Il Fatto Quotidiano, 15/7/2013, 15 luglio 2013
PROCESSO ENIMONT, LA MADRE DI TUTTE LE TANGENTI
Antonio Di Pietro la definì la madre di tutte le tangenti. Parliamo della vicenda Enimont che fu il culmine degli anni di Mani Pulite. Un processo che finì con condanne per tutti gli imputati, ma che portò in carcere solo Sergio Cusani che scelse il rito immediato e venne giudicato a parte: tutti gli altri imputati, da Garofano a Sama, vennero sì condannati, ma per effetto della legge Simeone-Saraceni (niente carcere al di sotto dei tre anni di pena) scontarono con pene alternative. Oggi sono tutti liberi. Sama, uno dei principali protagonisti, interrogato decine di volte dalla polizia giudiziaria nei mesi precedenti all’avvio del processo, vive tra Formentera, Roma e Ravenna, la città sua e di sua moglie.
Vennero condannati a tre anni Severino Citaristi, ex segretario amministrativo della Democrazia cristiana, Giuseppe Garofano, ex presidente della Montedison, e a Carlo Sama, amministratore delegato del gruppo. Luigi Bisignani, ex giornalista dell’Ansa e che per la Montedison si occupava sia di pubbliche relazioni che di rapporti assai meno leciti (condannato a due anni e mezzo) e l’ex segretario di Craxi, Mauro Giallombardo vennero condannati a due anni e due mesi come il vicedirettore dell’Eni Alberto Grotti e il dirigente Montedison Romano Venturi. Arnaldo Forlani, ex segretario della Democrazia cristiana (celebre l’interrogatorio di Di Pietro trasmesso decine di volte in tv) venne condannato a due anni e quattro mesi. Forlani era l’unico - assieme a Bettino Craxi, la cui posizione però venne stralciata dal processo - a essere rimasto coinvolto nella storia della maxitangente miliardaria. Per tutti gli altri si era trattato di finanziamenti illeciti da parte del gruppo Ferruzzi. Renato Altissimo e Umberto Bossi vennero condannati a 8 mesi. Giorgio La Malfa invece 6 mesi e 20 giorni, sei mesi di condanna a Egidio Serpa.
Al centro del processo una riserva di denaro in nero da 150 miliardi che doveva servire alla Montedison per garantirsi un’uscita rapida e vantaggiosa da Enimont. Operazione che, secondo quanto emerse dal processo, secondo Sama e Garofano, venne condotta in prima persona da Raul Gardini. Ma Gardini, dalle accuse, non riuscì a difendersi: si sparò la mattina prima che la guardia di finanza lo arrestasse. La tangente passò per buona parte (90 miliardi di lire), sotto forma di titoli di Stato (in gran parte Cct), attraverso conti speciali detenuti presso lo Ior e finì ai partiti coinvolti.