Davide Maria De Luca, Il Post 14/6/2012, 14 giugno 2012
PERCHE’ SI PARLA SEMPRE DEI LIGRESTI
Martedì sera, dopo una riunione (seduta) del consiglio di amministrazione durata più di cinque ore, la famiglia Ligresti ha dato il suo via libera all’aumento di capitale di Premafin. È uno degli ultimi passi per rendere possibile la fusione tra il gruppo assicurativo Unipol (che appartiene alle Coop) e l’impero familiare dei Ligresti (le assicurazioni Fonsai e Milano e la holding che le controlla, Premafin). La scelta per la famiglia era tra due alternative difficili: accettare condizioni svantaggiose o veder fallire il gruppo. “Non dormo da tre giorni”, ha raccontato Giulia Ligresti. Le agenzie l’hanno descritta, insieme alla sorella Jonella, con occhi rossi e gonfi di stanchezza e di pianto. Se avrà successo, l’operazione salverà dai debiti le società di famiglia. La nuova società, nella quale però i Ligresti avrebbero una quota molto ridotta, diventerebbe il leader in Italia nel campo dei sinistri assicurativi. La fine della vicenda Unipol-Fonsai arriva dopo quasi un anno di vicende intricate che hanno coinvolto tutta la finanza italiana.
Chi sono i Ligresti
Alcuni li chiamano i Ligrestos, pensando ai Sopranos, la famiglia di mafiosi siculo americani dell’omonima serie televisiva. I Ligresti non sono mai stati condannati per mafia, ma sono siciliani e sono una famiglia patriarcale, come i Soprano. Del capofamiglia, Salvatore Ligresti, il giornalista Filippo Astone, nel suo libro Gli affari di famiglia scrive: “La collaborazione [in famiglia] è una delle più strette che si possano immaginare: in pratica decide tutto lui”. Salvatore Ligresti, 80 anni, è nato a Paternò, come Antonino La Russa, padre dell’ex ministro Ignazio. Ligresti e La Russa sono due famiglie alleate. Antonino introdusse Salvatore ai personaggi importanti della Milano anni Settanta, tra cui Enrico Cuccia. Salvatore ricambiò dandogli un posto nel Cda della sua holding, Premafin. L’alleanza e lo scambio di poltrone in Cda dura ancora oggi, ai tempi di Romano, Ignazio e di suo figlio Geronimo.
Salvatore Ligresti arriva a Milano dopo la laurea in ingegneria a Padova negli anni Sessanta. Si sposa nel 1966 con la figlia del provveditore alle opere pubbliche della Lombardia. Con gli appalti e il boom edilizio sotto le giunte socialiste della Milano da bere comincia le sue fortune. La sua ascesa è rapida e piuttosto misteriosa come quella dell’altro palazzinaro milanese, Silvio Berlusconi. Nel 1978 Salvatore Ligresti dichiara 30 milioni di lire di imponibile. Qualche anno dopo è uno degli uomini più ricchi di Italia. Con l’acquisto di una quota nell’assicurazione Sai arriva anche a sedere nel cosiddetto “Salotto Buono” di Mediobanca. Una specie di investitura: lo sconosciuto di Paternò è diventato uno dei grandi del capitalismo italiano.
Il Salotto Buono
Il Salotto Buono non è un’espressione metaforica come “poteri forti”. Indica un luogo fisico: via Filodrammatici (ora piazzetta Cuccia) a Milano. Là si riunisce il Consiglio di amministrazione di Mediobanca. Unica banca fino agli anni Novanta autorizzata a concedere prestiti a lungo termine, Mediobanca era il “passaggio a livello” da cui si doveva passare per diventare una grande impresa. Per farlo era necessario appartenere al ‘giro’ dei due dioscuri della banca: Giovanni Agnelli ed Enrico Cuccia. Non è chiaro cosa spinse Enrico Cuccia a legarsi a Salvatore Ligresti. Forse furono le comuni origini siciliane, forse furono le partecipazioni azionarie di Sai, che interessavano a Mediobanca o forse, come sostengono alcuni, la protezione che Ligresti poteva offrire a Cuccia grazie alle sue conoscenze. Il rapporto Ligresti-Mediobanca si dimostrerà saldo almeno fino ai giorni nostri.
