Melania Mazzucco, la Repubblica 6/1/2013, 6 gennaio 2013
AD PARNASSUM DI PAUL KLEE
Il primo quadro di cui ho memoria non l’ho visto in un museo né in una chiesa. Non era appeso su una parete - distante, intangibile e vagamente sacrale - ma lo tenevo fra le mani, come un qualunque oggetto della mia vita quotidiana. Insomma, era riprodotto in un libro. Ad Parnassum di Paul Klee campeggiava infatti sulla copertina di un libro d’arte per bambini, che mi fu regalato da mia madre per il mio quinto compleanno. Era convinta che l’arte moderna, in apparenza primitiva e infantile, possa essere compresa istintivamente, senza bisogno di nozioni o esperienza del mondo. Forse è così: perché quel quadro è stato per me davvero una porta, e da allora un’opera d’arte non ha mai smesso di sembrarmi non qualcosa di morto, venerabile, il prezioso relitto di una civiltà scomparsa, ma qualcosa che - come un libro - parla proprio a me, e mi riguarda. Da qualunque lontananza venga il suo richiamo. Spero che Ad Parnassum sia anche la vostra porta: perché il mio viaggio nelle immagini del mondo inizia da qui.
Paul Klee, accusato dai suoi critici di dipingere scarabocchi per bambini, era invece un intellettuale, uno scienziato e un filosofo. Aveva elaborato una complessa teoria dell’arte e non dipingeva neanche un punto senza sapere perché. Non avrebbe mai voluto che ci chiedessimo che cosa rappresenta Ad Parnassum. L’arte non è imitazione, non deve riprodurre il visibile - diceva - ma rendere visibile l’interno occulto delle cose. La chioma di un albero non somiglia alle sue radici. Lui voleva sbarazzarsi di chi in un quadro va a caccia degli oggetti reali del mondo. Così, di questi, è rimasto solo il riflesso, come un’eco sul punto di spegnersi. Un cerchio arancio che potrebbe essere un sole, due linee scure che potrebbero rappresentare il tetto di un edificio (o una montagna, o una piramide), tre cunei che indicano direzioni opposte, un arco che ricorda una porta. Insomma, le forme essenziali: i punti, le linee, i colori. I primi si aggregano in disegni geometrici, i secondi combinano i tre colori fondamentali (giallo-rosso-blu) in infinite variazioni. La tela è intessuta di punti di colore, come minuscole tessere di mosaico - o squame di serpente o scaglie di pesce. Klee riteneva che l’opera fosse un organismo, natura essa stessa, soggetta alle stesse leggi della cellula e del cosmo: i punti di Ad Parnassum brulicano come stelle nel firmamento.
Però questo quadro ha un titolo, scelto da Klee. Dunque è un segno anch’esso. Ad Parnassum significa verso il Parnaso. Ricorda cose reali. Era infatti il titolo di un saggio di teoria musicale del 1725, che Paul Klee, figlio di un insegnante di musica e di una cantante professionista, e lui stesso violinista e cultore di musica, conosceva: la sua aspirazione di pittore era creare una sintesi di pittura, musica, poesia. Dunque il titolo allude alla polifonia, che il quadro si propone di rappresentare simbolicamente. Ma Ad Parnassum si intitolano anche gli esercizi di pianoforte di Muzio Clementi, che conducono l’allievo all’eccellenza. Esso implica un’ascesa - suggerisce un movimento verso l’alto. Ma nel quadro la salita è ostacolata dalle tre punte, che introducono una tensione e indirizzano lo sguardo altrove - a destra, a sinistra, in basso. L’occhio scivola allora verso un altro elemento: la porta, al cui centro spicca un rettangolo violaceo. E qui agisce il terzo significato del titolo. Il Parnaso è infatti prima di tutto il monte sacro ad Apollo e alle muse.
E’ il regno incontaminato dell’ispirazione e dell’armonia. I più grandi pittori dei secoli trascorsi, da Mantegna e Raffaello a Poussin, hanno dipinto la salita al Parnaso dei poeti e degli artisti.
La porta che si apre nell’angolo sinistro di quella che non è una casa né un tempio, ma la montagna stessa dell’arte e della poesia, è allora la porta che immette in quel mondo altro - là dove il caos diverrà musica. E’ lì che si ferma lo sguardo: è quello il punto di equilibrio del quadro.
Val la pena ricordare che questa sinfonia polifonica non è stata dipinta in un momento qualunque della vita di Klee - trascorsa fra studio, ricerca, viaggi, famiglia, insegnamento, sperimentazione di tecniche innumerevoli e creazione inesausta (alla sua morte aveva realizzato ben 9000 opere). Fu dipinta in quello stato di grazia sospesa che precede la caduta. E’ il 1932. Paul Klee insegna pittura alla Scuola di Belle Arti di Düsseldorf, viaggia in Italia, lavora - e intanto, incalzato dai nazisti che hanno vinto le elezioni municipali, lo Stato tedesco interrompe i finanziamenti alla Bauhaus, dove anche Klee ha insegnato per anni. L’anno dopo, è lui stesso a essere licenziato. Un fogliaccio nazista lo denigra come il tipico ebreo della Galizia (in realtà suo padre è un ariano bavarese, e sua madre è svizzera), le SA perquisiscono la sua casa. Paul Klee lascia la Germania per esiliarsi in Svizzera, dove del resto è nato. Fatto che invalida la battuta di Orson Welles nel Terzo Uomo (quella che dice che in cinquecento anni di pace e democrazia gli svizzeri hanno creato solo orologi a cucù). Nel 1932, in Germania, il Parnaso è minacciato. Nel 1933, un quadro di Klee figurerà nella prima delle famigerate esposizioni di Arte Degenerata. Ma proprio quando il Parnaso è in pericolo, Klee dipinge un’armonia melodica di punti, linee e colori, e invita chi guarda a varcare la porta e a salire. L’arte non è mai un traguardo, ma un cammino: ciò che conta non è la mèta, ma la strada percorsa.