Paolo Rodari, la Repubblica 28/8/2013, 28 agosto 2013
IL TELEFONO DELLA STANZA 201 COSÌ IL PAPA PARLA AL MONDO
C’ERA il tempo della comunicazione di massa. Wojtyla che parlava alle folle, coi grandi eventi ritenuti un mezzo per arrivare al cuore della gente. Oggi Francesco parla all’individuo per raggiungere l’umanità. Alza la cornetta del telefono fisso e dalla stanza 201 di Santa Marta, consultando un’agenda ingiallita dagli anni, chiama chi gli si è rivolto per una parola di conforto o un confronto intimo.
SONO migliaia le lettere che il servizio di posta interna del Vaticano gli recapita ogni giorno. Don Alfred Xuereb, il suo segretario, non può fare filtro. È il Papa ad aprire le buste una dopo l’altra, spesso nelle ore pomeridiane. E a scegliere chi chiamare.
L’ultima telefonata è di domenica scorsa, ore 15.50. «Quando ho sentito la voce del Papa al telefono mi è sembrato di essere stata toccata dalla mano di Dio», ha raccontato l’argentina Alejandra Pereyra, 44 anni, vittima di uno stupro da parte di un poliziotto. Francesco le ha parlato per trenta minuti. «Lei non è sola», le ha detto. Altri tempi rispetto agli algidi radio messaggi di Pio XII, o alla telefonata in diretta di don Stanislao Dziwisz a Bruno Vespa durante Porta a Porta: «Le passo il Santo Padre».
Un balzo indietro, quello di Francesco, che sorpassando decenni di comunicazione erga omnes riporta le lancette della Chiesa all’epoca del dialogo senza mediazioni tra Giovanni XXIII e i singoli fedeli. Come Angelo Roncalli, Francesco sa bene, dagli anni a Buenos Aires, che nulla avvicina quanto una parola amica. Per questo già al primo contatto chiama l’interlocutore per nome. Non solo, il pontefice telefona senza passare dal centralino vaticano, ponendo così una certa distanza fra sé e la struttura pontificia. «Dobbiamo essere normali», disse di ritorno dal viaggio in Brasile ai giornalisti. Marcando con poche parole il tratto di un pontificato che cerca nella quotidianità una sua straordinarietà. «Qual è stato il momento peggiore del suo pontificato? », gli hanno chiesto. «La sciatica, colpa della sedia inadatta », ha risposto con un sorriso.
Ogni giorno, dopo la sveglia il mattino presto e le due ore trascorse da solo a pregare, Francesco presiede una messa dove l’omelia è rivolta a braccio ai fedeli.
Quindi la vita a Santa Marta, i pranzi e le cene spesso in compagnia degli ospiti di turno. Anche le udienze sono all’insegna della normalità. La maggior parte delle persone vengono fatte accomodare in una stanza dove il Papa entra bussando, senza farsi annunciare da nessuno. Da Santa Marta Francesco esce spesso a piedi, improvvisando visite agli operai dell’area industriale del Vaticano (9 agosto) e ai fedeli giunti nelle grotte vaticane per pregare sulla tomba di Paolo VI (6 agosto).
Roncalli arrivò dopo Pio XII.
La prima novità fu di stile. Ricevette in udienza il vice direttore dell’Osservatore romano.
Questi davanti a lui s’inginocchiò. Il Papa rimase perplesso e gli disse: «Si sente male?». Come Francesco, egli voleva una curia del servizio e non dei privilegi. Era fine maggio scorso, quando in Vaticano si riunivano i vescovi italiani per l’annuale assemblea generale. Il Papa spiegò loro che i vescovi non debbono essere «chierici di Stato», preoccupati solo di se stessi e della propria carriera, ma pastori disposti a camminare «in mezzo e dietro al gregge». Una preoccupazione che per paradosso accomuna Francesco al primo presidente dei vescovi italiani e per tre volte in pole position per il pontificato, il cardinale Giuseppe Siri. Quando negli anni della Guerra fredda qualcuno da sinistra si vantava d’essere anticlericale, rispondeva: «Bene, lo sono anche io». A significare che pure per il conservatore per antonomasia Siri, l’anticlericalismo era una virtù.
Dice padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica: «Papa Francesco ritiene che il contatto diretto con le persone sia fondamentale. Anche quando è davanti a masse enormi, come abbiamo visto in Brasile, la sua attenzione è sempre rivolta alle singole persone che vede davanti a sé, ai loro volti. Basta guardare i suoi gesti e il movimento dei suoi occhi. E così la sua comunicazione è sempre stata diretta anche grazie al telefono. È sempre stato così anche quando il Papa era arcivescovo di Buenos Aires: aveva un rapporto diretto, anche telefonico, con molti. Anche da Papa vuole che sia così, per cui prende la cornetta del suo telefono fisso e chiama. Il motivo che lo spinge a comportarsi così ha due radici: una remota e una più legata alla sua esperienza. Quella remota è la sua visione della Chiesa come “madre”. E la madre ha rapporti diretti con i suoi figli. Il Papa non può averli con tutti, ovviamente, ma cerca comunque di far emergere questa dimensione personale diretta, spesso fisica con i suoi abbracci. Il motivo più personale è legato al fatto che, come religioso, lui avverte molto il voto di castità come voto di “fecondità”. Capita spesso che i giovani gli scrivano avvertendo in lui una figura paterna e in lettere molto belle aprono a lui il cuore. E questa paternità spirituale, seppure espressa con semplicità, anche con una semplice telefonata, per lui è importante».
Aggiunge Spadaro: «Il desiderio di Francesco è comunque che nessuno resti senza risposta, al di là del fatto che sia lui direttamente a rispondere o che lo faccia tramite i suoi collaboratori. Colpisce che il Papa trovi tempo per queste telefonate. Si è più volte autodefinito come un “indisciplinato” nel suo viaggio in Brasile. Tuttavia ha una precisa percezione della disciplina del tempo. Non lo spreca, ma lo ordina secondo quel che lui ritiene importante. E tra questa cose importanti c’è certamente il fatto di poter avere da pastore un rapporto diretto, così come può, col popolo di Dio».