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 2013  gennaio 16 Mercoledì calendario

ntervista a Carlo Biffani di Leonardo Piccini per Libero I contractors italiani (qualcuno si ostina ancora a chiamarli spregiativamente "mercenari" quando invece tecnicamente la definizione giusta sarebbe “security contractors” ) effettivamente operativi all’estero, sono attualmente qualche decina

ntervista a Carlo Biffani di Leonardo Piccini per Libero I contractors italiani (qualcuno si ostina ancora a chiamarli spregiativamente "mercenari" quando invece tecnicamente la definizione giusta sarebbe “security contractors” ) effettivamente operativi all’estero, sono attualmente qualche decina. Impegnati in Paesi ad alto rischio, come Iraq e Afghanistan, sono degli specialisti assunti dalle compagnie di sicurezza private, soldati ombra per missioni a volte anche pericolose, con alle spalle anni e anni di servizio nelle aliquote delle forze speciali e nei corpi d’elite delle nostre forze armate: Folgore, Tuscania, Comsubin, Gis, e San Marco; qualcuno di loro proviene anche dalla Legione Straniera Francese. Ciascuno con una storia avventurosa da raccontare, a contatto con veterani provenienti dai quattro angoli del pianeta. Prendete ad esempio i sudafricani: hanno la fama di essere i migliori mastini della guerra. Gente che prima ancora di essere impiegata in Iraq o in Afghanistan, aveva già lavorato in Africa con la famosa e ormai disciolta “Executive Outcom” durante la guerra civile in Angola e Sierra Leone. Alcuni di questi contractors, erano già stati assoldati dal Dipartimento della Difesa statunitense per partecipare alle azioni antidroga in Afghanistan durante l’operazione Enduring Freedom. La maggior parte di loro poi, aveva già operato in Bosnia e in Kossovo. Gente con più anni di guerra che di vita civile sulle spalle. Ma tutti, anche gli italiani che fra le altre cose godono di una buona reputazione, non trascurano mai nulla in fatto di preparazione professionale. La formazione anche in questo campo è importantissima e così, prima di una missione si studiano con attenzione le problematiche e i pericoli in cui ci si può imbattere: IED, EFP, autobomba, agguati, terroristi suicidi e imboscate di ogni tipo, oltre che tecniche e sistemi di spionaggio e controspionaggio elettronico. Ciò che accomuna tutti i contractors di qualsiasi nazionalità, è che mentre la maggior parte delle persone sarebbe pronta a darsela a gambe levate, loro, invece, non vedono l’ora di mettersi all’opera e magari, anche di entrare in azione. Gente fredda e calma, veri professionisti del rischio. Noi abbiamo parlato delle loro missioni impossibili con Carlo Biffani, direttore generale di Security Consulting Group: un professionista, consulente della trasmissione televisiva Matrix (in onda su Canale5), impegnato da 18 anni a livello nazionale e internazionale in attività di “risk assessement” e “risk mitigation”(ovvero valutazione e gestione del rischio), per conto di aziende e enti. Ex ufficiale del II° BTG Paracadutisti Tarquinia, della Brigata Paracadutisti Folgore, ha svolto missioni e incarichi delicatissimi in Algeria (1994), Iraq (2004), Sudan Darfur per conto del ministero degli Affari Esteri (2006), Libano, Libia, Sudamerica e Kazakhistan. Istruttore di tecniche di combattimento, di karate e di difesa personale, è docente universitario di sicurezza e di intelligence. Scrive articoli su “Gnosis”, la rivista ufficiale dell’Aisi (i nostri servizi segreti interni), e ha partecipato alla stesura di un libro sul fenomeno della pirateria somala intitolato “Bandits la lotta alla pirateria somala del XXI secolo, insieme ai giornalisti del Corriere della Sera, Massimo Alberizzi e Guido Olimpio (con una prefazione dell’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa, Mario Arpino) scritto prima che del fenomeno si accorgessero i tanti che ora ne parlano. E’ presidente di Assosecurnav, un’associazione di recente creazione che si propone di fornire supporto in ambito di contrasto alla pirateria marittima, secondo quanto previsto dalla legge 130. Dott. Carlo Biffani, subito una domanda: come valuta la vicenda dei due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone,e che cosa secondo lei è effettivamente accaduto in quei momenti? Siamo tutti molto dispiaciuti di quanto è successo e del protrarsi dello stato di fermo dei due fucilieri. Al di la della totale vicinanza ai due nostri connazionali ed alla mia personale convinzione che nulla abbiano a che vedere con quanto viene loro contestato, resto dell’idea che non debbano essere i militari a svolgere servizi come quelli che i due