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 2013  giugno 29 Sabato calendario

QUELLE ESTATI AI RONCHI CON GUIDO CREPAX


PRIMI ANNI ’70. Via dei Fortini, il ristorante Cipriano, i rovi, la pensione Jungla, il cocco fresco, via Ontani di Levante, un giretto, Franco Scopetta, via delle Macchie, la pineta, gli stivali di gomma, arriva Pippo il pasticcere. Bomboloni, pizze e schiacciatine. Il pattino e le pagliate, il Leone Viola, la casetta rossa, il vetrino blu, la bicicletta Rossignoli verde e la doccia azzurra. Il riflesso delle onde alle due, dopo mangiato. Bambini, aspettate almeno due ore!
Su, dove si va? Dài! Andiamo da Antonio, Caterina, Giacomo, Luisa, la Rita e la nonna Macola.
Si va da Guido Crepax! A caldo ricordo questo, così. Un linguaggio in codice per chi, come me, da piccolo, l’estate la passava ai Ronchi, esattamente cinque chilometri e 900 metri a nord di Forte dei Marmi. Per tutti gli altri vale la pena di raccontare una storia: il sole bruciava, per noi bambini. Il pranzo tardivo, si aspettava un poco e poi via dalla spiaggia, a casa, in bicicletta.
Quella spiaggia magica affollata, sotto gli ombrelloni ben distanziati, di spiriti liberi: c’era Guido Crepax. Ma c’erano anche Italo Calvino con il suo cappello di paglia e la moglie Chiquita. C’erano il fotografo Massimo Vitali (che la sera ci portava tutti sul suo fuoristrada UAZ russo a correre sulla battigia) con la bella Giovanna Nuvoletti (stivali di gomma e moto MV). Un po’ più in là, Vittorio Mezzogiorno con la figlia Giovanna. E poi Marco Tullio Giordana, i miei genitori Italo e Maria Luisa, Franco Crepax (discografico e fratello di Guido – ricordo il giorno in cui arrivò con una musicassetta in anteprima, «Sentite questa, sarà il successo dell’estate!», era Azzurro cantata da Adriano Celentano) – con Luciana, Valentina, Margherita, Nicola e Alice. E poi Tonino Crespi, la Maddalena, Martino e Giacomo. I pittori Gianfranco Ferroni e Robert Carroll, con Jessica, Irene e Alessio Grazioli. Le Mastrocinque e gli eredi di Elio Vittorini, e poi Angelica Savinio e Giorgio De Chirico. Era il "bagno Franco", di Franco Scopetta. Non male in quanto a libertà di pensiero.

