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 2013  giugno 29 Sabato calendario

FU INELEGGIBILE ANCHE MAZZINI

La giunta per le elezioni e le immunità del Senato dovrà affrontare la questione dell’ineleggibilità di Silvio Berlusconi, non è affatto chiaro né quando né come né con quale esito, pur ricordando sempre che la parola finale spetterà all’aula, con scrutinio segreto.
Non è la prima volta che un personaggio di primo piano si trova ad affrontare un potenziale divieto di entrare in Parlamento. Nell’Ottocento capitò addirittura a due padri della patria: Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini.
Garibaldi fu eletto alla Camera più volte (tre legislature nel Regno Sardo e sei nel Regno d’Italia) e in più collegi, senza problemi. La prima volta, nel 1848, fu designato dagli elettori del collegio genovese di Cicagna con 18 voti su 18 votanti. In qualche legislatura risultò addirittura eletto in tre collegi contemporaneamente, anche se per anni il suo preferito rimase, fino alla morte, Roma I. L’elezione di Garibaldi fu invece contestata dall’Assemblea nazionale francese riunita a Bordeaux.
Era il 1871. Il generale aveva riportato, a Digione, una vittoria a favore dei francesi nel corso dell’infausta guerra con la Prussia: riportò l’unica bandiera strappata al nemico nel corso dell’intero conflitto. Per esprimergli la riconoscenza nazionale, gli elettori di ben tre collegi lo elessero deputato. Tuttavia la sua elezione fu subito contestata, e oggettivamente su un presupposto giuridico fondato: gli mancava l’elettorato attivo, perché non era cittadino francese. Garibaldi non la prese proprio con molto favore: ai clamori sollevati dall’ala destra, abbandonò irato l’aula parlamentare, trovando solidarietà in Victor Hugo, che per protesta si dimise da deputato.
Anche a Mazzini non andò in maniera lineare. Gli elettori del collegio di Messina I votarono per la sua elezione a deputato, nel febbraio 1866. Il politico repubblicano viveva a Londra, con una condanna a morte emessa per i falliti moti genovesi del 1857. Nonostante la posizione favorevole alla sua eleggibilità espressa da non pochi nomi illustri della Sinistra storica (da Zanardelli a Crispi), la camera votò a larga maggioranza contro la convalida. I messinesi, elettori tignosi, rielessero Mazzini in maggio. Di nuovo, stavolta per un soffio, la Camera ne annullò l’elezione.
Passarono alcuni mesi e gli elettori del collegio di Messina I (sempre vacante per la mancata convalida di Mazzini) tornarono, all’evidenza ben persuasi, a votare per l’«Apostolo». A dire il vero il numero dei suffragi discese, dai 476 della prima elezione, ai 329 della seconda, ai 281 dell’ultima. La camera si rassegnò a rispettare la volontà degli elettori, anche per un’intervenuta amnistia (altro argomento di attualità). Mazzini, convalidato, ovviamente non mise mai piede a palazzo Vecchio (la camera aveva allora lì sede, in Firenze capitale), rifiutando anche soltanto l’ipotesi di prestare giuramento alla monarchia, obbligatorio per sedere in parlamento.