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 2013  agosto 28 Mercoledì calendario

ANKARA È L’UNICA DISPOSTA A PARTECIPARE

Sulla scacchiera mediorientale, l’intervento armato in Siria ha più oppositori che sostenitori entusiasti. In particolare, fra i Paesi vicini, l’unica nazione favorevole alle operazioni militari è la Turchia. Il premier islamico-moderato Recep Tayyip Erdogan è stato una delle voci più critiche del regime di Bashar al-Assad fin dall’inizio, anche se, prima dello scoppio della crisi nel 2011, intratteneva rapporti di amicizia con il dittatore. Più volte Erdogan ha chiesto l’intervento armato, anche per tutelare la Mezzaluna, che ha patito più di ogni altro Paese le conseguenze della crisi, anche per la decisione di Ankara di gestire i rapporti con Damasco e l’emergenza profughi in maniera autonoma.

In questo momento la Turchia ospita oltre 500 mila rifugiati, che in due anni hanno oltrepassato i 900 chilometri di confine. Una cifra enorme, che il governo sta cercando di controllare e che fino a questo momento è costata oltre un milione di dollari e numerosi problemi di sicurezza nel Sud-Est del Paese, soprattutto in Hatay, all’estremità meridionale che ospita i campi profughi più estesi.

L’esecutivo Erdogan è nell’occhio del ciclone per il suo atteggiamento nei confronti della crisi siriana. I consensi dell’Akp, il Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo Sviluppo, che guida la Turchia dal 2002, negli ultimi mesi sono crollati. Il primo ministro è criticato da analisti e opinione pubblica per i suoi attacchi diretti, che rischiano di isolare la Turchia dal resto della regione. Ankara in questo momento non ha più ambasciatore né a Damasco, né in Egitto, richiamato contro la presa del potere da parte dei militari al Cairo. Ci sono poi le relazioni problematiche con Israele, un tempo alleato strategico, progressivamente peggiorate da quando Erdogan ha preso il potere, soprattutto a causa della questione palestinese. Spalleggiare Washington per il premier sarebbe l’occasione di riabilitarsi agli occhi non solo della comunità internazionale ma anche del suo elettorato.

Più complessa la situazione irachena. Da Baghdad hanno fatto chiaramente sapere che il governo centrale di al-Maliki non ha alcuna intenzione di concedere lo spazio aereo per attaccare. Ma il Paese, diviso geograficamente, sembra spaccato anche sulla questione Siria. Nella Regione Autonoma curda del Nord Iraq, sempre più in conflitto con Baghdad, si guarda con attenzione oltre confine, soprattutto ai territori sotto il controllo dei curdi di origine siriana, che il presidente della Regione Autonoma, Massoud Barzani, ha più volte detto di voler difendere, pure senza aver mai parlato apertamente di un intervento.

No su tutta la linea invece da parte di Amman. La Giordania, dove si è conclusa ieri una riunione dei capi di stato maggiore occidentali e arabi, ha fatto sapere che non intende essere un’eventuale «rampa di lancio» contro il regime di Assad.