Raffaella Procenzano, Focus 27/8/2013, 27 agosto 2013
PERCHÉ LE AUTO ANDRANNO A FUNGHI
Se i jeans hanno un aspetto diverso da tutti gli altri tessuti, se le bibite gassate hanno il caratteristico retrogusto acidulo, se gli organi trapiantati non vengono rigettati da chi li riceve... è merito dei funghi, che per di più potrebbero presto fornire carburante a basso costo per i motori di tutte le auto.
LA CELLULA-FABBRICA I funghi sono biofabbriche: per nutrirsi, infatti, “trasudano” enzimi (molecole specializzate nel favorire lo spezzettamento di altre molecole) nell’ambiente circostante e poi assorbono i frammenti così ottenuti. E poiché hanno imparato a prosperare in ogni ambiente, dai deserti alle giungle (basta che sia presente sostanza organica) in milioni di anni di evoluzione hanno anche imparato a degradare qualsiasi sostanza, anche la più complessa dal punto di vista chimico. «È per questo che sono così importanti nel settore industriale» spiega Mariangela Girlanda, docente di Micologia all’Università di Torino. «Basta scegliere il ceppo giusto, vale a dire l’individuo fungine più adatto per ottenere composti chimici importanti per l’uomo, attivi ad alte temperature, oppure in ambienti molto acidi, che sono tipici di diversi processi industriali». La scelta è pressoché sterminata: si stima che esistano almeno un milione e mezzo di specie di funghi, ma quelli descritti dai micologi sono appena il 6% (circa 99 mila). E, se si considerano le specie di cui si sa abbastanza per un loro utilizzo in laboratorio, la percentuale scende a meno dell’l%.
Per gli usi industriali si tratta soprattutto di organismi molto piccoli, composti da una sola cellula come i lieviti o comunque di dimensioni ridotte come le muffe. Ma non mancano i casi in cui si utilizzano basidiomiceti.
PERFETTI PER LA BIOINGEGNERIA. Facile capire quindi perché la bioingegneria di questi organismi sia considerata dai biologi la scienza del futuro. «Quando studiarne un gene di un fungo che potrebbe dare origine a molecole dall’azione interessante, le tecniche attuali permettono di isolarlo dal resto del Dna e di farlo funzionare in un lievito per esempio, che è più facilmente coltivabile in laboratorio rispetto a funghi di cui non si conosce bene il metabolismo. Oppure» prosegue Girlanda «oggi si riesce a ricavare dal terreno il semplice Dna fungine, anche senza sapere a quale organismo appartiene, per poi sequenziario e studiarne i geni (e quindi i prodotti di quei geni). In cerca di un nuovo farmaco, o di una molecola che renda più semplice un processo industriale».
Prendiamo il fungo che vive sul legno di piante morte, Ascocoryne sarcoides: i ricercatori che lavorano per il Dipartimento dell’energia degli Usa stanno cercando di ricavarne un carburante capace di funzionare anche nei motori attualmente presenti sulle auto. In realtà, il biocarburante già esiste: il bioetanolo spesso prodotto anch’esso a partire da funghi, in particolare lieviti ma ha bisogno di motori appositi. In natura l’A. sarcoides è un bei fungo che produce corpi fruttiferi rosa ma è anche uno dei funghi più efficienti nel digerire la cellulosa, producendo come sottoprodotto proprio idrocarburi. I ricercatori, con tecniche di ingegneria genetica stanno cercando di potenziarne i geni per ricavare un vero e proprio combustibile.
LAGHI PULITI. «Un’altra linea di ricerca in grande espansione è la bioremediation attraverso i funghi, ovvero il risanamento di terreni e acque inquinate» dice Marinella Rodolfi, ricercatrice al laboratorio di micologia dell’Università di Pavia. Molti funghi, infatti, sono in grado di smaltire la lignina presente nelle cellule vegetali, ovvero di degradarla fino a ottenere composti chimici semplici (capacità che gli animali, uomo compreso, non hanno).
E poiché la lignina è chimicamente simile ad alcuni composti molto inquinanti, come i policlorobifenili (i cosiddetti Pcb), alcuni funghi sono in grado di degradare e ridurre in molecole innocue o utili per il terreno anche questi contaminanti. Questa tecnica è già uscita dai laboratori, anche in Italia (è molto utilizzata negli Usa e in Giappone): «Tra gli interventi di risanamento del lago di Endine (Bg) le canne d’acqua che piantate in gran numero ossigenano le acque, sono state “arricchite” di funghi simbionti. Questi funghi sanno crescere in presenza di inquinanti, e digerirli, e così nel giro di pochi anni il lago è tornato balneabile e vi si può pescare. Naturalmente sono anche cessati gli sversamenti di inquinanti. Ma i funghi delle canne hanno sicuramente contribuito» assicura Rodolfi. Esistono addirittura depuratori misti “a funghi e a batteri” impiegati da alcune industrie tessili per degradare coloranti e altre sostanze tossiche presenti nei loro scarichi. «Il settore tessile è, con il conciario, uno dei più inquinanti. Ma le ife del fungo Bjerkandera adusta sono state in grado di degradare la gran parte degli inquinanti» spiega Giovanna Cristina Varese, responsabile della Micoteca dell’Università di Torino, che ha curato il progetto dal punto di vista scientifico.
