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 2013  agosto 27 Martedì calendario

NON BASTA LA PAURA

Caro presidente del Consiglio, siamo in parecchi, in Italia, a non desiderare affatto la caduta del suo governo.

Siamo preoccupati per le conseguenze che potrebbe avere un’ennesima campagna elettorale: blocco di provvedimenti importanti, ulteriore incertezza, reazioni dei mercati finanziari e, non ultimo, una nuova stagione di recriminazioni, di accuse e di odio.

Siamo esausti, abbiamo un sacco di problemi concreti da affrontare, vorremmo un governo che governi. Per questo ci sentiamo istintivamente dalla sua parte. Per questo, in pubblico e in privato, ci capita di difenderla di fronte a chi vorrebbe un nuovo scontro elettorale, poco importa se per archiviare Berlusconi o per restaurarlo, poco importa se per «salvare la democrazia» dal vulnus della sua presenza (come pretenderebbe il Pd) o dal vulnus della sua assenza (come pretenderebbe il Pdl).
Però lei deve anche aiutare chi sostiene il governo. Per noi che non vogliamo le elezioni, per noi che vediamo come un incubo un altro semestre di campagna elettorale, non può essere sufficiente sentirci ripetere che «non c’è alternativa», o peggio sentirci ricattare con l’argomento «se cade il mio governo pagherete la rata dell’Imu».

No, noi non pretendiamo la luna, ma qualcosa di più di quel che si è visto fin qui sì, ci piacerebbe proprio poterlo finalmente vedere.

E qui lascio il «noi», con cui ho descritto lo stato d’animo di tanti elettori, per dire come la vedo io personalmente. Quali sono le mie impressioni, spero infondate.

Quel che temo, signor presidente del Consiglio, è che lei stia perseguendo con democristiana pazienza la via che, in anni ancora recenti, condusse due suoi predecessori ad essere sfiduciati dalla loro maggioranza. Come Romano Prodi nel 2007 e Mario Monti nel 2012, lei sta cercando di galleggiare barcamenandosi fra le modeste esigenze elettorali del Pd e le modeste esigenze elettorali del Pdl. Quando dovesse cadere, e le venisse rimproverato tutto quel che non ha avuto il coraggio di fare, ripeterebbe la consueta autodifesa dei presidenti del Consiglio caduti per mano dei loro sostenitori: io avrei voluto fare questo e quello, ma i partiti non me lo hanno permesso.

Fossi al posto suo, piuttosto che farmi logorare per durare qualche mese in più, preferirei correre il rischio di cadere, ma cadendo in piedi. Ascolterei tutti, però poi sulle cose che contano – la legge elettorale, le tasse sui produttori, la spending review – mi riserverei di fare la sintesi. Che è l’esatto contrario della mediazione. Anziché cercare un compromesso fra idee sbiadite, proverei a far passare qualche idea forte, che dia finalmente all’Italia quello slancio che da tanto tempo aspettiamo. Sono certo che molti elettori sarebbero dalla sua parte e lei – comunque vadano le cose, qualsiasi cosa decidano i partiti – ne uscirebbe a testa alta, con il rispetto di tutti, e l’ammirazione di molti.

In fondo, è solo questa la ragione di esistenza di un governo di grande coalizione: fare, una buona volta, le scelte difficili che si sono rimandate per vent’anni. Se il suo governo non troverà questo coraggio, a noi elettori resteranno solo due posizioni ragionevoli: la posizione di chi teme le conseguenze della sua caduta, e la posizione di chi, forse ingenuamente, spera che un nuovo governo possa trovare il coraggio che lei non ha avuto. E fra la paura e la speranza, non è mai bello scegliere la paura.