di solito sono disordinate, dispettose, sporche, e a volte rubano».
Ah, ecco. È litigiosa?
«Litigo solo con chi mi piace. Altrimenti giro i tacchi e me ne vado via».
Il suo corpo le piace?
«Ora sì. A vent’anni, grazie al kick boxing e alla pallavolo, ho cambiato la mia postura, il segreto è tutto lì».
Si sente sexy?
«Mi sento qualsiasi cosa, anche sexy. Una volta Annie Leibovitz mi ha detto che sono un foglio bianco. È vero, ci posso scrivere quello che voglio».
Ha posato nuda per Playboy. Imbarazzi?
«Nessuno. Era un gioco che diventava lavoro».
I suoi rapporti con gli stilisti?
«Ottimi».
I vestiti che le piacciono di più?
«Tutti».
Non vale.
«Allora non rispondo».
Che idea ha del denaro?
«Mi piacciono i grandi alberghi, ma preferisco ancora il campeggio in spiaggia con il mio fidanzato».
Non l’ha stregata l’America e lo showbiz?
«Per nulla. Ho abitato due anni a New York e l’ho trovata una città così piena di cose da risultare eccitante, ma superficiale. Preferisco di gran lunga Londra».
E Los Angeles?
«È divertente, ma tutti fanno gli attori o le attrici, anche se momentaneamente sono camerieri. Detesto i party a Beverly Hills, detesto le discoteche. Io ho bisogno di normalità».
Neanche Parigi è riuscita ad ammaliarla?
«Parigi è meravigliosa, ma manca il mare».
Dunque è rimasta una ragazza palermitana?
«Ho fisicamente bisogno di tornare a Palermo almeno una volta ogni due mesi per ricaricarmi. Anche se non tutto mi piace di Palermo. Detesto quelli che si lamentano sempre, quelli che vogliono la raccomandazione. Detesto la mentalità mafiosa, il ­familismo, i soprusi».
Per questo abita a Milano?
«Adoro Milano perché ci abito con Matteo. E poi perché c’è il Frecciarossa che mi porta di corsa a Roma».
La politica le interessa?
«I politici mi fanno orrore. Hanno rovinato questa Italia meravigliosa».
Con il fattivo contributo degli italiani.
«Giusto».
Per chi ha votato?
«Non ho votato, non c’è nessuno di seriamente interessante, sono sempre gli stessi, non li posso più vedere».
Venezia sarà il segnale della sua nuova vita?
«Lo spero. Sarà la mia nuova passerella. Certe notti ho avuto l’incubo di inciampare o di dimenticarmi quello che devo dire, pensi che disastro!».
Da modella le è mai capitato?
«No. Ma a una mia amica sì. È stato orribile».
Allora, ha capito perché è stata scelta, o no?
«Secondo me per dare il segno della novità: una luminosa discontinuità… La rinascita del nuovo cinema italiano».
E lei ne sarà la musa?
«Esagerato. Però mica mi dispiacerebbe».