Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 27 Giovedì calendario

BRUTTI, SPORCHI, CATTIVI. E PADRONI

Se sei figlio di Cruijff e vuoi fare il calciatore, lo fai a tuo rischio e pericolo; se sei figlio di Merckx e vuoi fare il corridore, pure. E insomma: se Alessandro Moggi, figlio di Luciano, non si fosse incaponito nel voler fare il procuratore, tentando di ricalcare le orme del padre, avrebbe risparmiato a sé e all’orgoglioso genitore smacchi e frustrazioni a non finire. Ma così è.
A TRE MESI dal ritorno sulle scene dopo la condanna a un anno e due mesi (poi ridotti a 5 mesi: minacce e violenza privata) inflittagli dal Tribunale di Roma nel processo Gea e la squalifica di 20 mesi inflittagli dalla giustizia sportiva, Moggi jr è già finito con le mani nella marmellata, indagato dalla Procura di Napoli per associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale. Non proprio il massimo per uno che il 4 aprile, al teatro Vetra di Milano, presentando la sua nuova creatura (la Gea World) che tanto nuova non era, cercò di auto-sdoganarsi parlando di “business etico” come “mission” rivoluzionaria. Papà Luciano, uno che ha perso il sonno nel tentativo di rimediare agli sfondoni del figlio (vedi telefonata all’avvocato Gallavotti ai tempi di Calciopoli: “Tu hai fatto quella commissione che giudica i procuratori, no? Boh, sensibilizzali un po’ perché il 20 hanno chiamato Alessandro per una cosa di due anni fa. Ma digli che andassero affanculo, che non rompessero i coglioni! Tu li conosci tutti, mi raccomando, fammi sapè”), avanti di questo passo rischia il coccolone.
Nei giorni di Calciopoli gli toccò leggere sui giornali un’intercettazione del figlio che si disperava, con un amico, per essere andato in bianco con Ilaria D’Amico invitata in romantico weekend. “Ho speso 10 mila euro per portarla a cena a Parigi, ho preso un aereo privato, albergo di lusso, ristorante favoloso: ma è andata buca!”. Capita se il fuoriclasse non sei tu, ma tuo padre. Chissà! Forse Lombroso avrebbe individuato nei tratti somatici di Moggi jr il segno della predestinazione, quella del prototipo del procuratore-tipo: il procuratore di calcio dell’era moderna. Quello che una ne fa (sbagliandola) e cento ne pensa. Al principio fu Antonio Caliendo. Napoletano, classe ‘44, look stile Steve Buscemi (il gangster di Boardwalk Empire), in perenne lotta contro i congiuntivi eppure capace di far firmare a Giancarlo Antognoni, nel 1977, la prima procura del calcio “made in Italy”, e dopo Antognoni, Baggio, e poi Schillaci, e poi il mondo. Nella finale Argentina-Germania di Italia 90, 12 dei 22 giocatori in campo erano suoi: un fuoriclasse, nel suo campo. Un po’ quel che oggi è Mino Raiola, classe ’67, nato a Nocera Inferiore e cresciuto ad Haarlem, in Olanda, nella pizzeria di papà.
UNO CHE a dispetto del look stile-homeless, genere “brutto, sporco e cattivo”, è stato capace di imparare 7 lingue, si è inventato agente di calciatori: e dopo aver venduto Bryan Roy al Foggia nel ‘92 è diventato il Ras dei procuratori d’Europa con clienti del calibro di Nedved, Ibrahimovic, Balotelli, Robinho. Una sorta di Paco Casal europeo: uno che trasferendo Ibrahimovic dall’Ajax alla Juve e poi – in rapida successione – all’Inter, al Barcellona, al Milan e al Psg, di sole commissioni ha incassato 20 milioni di euro. E giocando sporco, se necessario. Come nel 2004 flirtando con la Juve. Intercettazione. Raiola: “Ehi Luciano, domani Ibra non si presenta all’allenamento”. Moggi: “Continuiamo a far guerra: non lo mandare ad allenarsi”. Raiola: “Eh eh!, io la sto facendo la guerra!”. Ogni riferimento a Carlos Tevez che in combutta con l’agente KiaJoorabchian, iraniano, dichiarò guerra allo sceicco del Manchester City – due anni fa – mandandolo in manicomio, è puramente voluto.
Per dire come se la passano, nel dorato mondo del pallone, i procuratori, un’occhiata al dossier del Cies Football Observatory (Svizzera: report 2012 sui 5 tornei più importanti, Premier, Liga, Bundesliga, Serie A e Ligue 1) è sufficiente. Solo la Premier (Inghilterra) ha pagato agli agenti, nel 2010-2011, 86,2 milioni di commissioni. L’Italia, per quanto decaduta, è seconda con 57,9 milioni davanti a Spagna (45,9) e Germania (37,7). Il procuratore più ricco al mondo è il portoghese Jorge Mendes – boss del Real Madrid con i suoi Mourinho, Cristiano Ronaldo, Pepe, Di Maria, Coentrao – che con la sua Gestifude ha incassato in una stagione 369,8 milioni. Ma nei primi 20 della classifica gli italiani sono in maggioranza e la fanno da padroni. Beppe Bozzo, l’agente di Cassano, è 4° (207,5 mln), Tullio Tinti, agente di Matri e Ranocchia, è 5° (206 mln), davanti persino a Raiola (6° con 192,3 mln). Poi ci sono Federico Pastorello (8° con 149,3 mln), Claudio Pasqualin & Andrea D’Amico (14° con 111,7 mln), l’Agenzia Assist di Silvano Martina & C. (16° con 108 mln) e la Branchini Associati (17° con 107 mln). Uno che i procuratori li odia con tutte le sue forze è Maurizio Zamparini. Un anno fa denunciò il procuratore argentino di Pastore, Marcelo Simonian, che per il passaggio del ragazzo al Psg (prezzo pattuito: 39,8 milioni) ne ottenne per sé 12, più 5,8 da destinare al vecchio club dell’Huracan. Alla faccia della cresta.