appartenenti al S. Marco stavano effettuando. Lasciamo che siano i privati ad occuparsene, come avviene in maniera regolamentata, legittima, e per altro riconosciuta dalle compagnie assicurative londinesi nella stragrande maggioranza dei casi riguardanti la marineria mercantile mondiale. I militari, pur bravissimi come è nel caso dei nostri, esistono per ottemperare ad altri incarichi. In tutta questa vicenda, come affermo per certi versi da prima ancora che si verificasse, sono stati commessi a mio modesto parere, errori che si potevano e dovevano evitare. Speriamo che presto sia scritta la parola fine alla ingiusta detenzione dei due nostri connazionali. Quanti sono e come operano i contractors italiani? Direi che in termini di presenza, gli operatori italiani che lavorano alle dipendenze delle principali compagnie di sicurezza straniere in aree a medio ed alto rischio, sono nell’ordine di alcune decine: 50 o 60 al massimo. Bisogna considerare che oltre a quelli che sono impiegati in Iraq, Afghanistan e nelle acque dell’oceano indiano, ve ne sono altri che lavorano per conto di aziende nazionali impegnate nel nord del continente africano. Questi sono da considerarsi alla stregua di consulenti, il cui incarico è altro da quello che si è soliti immaginare quando si pensa all’operatore privato che scorta, armato, un convoglio. Se inseriamo anche questa categoria di professionisti allora si può tranquillamente parlare di circa 100 persone. Dove operano esattamente, e quali funzioni svolgono gli specialisti italiani della sicurezza? Innanzitutto, dobbiamo distinguere i due principali ambiti operativi: quello terrestre e quello marittimo. In ambito terrestre, alcuni operatori italiani sono attualmente impegnati in Afghanistan e in Iraq. Alcuni di loro sono dei veri e propri manager della sicurezza molto apprezzati dai loro colleghi stranieri; altri invece, si occupano della organizzazione e della realizzazione di servizi di protezione ravvicinata. Esistono italiani che svolgono ruoli di coordinamento e di responsabilità all’interno di realtà anglosassoni e le assicuro che i galloni del comando se li sono guadagnati sul campo. In ambito marittimo invece, i nostri connazionali lavorano alla realizzazione di servizi armati di contrasto alla pirateria, prevalentemente per conto di società straniere sulle rotte dell’Oceano Indiano. Quali sono le loro regole di ingaggio di un contractor? Il principio al quale debbono sempre attenersi, è quello della legittima difesa e quindi della proporzionalità tra offesa o minaccia ricevuta e reazione posta in essere. In caso di “extrema ratio”, si è autorizzati a sparare colpi di avvertimento, così da far intendere a chi di dovere, che quel convoglio, sia esso marittimo o terrestre, è protetto da personale armato, fermo restando che la presenza di questo personale è sempre segnalata, specialmente nel caso di convogli terrestri, in modo inequivocabile attraverso sistemi stabiliti dalle autorità locali. E’ chiaro però, che in alcune situazioni, hai solo pochi secondi per poterti difendere e la decisione sul da farsi deve essere presa in quello che potrebbe essere l’attimo che separa la vita dalla morte... Ogni singola operazione in convoglio, è ripresa con delle telecamere e registrata su supporto digitale, così da poter dimostrare che si è agito nel rispetto della legge. Per questo siamo rimasti tutti sorpresi nello scoprire che nel caso dell’incidente dei due del S. Marco, non esisteva alcuna registrazione video. Con il senno del poi, in quel caso forse l’incidente si sarebbe già concluso. Vige poi, la regola del “low profile”, che prevede che le armi vengano sempre occultate e palesate solo in caso di reale necessità, pena il ritiro della licenza. Per quanto riguarda lo status giuridico poi, un operatore che in Afghanistan o in Iraq, dovesse compiere azioni rilevati dal punto di vista penale o civile, risponderebbe sempre alla giustizia ordinaria locale, e le posso assicurare che nessuno di quelli che conosco io, o di quelli che lavorano per noi, ha voglia di finire in un carcere afghano o irakeno. Esiste uno scambio di informazioni tra le forze armate regolari impegnate in missioni all’estero e i contractors? Sì, in molti casi esiste uno scambio di informazioni e c’è collaborazione tra il privato, l’esercito regolare ed i servizi segreti. Lo si nota, soprattutto nella realtà inglese o americana: qui i manager delle società di sicurezza presenti nelle aree geografiche più “calde”, provengono spesso dai quadri e dai comandi delle forze armate e dei servizi di intelligence. Sono disseminati sul terreno in modo capillare, a