Scatole cinesi, patti di sindacato e azioni di risparmio
Salvatore Ligresti ha un soprannome: Mister 5 per cento. Perché è uno dei più bravi nel metodo preferito dal Salotto Buono: controllare aziende e società possedendo soltanto una piccola percentuale dell’azionariato. Questo metodo ha a che fare con i tre strumenti principali del Salotto Buono: le scatole cinesi, i patti di sindacato e le azioni di risparmio. Il funzionamento delle scatole cinesi è semplice: se possiedo il 51 per cento della società A che a sua volta possiede il 51 per cento della società B che a sua volta possiede il 51 per cento della società C, posso controllare C possedendo soltanto una minuscola parte delle azioni di C. Grazie ai patti di sindacato posso evitare anche di controllare il 51 per cento di A.
Un patto di sindacato è un accordo tra alcuni azionisti di un impresa. Con questo accordo si impegnano a deliberare di comune accordo sugli aspetti della vita della società. Si tratta, in sostanza, di alleanze scritte che permettono di controllare una società a degli azionisti che solo mettendosi insieme riescono ad avere la maggioranza (assoluta o relativa) della azioni della società. Quindi se io posseggo solo il 26 per cento delle azioni di A e ho sottoscritto un patto di sindacato con un altro socio che ne possiede il 25 per cento, posso controllare A, B e C possedendo un numero ancora inferiore di azioni. Questo numero si può abbassare ancora se la società ha emesso azioni di risparmio. Si tratta di azioni che danno dei privilegi nella raccolta dei dividendi. In altre parole: a parità di numero di azioni, chi possiede azioni di risparmio riceve un numero più alto di dividendi. In cambio rinuncia al diritto di voto in assemblea. Tutti questi strumenti sono ampiamente utilizzati nella galassia dei Ligresti.
Stock option e ottimi stipendi
Nel 2002 Mediobanca aiuta la famiglia Ligresti a uscire dalla brutta situazione nella quale era arrivata dopo la condanna del patriarca a 2 anni e 4 mesi di reclusione nel 1992, durante Tangentopoli. A Enrico Cuccia è succeduto Vincenzo Maranghi, che per Salvatore Ligresti non ha la stessa stima. Maranghi cede Fondiaria, un’importante società di assicurazioni in mano a Mediobanca, a Salvatore. Dalla fusione con Sai nasce Fondiaria-Sai: il primo polo assicurativo per l’Rc Auto. I Ligresti vedono raddoppiare il loro giro di affari. Maranghi però avverte Salvatore: gestisci l’azienda con rigore e non cedere alle logiche familiari. Un consiglio che Salvatore non segue. Dopo poco tempo l’amministratore delegato Enrico Bondi (che qualche anno dopo risanerà Parmalat e ora è commissario alla spending review) viene cacciato e i figli di Salvatore vengono sistemati nei consigli di amministrazione di tutte le società e le loro controllate.
Le aziende non vanno bene. Il titolo della principale società crolla in borsa. Nel 2007 un’azione di Fondiaria-Sai valeva 22 euro. Oggi vale 97 centesimi. Complice la crisi finanziaria, gli utili diventano sempre più sottili. Per di più la complicata rete di scatole cinesi fa sì che ben pochi di quei soldi arrivino alla famiglia. Astone nel suo libro fa l’esempio del 2007. La holding di famiglia Premafin stacca dividendi alla famiglia per 2,8 milioni. Ma le partecipazioni nell’azienda valgono circa 300 milioni. Il capitale quindi, viene remunerato a meno dell’1 per cento. Troppo poco.
