Sebastiano Messina, la Repubblica 28/8/2013, 28 agosto 2013
QUELLA MARCIA DEI BERLUSCONIANI COME UN QUARTO STATO ALLA ROVESCIA
ALZI la mano chi non l’ha pensato, guardando quel breve filmato che continua a rimbalzare da un telegiornale all’altro mostrandoci la marcia silenziosa ma eloquente del plotone di parlamentari del Pdl che escono dal palazzo del Cavaliere dopo il Gran Consiglio sulla sua condanna: quel corteo di berlusconiani che s’avanza spavaldo verso l’uscita richiama alla mente l’immagine forse più lontana da quel cortile dorato della corte arcoriana, eppure così simile nella composizione plastica nel movimento corale, ovvero “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, l’icona più celebre del socialismo italiano. Ed è assai probabile che sia questa l’immagine che resterà negli archivi come simbolo dei pretoriani berlusconiani, più significativa delle scene dei senatori che in aula attorniano premurosi il Cavaliere con gli occhialoni anti-uveite, più efficace perfino delle foto dei parlamentari schierati minacciosamente sulle gradinate del Palazzo di giustizia di Milano.
Ricordate quella spettacolare foto di gruppo, mentre in tribunale si celebrava il processo Ruby? Mai s’era vista una simile adunata di deputati e senatori davanti a un’aula di giustizia, “nessuno deve mancare”, venne persino il ministro Alfano che era Guardasigilli, e tutti si disposero in fila sulle gradinate, ordinati e composti come una quinta liceo, per una foto che voleva scagliare sulla bilancia della giustizia tutto il peso del centrodestra.
Ma quella, come tutte le foto ufficiali, era fatta in posa, con le deputate bionde in prima fila e il segretario Alfano al centro. La forza delle nuove immagini sta proprio nella loro spontaneità. Si coglie qualcosa di autentico, nella marcetta sul cortile di falchi, colombe e pitonesse. Ovviamente non c’è proprio nulla di socialista, a meno di non voler immaginare una vecchia tessera annullata e dimenticata in qualche tasca dall’unico uomo che c’è nella prima fila, Fabrizio Cicchitto, e meno che mai c’è qualcosa di contadino o di proletario tra i fedelissimi borghesi del miliardario di Arcore. Ma qualche somiglianza, è inutile negarlo, c’è, con il monumentale dipinto di Giuseppe Pellizza, e infatti quel filmato che da tre settimane ci ripropone la marcia dei pretoriani del Pdl ha già suscitato ironici commenti, su Facebook e su Twitter, dove è stato ribattezzato “Il Quinto Stato”: un blogger, Simone Santucci, è stato il primo ad affiancare su Twitter la foto e l’opera, e qualcuno si è anche divertito a sostituire i volti del dipinto con le facce dei berluscones.
Il terzetto che guida il gruppo, in effetti, ricorda quello del quadro. Il pittore piemontese mise al centro un barbuto contadino con il gilet abbottonato e la giacca sulla spalla, sguardo deciso e passo fermo, descrivendolo poi come “intelligentissimo ed energico, uno che parrebbe nato anziché pei lavori di campagna per gli ardui sentieri del pensiero”. E qui invece troviamo non un uomo ma una donna, Daniela Santanché, “la pitonessa” castiga-colombe, in tailleur-pantalone da combattimento, con l’Iphone carico nella mano destra e la borsa firmata nella sinistra: è lei in testa al gruppo, è lei che ha il lasciapassare permanente per tutte le residenze berlusconiane, è lei che porta il verbo e la frusta del Capo.
Alla sua destra, al posto dell’anziano contadino del Quarto Stato che si tiene la camicia con la mano (“uomo dalla tempra forte robusta e bonaria”, nella descrizione di Pellizza), troviamo un Cicchitto che avanza ciondolando con il suo abito blu d’ordinanza e lo sguardo perso nel vuoto. E a sinistra della “pitonessa”, invece della giovane donna con il bambino in braccio “che par in atto di dire: ecco il premio dopo tanti sudori e fatiche”, c’è una Renata Polverini che la scruta con sguardo severo e indossa una blusa maculata con volantes come se fosse una tuta mimetica.
Dietro di loro marciano gli altri, non allineati come sulla piazza di Volpedo ma in ordine sparso: ecco l’ex giovane Fitto, ecco il pugnace Capezzone che cerca con l’occhio le telecamere, ecco un Brunetta più torvo del solito, ecco la Gelmini in blu elettrico, ed ecco il più falco di tutti, Denis Verdini, che chiude la formazione. Non è “Il cammino dei lavoratori”, non sono “Gli ambasciatori della fame” e neppure “La fiumana” (titoli provvisori del capolavoro di Pellizza). Quello era il proletariato in marcia, qui c’è la nomenklatura di Arcore. E invece di “una massa di contadini che vanno a perorare presso il Signore la causa comune”, qui le parti si sono invertite, e abbiamo un’élite di pretoriani che vanno fuori a perorare la causa del Signore. Eppure anche nel cortile di palazzo Grazioli, come in quella piazza che Pellizza immaginava “alle dieci e mezzo del mattino di una giornata d’estate”, viene avanti una folla, e anche qui “l’avanzare non è rapido, ma sicuro e con la certezza di vincere”. Un Quinto Stato, dunque, ma in un mondo alla rovescia.