volte più di quanto non lo siano i reparti militari, e pertanto sono considerati delle preziose risorse alle quali attingere se necessario. Personalmente io ed i miei collaboratori abbiamo sempre cercato di mantenere un profilo adeguato dal punto di vista dei rapporti con le autorità nazionali deputate alla sicurezza presenti in teatro. Andare in Ambasciata, registrarsi, chiedere di incontrare il personale diplomatico presente per una presentazione e per uno scambio di vedute sulla situazione e sul motivo della nostra presenza, ci sembra rientrino fra le azioni che ci si deve aspettare da professionisti quali ci consideriamo. Che tipo di compiti svolgono i contractors e le società che li impiegano? Per quanto riguarda le attività a supporto dei governi, spesso le società di sicurezza offrono servizi di protezioni delle basi, ma anche di approvvigionamento logistico e di difesa dei convogli che movimentano materiali di consumo. Il principio che ha mosso verso un maggiore impiego dei privati in ruoli di seconda linea è che non ha senso impiegare soldati il cui addestramento è a livelli elevati, in compiti diversi dal combattere. Mettere dei marines al controllo accessi di una base significa distrarli da altri compiti più appropriati al loro status. Solo il governo americano, affida ai contractors incarichi di ricerca, cattura e di eliminazione di terroristi. In questo caso, si tratta di ex appartenenti a reparti di elite. Il motivo è molto semplice: un conto è inviare un distaccamento operativo di forze speciali fuori da un’area di intervento lecito e un’altra è incaricare un gruppo privato legato ad una società privata di professionisti. In caso di cattura di questi ultimi, o di qualsiasi altro problema, si è in grado di evitare un coinvolgimento diretto del proprio governo. Noi privati siamo più spendibili. Chi fornisce le armi, il materiale di supporto e tutto ciò che è necessario per portare a termine le missioni? Ovviamente, la società per la quale si è sotto contratto. Lei lavora in un settore molto delicato e ha modo di parlare con i suoi colleghi stranieri. Com’è considerato un contractor in Italia e come, invece, è considerato all’estero? Qui tocchiamo un tasto delicato. C’è un’enorme differenza tra la cultura anglosassone e quella italiana anche in materia di sicurezza. In America o in Inghilterra sei considerato un professionista a tutti gli effetti; uno che lavora in modo onesto e leale per la sicurezza delle aziende nazionali e dello Stato, e quindi vieni apprezzato e non sei certo considerato un “vile o spregevole mercenario”, come invece accade a volte nel nostro Paese. In quei Paesi, più realisti del nostro, le società private che forniscono questo genere di servizi (tutte altamente specializzate), sono considerate una risorsa irrinunciabile a disposizione del sistema produttivo. Negli Stati Uniti e in Inghilterra, ci sono vere e proprie major che operano nel settore sicurezza e nel “business intelligence”, con migliaia di dipendenti, e rappresentano una voce ascoltata e qualche volta determinate nelle decisioni che vengono prese dalla comunità della Difesa e degli Esteri. Tanto per parlare del nostro Paese, si preferisce invece assegnare in alcuni casi la sicurezza del nostro personale alle dipendenze del Ministero degli Esteri, a società anglosassoni, con contratti milionari che potrebbero rimanere in Italia e fare il bene delle nostre società di sicurezza oltre che dell’erario. Come si pensa poi che sia garantita l’impermeabilità del sistema e la riservatezza dei dati, se operatori di un’altra nazione accompagnano in macchina per ore ogni giorno personale cooperante, tecnici del ministero e qualche volta diplomatici del nostro paese? Lei ritiene che un paese come l’Inghilterra farebbe la stessa cosa? Per quale motivo, alcune aziende di importanza strategica per il nostro sistema paese, ad esempio nel settore dell’energia, assegnano la sicurezza dei propri tecnici e del proprio management a società che provengono da paesi nostri competitors nello stesso comparto? Quante sono in Italia le società che operano del settore della sicurezza? Quelle che sono in grado di operare al di fuori dei confini nazionali, anche in aree a rischio, sono davvero pochissime: se ci mette anche la mia società, direi che siamo non più di quattro o cinque. Colgo l’occasione per sottolineare un punto davvero importante: noi non forniamo direttamente servizi di protezione armata in zona ad alto rischio. Lo facciamo attraverso delle partnership mirate con società autorizzate in loco. Gli operatori che ci vengono messi a disposizione, sono tutti stranieri altamente