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 2013  agosto 28 Mercoledì calendario

ANARCHICI. LEO FERRE’, MADELEINE E LO SBERLEFFO DI UNA SCIMMIA PER FIGLIA

Si incontrarono il 6 gennaio 1950 al Bar Bac, un bistrot parigino aperto tutta la notte, frequentato da pittori senza galleria, scrittori senza editori, prostitute senza clienti. Madeleine Rabereau aveva 26 anni, una bambina di cinque, un divorzio e un nuovo compagno poco importante. Léo Ferré aveva 34 anni, una moglie che non amava più da tempo e nessun successo. Così Madeleine racconta, in un manoscritto citato dalla figlia, l’istante in cui lo vide per la prima volta: «È entrato, incolore nel suo impermeabile beige, gli occhi acuti e teneri, lo spazio tra i denti affascinante di un sorriso infantile. Bacia Suzanne e, da lei presentato, mi tende la mano. Gli offro una Pall Mall, si siede con calma davanti a me. I nostri destini erano giocati, vinti, perduti».
Da quel momento, e per 18 anni, Madeleine e Léo si ameranno felicemente e disperatamente: prima in una stanza di albergo dove lei nascondeva sotto il letto un fornelletto a gas per cucinargli gli spaghetti al pomodoro, poi negli appartamenti e nelle grandi dimore — sempre caotiche in odio all’ordine borghese — dell’ex studente monegasco spiantato divenuto, con l’aiuto di Madeleine, il grande poeta e cantante Léo Ferré.
«Vivevo d’espedienti — scriverà poi Léo in À la folie —, allora voi mi avete dato la mano, allora voi mi avete sorriso. Allora voi mi avete detto Vieni!. Mi chiamo Madeleine».
La prima casa di Madeleine e Léo fu una stamberga su due piani in boulevard Pershing, al confine di Parigi. Pareti ammuffite, bagno di fortuna in cucina, cani — inizio di una serie di animali, come vedremo — che si rincorrevano devastando i mobili. Madeleine adorava l’arte di Léo, lo spingeva a cantare anche se lui avrebbe preferito affidare ad altri i suoi testi, gli chiedeva di provare e riprovare davanti a lei.
Una sera del 1953 Ranieri di Monaco si nascose tra gli spettatori del cabaret L’Arlequin mentre Léo cantava Paris-Canaille. Il principe applaudiva con entusiasmo, Madeleine lo riconobbe e convinse Léo a farsi avanti, dopo lo spettacolo, per chiedergli aiuto perché nessun teatro voleva mettere in scena L’Oratorio du Mal-Aimé. «Wagner ha avuto il suo Luigi II di Baviera — Léo ebbe il coraggio di dirgli —, vi chiedo di essere il mio Ranieri di Monaco».
Due giorni dopo gli anarchici Léo e Madeleine accolsero il principe nella catapecchia senza toilette di boulevard Pershing e il 29 aprile 1954, nel giorno del loro secondo anniversario di matrimonio, un inconsueto Léo Ferré in smoking diresse L’Oratorio all’Opéra di Montecarlo. Fu un trionfo, e mentre il pubblico lanciava fiori sul palco «Léo mi stringeva sul suo cuore e mi diceva "grazie", e mi sussurrava ancora "grazie, grazie" all’orecchio. E io, la testa nel suo collo, gli dicevo "amore mio", gli ripetevo "amore mio"».
«Sono nato per errore nel 1916 e una seconda volta il 6 gennaio 1950, quando ho conosciuto Madeleine», diceva Léo. Ma quell’amour fou non aveva ancora trovato la sua più folle espressione: la raggiunse in una dedizione assoluta verso Pépée, «la nostra seconda figlia». Uno scimpanzè.
La prima figlia Annie Butor, la Jolie môme cantata da Léo, ha pubblicato pochi mesi fa il libro «Comment voulez-vous que j’oublie...» (Come posso dimenticare, ed. Phébus) che regola qualche conto personale e descrive l’avventura — destinata a travolgere le loro vite — di una coppia che decise «non di addestrare, ma di allevare» una scimmia. Nella proprietà di campagna a Perdrigal, Pépée veniva trattata come un bambino viziato: sedeva a tavola come tutti, ma in più mordeva chi le stava antipatico, sporcava, una volta rubò dalla culla e portò con sé sul tetto il bebè di una coppia di amici, con Léo che le gridava senza autorità «Papà non è contento, torna qui Pépée, torna qui per favore». Dovettero pensarci i pompieri.
Per qualche anno Pépée fu la prova d’amore estrema, la ragione di una complicità invincibile tra Léo e Madeleine: solo loro potevano capire, stretti dalla generosità verso la figlia scimpanzè, uniti contro i borghesi e il resto del mondo. Eppure Pépée li portò alla fine, nel 1968. La vita quotidiana era impossibile, la figlia vera, Annie, lasciò quella casa di matti. Quando Pépée cadde da un albero ferendosi a morte, Léo fuggì. Madeleine, per non farla soffrire oltre, la fece sopprimere. All’amore folle si sostituì l’odio, ai baci in pubblico le battaglie legali. Ma anche dopo l’addio Madeleine regalò a Léo un’ultima ispirazione, quella per il capolavoro Avec le temps, cantata in italiano da Ferré stesso e poi da tanti altri, da Gino Paoli ai Baustelle: Col tempo sai / col tempo tutto se ne va / l’altro a cui tu credevi anche a un colpo di tosse / l’altro che ricoprivi di gioielli e di vento / ed avresti impegnato anche l’anima al monte / per cui ti trascinavi alla pari di un cane / Col tempo sai tutto va bene.
Madeleine morì povera, il 24 maggio 1993, chiamando Léo. Léo non lo seppe mai, non vollero dirglielo. Morì in Toscana, dove viveva con la sua nuova famiglia, due mesi dopo.
Stefano Montefiori