Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 28/8/2013, 28 agosto 2013
SOLDI E SALUTE ANDREOLI: “AVIDITÀ E POTERE NEMICI DELLA SCIENZA”
Tra le aree della nostra vita in cui il tradimento esercita la propria tossica invadenza c’è la medicina, che a parere dell’oncologo Claudio Andreoli «è stata spesso tradita nelle sue regole e nei suoi principi etici e deontologici». Lo afferma con furore e con passione questo grande medico piemontese operativo in Lombardia, e noto come uno tra i massimi esperti internazionali del suo campo, il tumore alla mammella. Già attivo per quindici anni (dall’80 in poi) nell’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Andreoli fondò nell’84 con Umberto Veronesi la Scuola Italiana di Senologia, di cui ha preso la direzione dieci anni dopo. Dal 2010 lavora presso il Cancer Center dell’Humanitas nelle strutture ospedaliere di Rozzano (Milano) e di Castellanza (Varese), dov’è responsabile della Breast Unit. Combatte ogni giorno in prima linea sul fronte dell’universo complesso della malattia, con devozione e proiettandosi totalmente nelle proprie responsabilità di medico. Certe zone oscure dei percorsi di alcuni tra coloro che praticano il suo mestiere, certe sacche di compromessi, certi equivoci occultati dall’indifferenza o dalla malafede, tolgono sonno alle sue notti. Perciò sta elaborando un libro-inchiesta dedicato ai tradimenti che avvengono nel mondo della medicina. E ne anticipa gli argomenti in questa conversazione. «Partiamo dal presupposto che negli ultimi anni la medicina è cambiata molto», attacca. «Oggi si è affermata la convinzione che tutto debba basarsi sull’evidenza scientifica».
Non è stato sempre così?
«Prima contava di più l’impostazione personale del medico, e i giudizi erano formulati in base a piccole casistiche. Invece la medicina odierna si basa su terapie ed esami diagnostici che danno risultati sicuri, cioè ottenuti sempre e ovunque a condizione che siano rispettate certe caratteristiche. Ma nell’ambito di tale approccio si verificano numerosi tradimenti».
Può dare qualche esempio?
«Ce ne sono due eclatanti, uno nel passato prossimo e l’altro di questi giorni. Il primo, che risale a fine anni Novanta, è il caso della terapia Di Bella, riguardante la cura dei tumori. All’epoca si scatenarono giornalisti, politici e magistrati. Sull’onda dell’opinione pubblica, condizionata dal clamore mediatico sviluppato intorno alla vicenda, il ministero commissionò uno studio clinico, finanziato con soldi pubblici, che ha finito per dimostrare la mancanza di scientificità della terapia. Il secondo esempio è il caso Stamina, venuto di recente alla ribalta grazie a un servizio televisivo de “Le iene”. Si tratta di una cura che promette d’intervenire su alcune malattie degenerative come la Sla con l’infusione di cellule staminali, e fino a poco tempo fa la proponeva un ospedale di Brescia. Non si basa su alcun presupposto scientifico dimostrato. Ma anche qui è stata così forte la pressione mediatica che in luglio è partita una sperimentazione alimentata dal denaro pubblico. Il sensazionalismo e l’enfatizzazione di dati poco controllati rischiano di disorientare i pazienti, alcuni dei quali lasciano terapie utili per infilarsi in trattamenti privi di fondamento scientifico».
La cattiva informazione si allea con i traditori?
«Oggi la cassa di risonanza può essere enorme, il che può ingigantire i danni. Inoltre può succedere che gli studi sperimentali su un farmaco o una terapia non abbiano più, come motore trainante, la forza speculativa, e questo è un altro tradimento».
Si riferisce ai conflitti d’interesse?
«Sì. La questione è spinosa, capillare e molto più estesa di quanto si voglia ammettere nel nostro campo. Capita di anteporre all’onestà della ricerca e al benessere dei pazienti il proprio tornaconto, che sia economico, accademico o di potere politico. Negli ultimi anni si è cercato di arginare il fenomeno introducendo limiti nelle sponsorizzazioni elargite dalle industrie farmaceutiche e imponendo ai medici di dichiarare l’assenza di conflitti quando partecipano a congressi o pubblicano articoli scientifici. Ma per capire le dimensioni assunte dal problema basta considerare che i finanziamenti destinati alla ricerca biomedica dalle industrie sono un terzo della cifra investita dalle aziende nel marketing e nella promozione».
Cosa fa una casa farmaceutica che si rende conto d’aver finanziato una ricerca i cui risultati confliggono con i suoi interessi?
«Si trovano sempre dei piccoli escamotage per nascondere quanto emerge dallo studio, che per esempio viene interrotto con il pretesto dell’esaurimento dei fondi. Oppure i dati vengono pubblicati in ritardo rispetto al momento in cui erano disponibili, così come altre volte, se gli esiti sono favorevoli, li si pubblica con troppo anticipo».
Parliamo di medicine “alternative”. Pensa che rappresentino un tradimento della scienza?
«Non la vedrei così. I veri traditori, secondo me, sono i contestatori a senso unico. Non ho pregiudizi verso alcuna pratica: un prodotto omeopatico, naturale o di sintesi, va valutato per quanto garantisce obiettivamente. Ma non capisco perché certi certe voci critiche, con superficialità retorica e populismo, si scaglino solo contro l’industria del farmaco e non contro i giri d’interessi miliardari dei produttori di medicine alternative. Come se esistesse a priori un mondo buono e uno cattivo. Massiccio, poi, è il tradimento della medicina da parte della politica, che si dimostra interessata più alla gestione dell’apparato sanitario che alla pianificazione di programmi di sviluppo e ricerca riguardanti la salute pubblica».
Ci sono prove concrete di tale tradimento?
«Basta guardare la distribuzione delle risorse economiche che privilegia spesso scelte di morte rispetto a oggetti di vita. Parlo dell’acquisto da parte del governo italiano di novanta aerei caccia F35 per tredici miliardi di euro, cifra con cui si potrebbero rinnovare le apparecchiature diagnostiche della maggioranza degli ospedali italiani. Da questa carenza di fondi statali dipende il fatto che molte ricerche possano essere finanziate solo grazie ai contributi dei sostenitori privati di charity come Telethon e l’Airc. Senza di loro non si andrebbe avanti. Oppure intervengono le case farmaceutiche, coi rischi che s’è detto. Non dimentichiamo inoltre che la scarsa considerazione dimostrata dalla politica nei confronti della medicina comporta ricaschi gravi sulla situazione della mobilità dei ricercatori».
Sta lamentando l’esodo degli scienziati italiani all’estero?
«Non vorrei essere frainteso: la mobilità è sempre esistita ed è una grande opportunità di crescita e di arricchimento culturale. Ma andrebbe sfruttata meglio agevolando il ritorno dei ricercatori in Italia, il che purtroppo non accade. Quattro vincitori di Nobel per la medicina, Rita Levi Montalcini, Salvatore Lauria, Renato Dulbecco e Mario Capecchi, hanno meritato il premio per ricerche realizzate interamente fuori dai nostri confini».