Edoardo Narduzzi, ItaliaOggi 27/8/2013, 27 agosto 2013
ANCHE CON DENARO A COSTO ZERO L’ECONOMIA TEDESCA NON TIRA
E se fosse la Germania il vero grande malato dell’eurozona? Se fosse proprio l’economia tedesca, con la sua difficoltà a essere una locomotiva, il principale problema della moneta unica? Ovviamente i dati macroeconomici danno un quadro più che rassicurante. Il pil in crescita dello 0,7% nel secondo trimestre e i buoni dati sull’occupazione, che a luglio ha registrato un inatteso calo dei senza lavoro di 7 mila unità lasciando il tasso di disoccupazione al 6,8%, offrono una immagine positiva dello stato di salute dell’economia tedesca. Eppure Berlino cresce troppo poco e ha troppe difficoltà, nonostante l’incredibile bonanza offerta dal costo del denaro più a sconto di tutte le economie avanzate Giappone a parte, a trasformare le opportunità in investimenti capaci di produrre nuova crescita e nuova occupazione. Certo, quella tedesca è oggi l’unica grande economia dell’eurozona che, a cinque anni dal fallimento della banca di investimento americana Lehman brothers e dall’inizio della più lunga recessione del secondo dopoguerra, può vantarsi di avere un pil del 2% superiore a quello pre-crisi. A certificare che la macchina tedesca, non sarà una locomotiva in grado di trascinare l’intera area della moneta unica, ma quantomeno i suoi interessi domestici li cura più che bene.
Eppure una lettura più attenta del quadro dovrebbe far riflettere sulla scarsa capacità dell’economia tedesca di approfittare del contesto, anche attraendo capitali internazionali. Da cinque anni il costo del denaro in Germania è al minimo storico. Dopo i recenti rialzi il tasso dei Bund decennali è di poco superiore all’1,9%, ma soltanto un anno fa i Bund decennali rendevano l’1,35%. Significa che raccogliere capitale in Germania è ancora oggi a costo reale zero, visto che l’ultimo dato sull’inflazione ha segnato proprio un +1,9%. Investitori e capitali avrebbero dovuto approfittare delle condizioni favorevoli per lanciare iniziative economiche altrimenti non finanziabili e con un tasso di rendimento atteso anche mediamente interessante. Un Irr del 4/5% in Germania è da anni profittevole per una nuova iniziativa economica, se la nuova impresa offre il 10% o più non investire sarebbe un delitto. Invece il pil tedesco cresce poco, rimane anni luce distante il +2,5% degli Usa nell’ultimo trimestre. L’economia di Berlino sembra più approfittare delle disgrazie altrui nell’eurozona – tra il 2010 e il 2014 la Germania risparmierà 40,9 miliardi per minori pagamenti di interessi sui titoli di stato – per galleggiare bene, più che essere una locomotiva della crescita. Ed è forse questo, più dello spread, che dovrebbe far preoccupare: se, neppure quando il costo del denaro è gratis in termini reali, la Germania sa cambiare passo e incubare qualche Google europea, allora quando mai saprà essere l’America dell’eurozona?