Si tornava a casa, dunque, in bicicletta. Vìa delle Macchie, all’ombra degli ontani, le macchie sull’asfalto le aveva davvero: c’erano lucertole schiacciate e schizzi d’olio motore. Ogni tanto, raramente, pioveva. L’asfalto bagnato profumava, il cielo diventava grigio, faceva freddo. Ci si metteva il golf blu, quello ruvido, comprato al mercatino americano di Livorno e, di colpo, apparivano le lumache.
Il pomeriggio, ecco, era il momento migliore. Perché, se pioveva, non c’era nient’altro da fare se non giocare. Giocare a casa di Guido, ai giochi di Guido, che ogni anno portava per noi bambini sempre qualcosa di nuovo: il gioco del ciclismo, le grandi battaglie, quello del pugilato, il calcio, l’atletica, l’automobilismo. Faceva tutto lui, d’inverno, a Milano. Disegnava, montava, costruiva. Regole, protagonisti, campi di gara. Il ring del pugilato, ad esempio: gli angoli con i bastoncini, le corde di spago, i pugili con la zavorrina di piombo, alla base, per farli stare in piedi, che solo un uppercut ben assestato poteva mettere knock-out. Erano tutti giochi di dadi. Ricordo le bici di noi bambini appoggiate al cancello bianco della nonna Macola, la madre di Guido: Roma Sport, Rossignoli, Leopard e Saltafoss, una sull’altra. Alcune anche per terra, tra la sabbia e la ghiaia. Tutti i bambini andavano a casa di Guido Crepax!
A casa Macola, Guido preparava i campi da gioco, nel terrazzino sul retro, quello con le piastrelline rosso-amaranto, il muschio sulla scala e le pigne sparse per il giardino. Quanti pinoli! Oltre la siepe c’era il campo di bocce e la casetta per gli attrezzi. La casa era bella, disegnata dagli architetti Aldo Rossi e Leo Ferrari. C’erano ampolle di vetro piene di conchiglie e le papere di gomma, quelle fatte per i cacciatori.
Altre estati, invece, Guido e la famiglia si spostavano dalla casa della madre e affittavano la casetta Rossa, dove si giocava sotto a un gazebo. Cassius Clay, Joe Frazier, Primo Carnera, Nino Benvenuti. I campioni del pugilato tutti disegnati, uno a uno. Poi c’erano i soldati napoleonici e i ciclisti del Tour de France, c’erano i piloti di Formula 1 e i grandi calciatori.
Antonio, il figlio di Guido, aveva un modo tutto suo di tirare i dadi: lo faceva forte, sbattendo il pugno sul tavolo. Guido invece era più gentile, delicato, e soprattutto non si arrabbiava mai. Ogni tanto ci lasciava fare e tornava a disegnare le sue tavole di Valentina con il pennino a china, quelle tavole con i riquadri geometrici e ordinati che ricordavano tante sequenze cinematografiche.
Poi arrivava settembre, il momento di tornare a Milano: Guido la amava molto, e non solo perché ci era nato. Fosse stato per lui non avrebbe mai lasciato il suo studio di via De Amicis 45. Accettava di trasferirsi ai Ronchi, d’estate, solo perché lì era riuscito a ricreare un ambiente simile al suo studio milanese. Il rapporto con la città, era molto stretto: un amore forte, che trasmise – subito – anche a Valentina, la sua creatura, nata nel 1965. Nelle tavole di Guido, in realtà, Milano è poco presente: ma si percepisce – e bene – da alcuni dettagli: le targhe delle macchine, una certa eleganza rigorosa ed essenziale, il taglio di capelli a caschetto di Valentina, direttamente ispirato a quello dei fratelli Vergottini, i famosi parrucchieri della Milano fine anni ’60 di via Montenapoleone, dove andavano davvero tutte le signore della borghesia intellettuale (l’architetto Gae Aulenti, la giornalista Natalia Aspesi, la fotografa Carla Cerati...).
«Dicono di me che esco poco da Milano, dalla mia casa e perfino dalla mia stanza. È vero. Non mi piace viaggiare. O meglio, sono un viaggiatore immobile. Amo stare in casa, però mi piace sentire il rumore della città, i tram che sferragliano, il pulsare delle attività. Quale altra città meglio di Milano?».
Sulla poca voglia di viaggiare di Guido, c’è un aneddoto divertente, che mi raccontò mio padre. Un noto produttore cinematografico, sul finire degli anni ’60, aveva proposto a Crepax di disegnare una sceneggiatura per un film importante. Quando ormai era tutto deciso, il produttore propose a Crepax un incontro a Roma, per la firma del contratto. La risposta di Guido fu ferma e pacata: «No, guardi, non posso: per questo mese sono già stato a Como!».