Le stock option e gli stipendi che i familiari ricevono come consiglieri di amministrazione sono di tutt’altro livello, però. Scrive Riccardo Sabbatini sul Sole 24 Ore che nel 2008 Jonella Ligresti, presidente del Cda di Fondiaria-Sai, incassò 4,4 milioni di euro di stipendio. Giovanni Perissinotto, amministratore delegato di Generali, un’assicurazione diverse volte più grande di Fondiaria-Sai, ne guadagnò 2,4 e il presidente di Axa (una delle assicurazioni più grandi del mondo), Henry de Castries, nello stesso anno ne incassò 3,3.
Poi ci sono le stock option, un premio molto usato per incentivare i manager a ottenere buoni risultati. Promettendo a un manager la consegna di un certo numero di azioni dopo un certo tempo, il proprietario di un’azienda lo incentiva a lavorare bene, facendo in modo che il valore delle azioni salga e così il suo premio. Nel 2007 i tre giovani Ligresti sono al terzo posto in Italia per numero di stock option che ricevono, dopo Sergio Marchionne e Alessandro Profumo. Ma i tre Ligresti sono proprietari di azioni: Marchionne e Profumo no. Jonella, Paolo e Giulia dovrebbero essere incentivati dai dividendi a fare un buon lavoro. Come scrive Astone: “i generosi compensi e i maxipiani di stock option servono a integrare i magri dividendi generati dalle scatole cinesi con le quali [Ligresti] gestisce il suo gruppo”.
La fine dell’impero
Crisi finanziaria, stock option, ottimi stipendi e finanziamenti da Fondiaria-Sai verso altre società hanno ridotto il gruppo al dissesto. L’unica speranza per non arrivare al fallimento è fondersi con un altro gruppo. È molto probabile, ritengono molti analisti, che in un altro paese il gruppo a questo punto sarebbe già fallito, ma evitare la bancarotta non interessa solo ai Ligresti.
Mediobanca nel corso degli ultimi dieci anni ha concesso un miliardo e cinquanta milioni di crediti nei confronti delle aziende dei Ligresti. Sono crediti subordinati, che significa che se il gruppo dovesse fallire saranno rimborsati per ultimi (e quindi probabilmente non saranno rimborsati affatto). Come nel 2002, piazzetta Cuccia è di nuovo al fianco dei Ligresti, ma a differenza di dieci anni fa il massimo che la famiglia può sperare è di essere salvata dal fallimento. Le trattative Unipol sono giunte quasi al termine. Ma i Ligresti hanno rinunciato o dovranno rinunciare ancora a molto. La loro holding, Premafin, avrà nel portafoglio soltanto lo 0,85 per cento del nuovo soggetto.
Per far sì che la fusione avvenga dovranno rinunciare alla manleva, cioè quell’accordo con il quale Unipol si impegna a non appoggiare azioni di responsabilità nei confronti della famiglia per il dissesto della società. A quest’ultima condizione potrebbero non essere costretti a cedere. Oltre a Unipol si è fatto avanti un altro gruppo, per aiutare i Ligresti. Si tratta dell’alleanza di due fondi: Sator, del finanziere Matteo Arpe, e Palladio. Questa cordata, finora, ha agito nella partita come forza di disturbo al matrimonio tra Ligresti e Unipol, presentando offerte in concorrenza con quelle dell’assicurazione delle Coop. Ma martedì sera è arrivata la notizia, subito smentita da Premafin, che i Ligresti avrebbero inviato una lettera a Sator-Palladio con le condizioni alle quali sarebbero disposti ad abbandonare Unipol e accettare l’offerta dei due fondi. Una delle condizioni è che Sator e Palladio rinuncino ad appoggiare azioni di responsabilità contro gli ex-amminstratori del gruppo Fondiaria-Sai. Cioè gli stessi Ligresti.