KILLER A FIN DI BENE. Utilizzando i funghi, poi, è lotta aperta agli organismi pericolosi per l’agricoltura. Grazie alle spore di Metarhizium anisopliae, alcuni ricercatori inglesi hanno prodotto un bioinsetticida capace di sterminare le cavallette, che ogni anno in Africa distruggono i raccolti.
Irrorando gli insetti di spore, il fungo nasce e comincia a nutrirsi del suo ospite (la cavalletta) uccidendolo in breve tempo senza che possa spostarsi su nuovi campi, ne riprodursi. «In agricoltura sono in produzione fertilizzanti a base di funghi particolari: i cosiddetti funghi micorrizici, organismi che vivono in simbiosi con le radici delle piante e che permettono alla pianta di nutrirsi meglio e di resistere di più agli stress ambientali (sbalzi di temperatura, siccità...)» racconta Paola Bonfante, docente di Botanica all’Università di Torino. I funghi micorrizici vengono introdotti nel terreno in modo che si aggreghino alle radici, in un certo senso potenziandole. «E una procedura costosa che attualmente si usa solo con prodotti ad alto rendimento economico, come alcune insalate. Ma che in futuro potrebbe espandersi visto che, come abbiamo scoperto nei nostri laboratori analizzando i pomodori, i frutti delle piante micorrizate sono spesso più nutrienti e durano di più sugli scaffali (marciscono più tardi)» conclude la studiosa.
NELLE ARANCIATE E NEI DETERSIVI. La marcia in più dei funghi sta nell’essere costituiti da cellule dalla parete molto robusta (che contiene chitina, la stessa sostanza che forma l’esoscheletro degli insetti) ma che è in grado di crescere molto velocemente. «Inoltre il loro corpo ha un gran numero di ramificazioni, il che significa che hanno una superficie enorme: ottima sia come assorbitore di sostanze che come produttore di molecole» dice Girlanda.
Non c’è da stupirsi quindi che l’industria alimentare ne abbia sempre fatto largo uso. E non solo per la panificazione o la fermentazione del vino o l’erborinatura dei formaggi come il gorgonzola: con i funghi oggi si producono parecchi acidi organici (usati come intensificatori degli aromi e antiossidanti): acido gluconico, itaconico e lattico ma soprattutto acido citrico, prodotto da Aspergillus rdger e dal lievito Yarrowia lipolytica, comune nelle bibite gassate. Anche la riboflavina (vitamina Bz) viene prodotta industrialmente a partire da funghi.
Ma il campo in cui l’uso dei funghi è in continua espansione è quello della produzione di enzimi. Aspergillus niger ne è il “campione”: da solo infatti fabbrica oltre 40 enzimi commerciali, alcuni dei quali vengono impiegati nell’industria tessile, nelle lavanderie e nei detergenti di uso domestico perché rimuovono le impurità dai tessuti. Altri sono capaci di “smontare” i grassi: quelli in grado di resistere ad alte temperature, ottenuti a partire da un gene di Thermomyces lanuginosum, vengono miscelati ai detersivi per lavastoviglie. Altri enzimi sono utilizzati in settori come quello della produzione dei jeans (il trattamento denim dei tessuti infatti si fa con la DeniLite, un enzima fungino brevettato).
IN FARMACIA. Ma è nella medicina che si prospettano i progressi più rilevanti grazie ai funghi. Da molto tempo da alcune muffe si ricavano antibiotici ad ampio spettro: dal Penicillium chrysogenum le penicilline e dall’Acremonium chrysogenum le cefalosporine. E con Acremonium fusidioides si produce un antibiotico mirato, l’acido fusidico, contro gli stafilococchi resistenti.
Anche le ciclosporine da tempo utilizzate come medicinali antirigetto sono il prodotto di un fungo (Tolypocladium inflatuni).
Gli alcaloidi derivati della cosiddetta segale cornuta (Claviceps purpurea) hanno un ampio spettro di azioni farmacologiche, poiché la loro molecola ha una struttura molto simile a quella di alcuni neurotrasmettitori (noradrenalina, dopamina e serotonina). Ecco perché dalla Claviceps si ricavano farmaci per l’emicrania, l’ipertensione, il morbo di Parkinson ecc...
MODELLI PERFETTI. «In medicina, i funghi (lieviti in particolare) sono fondamentali per la ricerca. La loro cellula ha infatti notevoli somiglianze con quella degli animali, e quindi anche dell’uomo» sottolinea Paolo Pievani, direttore della Scuola di dottorato in Scienze biologiche e molecolari dell’Università di Milano. «Si usano per studiare malattie come il cancro, che non è altro che la proliferazione incontrollata di cellule: studiando i meccanismi di espressione dei geni, infatti, si può scoprire in che modo ciascun gene, se si spegne o funziona male, può provocare una malattia». Il lievito più utilizzato, Saccharomices cerevisiae, ha in comune con la nostra specie il 50% dei geni che provocano malattie nell’uomo. E già partito un progetto internazionale di ricerca, coordinato dall’Università di Baltimora (Usa), che si propone di ricostruire totalmente in laboratorio i 16 cromosomi che ne compongono il genoma. Obiettivo: avere un organismo completamente artificiale, da usare come modello perfetto (vale a dire più robusto e prevedibile nei meccanismi biochimici). «S. cerevisiae è talmente importante per la ricerca che in un recente convegno è stato proposto di nominarlo “mammifero onorario”» sorride Pievani. Chissà se questa piccola, utilissima cellula, che appartiene allo straordinario Quinto regno, ne sarebbe onorata... o no.