Noi bambini di ritorno dai Ronchi andavamo spesso nella sua casa di Milano a giocare: lui sempre chiuso nello studio a disegnare, noi a divertirci con la splendida casa delle bambole che teneva in salotto.
Dai racconti di famiglia (la mia, la sua), il mondo che girava intorno a Guido era ricco di intellettuali, artisti, scrittori e musicisti. Ed erano proprio gli scrittori, soprattutto gli autori delle fiabe popolari, a ispirare e animare le storie di Crepax: dai fratelli Grimm e Andersen, fino a Perrault. Nella vita di tutti i giorni, tra gli amici che arrivavano a casa sua, c’erano Claudio Abbado, Umberto Eco, Emilio Tadini, Oreste Del Buono.
In tanti hanno scritto della storia di Guido, ma a me piace ricordarla direttamente dalla voce di suo fratello Franco: «Forse pochissimi sanno come è cominciata l’avventura artistica di Guido (tranne naturalmente Claudio Abbado, che gli è stato amico dal momento della nascita, essendo più vecchio di soli 19 giorni). Dunque, all’età di 2 anni e mezzo s’impossessò di un paio di forbici e incominciò a ritagliare, seduto sul tappeto del salotto, centinaia di figure da un foglio bianco senza seguire nessun disegno. Nostra madre le incollava su un cartoncino nero, e da lì nascevano bei disegni, ma tutto andò perduto durante i bombardamenti dell’estate del 1943. Continuò così per un lungo periodo, poi, a 5 anni. Guido gettò via le forbici, prese una matita e incominciò a disegnare. Ecco come andò».
Franco fece poi il discografico, ma anche nel background di Guido la musica fu molto importante (ricordo che lui disegnava, sempre, a suon di musica): erano entrambi figli di un famoso violoncellista. Le passioni di Guido erano il jazz e la musica classica, come si può vedere dalle copertine di dischi riprodotte qui a fianco. A cercare bene tra i disegni, nelle tavole di Crepax si scoprono dettagli interessanti: il primo incontro tra Valentina e il giovane violoncellista Bruno è accompagnato dal Quartetto in fa maggiore di Ravel, mentre altri incontri sentimentali sono sottolineati dal Trio nr. I di Schubert, dalla Quinta Sinfonia di Tchaikovsky, e anche da qualche brano dell’opera Lulu di Berg.

Poi, inevitabile in quegli anni, c’era la politica: Crepax aveva una grande passione per Leone Trotsky, una passione tale da spingerlo a disegnare – nel 1974 – la storia Viva Trotsky. Guido aveva letto tutto della Rivoluzione Russa e molti dei suoi spunti narrativi giungevano da quelle atmosfere: «Vira Trotsky», spiegò una volta, «non è una storia più impegnata delle altre. Voleva solamente esprimere la contraddizione – che io sento fortissima e che io trasmetto a Valentina – tra le aspirazioni rivoluzionarie e l’attaccamento a quelle componenti anche decadenti della cultura borghese che fanno parte delle mie radici, come quelle di tanti intellettuali».
Guido aveva anche una bizzarra passione per le automobili: amava le Volkswagen e, tra i tanti ricordi che mi sono rimasti di lui, lo vedo alla guida del suo Maggiolino rosso (il Maggiolone, più volgare e muscoloso, arrivò anni dopo). Ho un’immagine nitida: noi bambini, fermi davanti a una gelateria in piazza Cairoli, a Milano, mentre lui ci aspettava in macchina per portarci tutti a fare un giro. Quella volta il Maggiolino era cabrio, e il giro per Milano con il naso all’insù a guardare i palazzi fu molto bello: Guido aveva studiato architettura, e raccontava a noi bambini storie su questa e quella casa. Ricordo anche che disegnava donne nude, sì: ma non ricordo curiosità particolari o turbamenti: per noi era tutto molto dolce e artistico, e curiosamente non ho in mente nemmeno un’incursione per andare a spiarlo quando creava le scene più spinte.
Non c’è nulla da fare, noi eravamo solo bambini: tra tutte le sue opere, dalle avventure di Valentina fino ai disegni per la Shell con le macchine da corsa, per me i giochi restano quelle più emozionanti. Perché mi fanno felice ancora oggi, ricordando un’estate bellissima che non c’è più.