specializzati e autorizzati dal governo del luogo ad esercitare tale attività. Il nostro compito nel caso della protezione e della difesa di una personalità o di un uomo d’affari, è quello di organizzare l’intera filiera della cosiddetta “attività di contenimento del rischio”, garantendo l’efficienza dell’intero servizio e fornendo degli esperti che fungono da collegamento tra il nostro cliente e il fornitore locale. Nel corso degli ultimi anni ci siamo anche specializzati nella fornitura di servizi a supporto della aziende sia in termini di investigazione pura che di intelligence a livello nazionale ed internazionale. Se lei fosse ad esempio, il manager di un’azienda e si stesse recando a incontrare un potenziale partner in un Paese straniero e volesse muoversi sotto un ombrello di protezione discreta e al tempo stesso volesse sapere chi è davvero la persona o l’azienda che va ad incontrare, le suggerirei di mettersi in contatto con noi. In tempi come quelli attuali, con la contrazione determinata dalla Crisi, difendere il proprio know how ed avere sempre piena consapevolezza dei rischi che si corrono e delle persone che si avvicinano, è diventato un valore irrinunciabile. La riduzione di opportunità di sviluppo, rende necessaria un atteggiamento di estrema protezione delle attività aziendali e noi siamo in grado di svolgere tale compito. Che cosa spinge una persona a lavorare come contractor? Innanzitutto la voglia di viaggiare, la sete di avventura, la voglia di affrontare e superare sfide e rischi continui, in una sorta di scommessa con se stessi. E poi, nel mio caso, il desiderio di essere impegnato in un contesto culturale e professionale diverso da quello che solitamente tutti frequentano, certamente molto più stimolante e appagante. Ma se immaginate che tutto accada per saziare la bramosia di sparare, siete veramente fuori strada. La maggioranza dei servizi che svolgiamo sono di valutazione, di pianificazione e di previsione di quello che potrebbe accadere. Che tipo di professionalità e quali attitudini sono richieste per un professionista della sicurezza? Può essere utile, ma non indispensabile, essere stati dei buoni soldati o dei comandanti. Certamente non si può prescindere da un solido equilibrio e da una grande ecletticità, che poi significa soprattutto, essere dotati di un forte spirito di adattamento. E’ necessario poi, saper affrontare e risolvere in modo rapido qualsiasi tipo di problema. Se si è stati nelle forze speciali, si ha sicuramente una marcia in più, ma noi richiediamo anche la capacità di interagire con il mondo del business e con i manager pubblici e di aziende private. Noi chiediamo ai nostri operatori di essere prima di tutto dei manager del rischio, di sapere di business e di processi aziendali, e di valutare attentamente ma velocemente prima di agire. Quanto guadagna un contractor e in genere quanto durano le loro missioni all’estero? L’operatore che lavora con incarichi di medio livello per una società americana o inglese, in zone di guerra, può guadagnare fino a 10.000 $ al mese. Meno quelli che lavorano in ambito marittimo anti-pirateria. Certo, si tratta di stipendi consistenti, ma bisogna anche considerare che oltre al rischio che corre, un operatore deve potersi aggiornare continuamente investendo cifre importanti nel training. La quotazione di servizi come quelli che noi eroghiamo è tuttavia complessa e può variare a seconda di un’infinità di parametri: se si opera nell’ambito della protezione ravvicinata in Paesi a rischio, è sensato parlare di alcune migliaia di euro al giorno, se poi si trattasse di organizzare l’evacuazione di propri dipendenti da un’area politicamente instabile e geograficamente complessa, i costi certamente salgono. Le missioni che svolgiamo possono durare 24 ore o anche mesi interi. Se il lavoro consiste nel ricavare quante più informazioni possibili su un determinato partner finanziario o su un determinato tipo di attività che un competitor sta svolgendo in un determinato contesto, è magari necessari stare sul terreno operativo anche settimane intere. Per quanto concerne i servizi di accompagnamento e di messa in sicurezza di un manager o businessman, si va da impieghi contenuti nelle 24 ore a quelli che possono durare periodi anche molto più lunghi … in questi casi, anche per contenere i costi, suggeriamo di rimanere sul terreno solo lo stretto necessario e spesso collaboriamo all’organizzazione di un’agenda tesa ad ottimizzare i tempi e a garantire spostamenti e incontri che assicurino il massimo della sicurezza. http://www.securitycg.com/approfondimenti_ita.asp?Id=820 Data invio: 8/6 3:09