Roberto Giardina, ItaliaOggi 27/8/2013, 27 agosto 2013
ADDIO AL BIPOLARISMO TEDESCO
Si vota il 22 settembre, prima domenica d’autunno. Alle 18 chiudono i seggi elettorali e i due canali pubblici, l’Ard e lo Zdf, allo scoccare dell’ora comunicano un secondo dopo le proiezioni, l’exit poll, un po’ diverse ma di qualche decimale. E ci azzeccano. Una pacchia per i giornalisti che si possono subito mettere al lavoro, mentre i vari leader si succedono sullo schermo per i commenti: ho perduto, mi dispiace, colpa mia; oppure ho vinto, manterrò le promesse. E di solito, i risultati confermano anche le previsioni della vigilia.
Merito anche degli elettori interrogati per l’exit poll o sulle intenzioni di voto: per i tedeschi è un dovere sociale dire la verità, o almeno lo credono, e quindi le risposte sono in genere sincere. Questo fino a un recente passato. Temo che il prossimo appuntamento non sarà comodo, come non lo sono stati gli ultimi due. Gli esperti teutonici, prima quasi infallibili, ora si dimostrano inaffidabili come i colleghi italiani. Come mai? Sono meno professionali di una volta?
Forse è il paese che è cambiato. Ricordo Sandro Pertini alla sua prima visita all’estero, nel 1978 in Germania. Nell’hotel Vierjahreszeiten di Monaco, dopo aver commentato che era un bell’albergo per portarci un amante, continuò con un «beati voi tedeschi che avete solo due partiti», nonostante i disperati gesti del nostro ambasciatore Malfatti che con le dita suggeriva «tre, sono tre». Il presidente, scocciato, commentò: «Lo so che sono tre, ma due sono più importanti». Per la verità, il terzo incomodo, i liberali, sono sempre stati l’ago della bilancia: sono oggi al governo con la Merkel, forse lo saranno ancora il prossimo autunno.
Ma 35 anni dopo, i partiti sono andati aumentando: i verdi, e poi la Linke, all’estrema sinistra, senza dimenticare gli ultimi arrivati, i Piraten, e l’Alternative für Deutschland, di quelli che vorrebbero tornare al Deutsche Mark. I calcoli si complicano, anche per il meccanismo della legge elettorale: chi prende il 5% entra al Bundestag, un voto in meno e resta fuori. Non era un problema quando i distacchi erano netti. I sondaggi danno la Cdu-Csu della Cancelliera tra il 41 e il 4%. L’Spd dell’avversario Peer Steinbrück, dal 22 al 27%, quasi doppiata. E gli alleati verdi tra il 14 e il 17%. Basta un punto in pieno e superano Angela, se le verranno a mancare i voti dei liberali, dati da tutti sul 5%, proprio in bilico. Però la Linke dovrebbe arrivare tra il 6 e il 7%, e la sua presenza costringerebbe Angela e Peer alla Grosse Koalition. Senza dimenticare che, se un partito conquista tre mandati diretti, lo sbarramento del 5% non vale più.
Il cambiamento decisivo che complica la vita ai sondaggisti (e a me) è l’incertezza dei tedeschi. Ieri erano compatti, senza sfumature, o pro o contro. E andavano alle urne. Nel 1972 per Willy Brandt la partecipazione fu del 92%.
Domani si rischia di scendere sotto il 60, e molti sono ancora gli indecisi. Basterà un niente per tenerli a casa oppure no, per votare a dispetto o per fede. Facile fare l’indovino ai tempi di Pertini.